Così Guardian e Observer hanno creato il mito di Clegg

Antonio Gurrado

Era piuttosto prevedibile che il Guardian e l'Observer rendessero ufficialmente noto di sostenere Nick Clegg, il leader dei Lib-Dem, alle elezioni di oggi nel Regno Unito. Quel che sorprende però è che l'endorsement dei due giornali considerati più vicini al Labour si è esteso – con mezzi non convenzionali – oltre i soliti editoriali a tutta pagina. E' stato screditato iconograficamente Gordon Brown, il meno fotogenico dei tre candidati.

    Era piuttosto prevedibile che il Guardian e l'Observer rendessero ufficialmente noto di sostenere Nick Clegg, il leader dei Lib-Dem, alle elezioni di oggi nel Regno Unito. Quel che sorprende però è che l'endorsement dei due giornali considerati più vicini al Labour si è esteso – con mezzi non convenzionali – oltre i soliti editoriali a tutta pagina. E' stato screditato iconograficamente Gordon Brown, il meno fotogenico dei tre candidati. Sul Guardian di sabato campeggiava una foto dello stato maggiore laburista colto un attimo prima di mettersi in posa: l'effetto generale è di una fila per l'autobus con Lord Mandelson che si stiracchia nervosamente le maniche, Alistair Darling che conciona mentre nessuno lo ascolta e Brown, mani giunte dietro il fondoschiena, che si guarda attorno smarrito. Poco più in basso è immortalato un Tony Blair luciferino, occhi sbarrati, bocca spalancata.

    In prima pagina invece Nick Clegg scende disinvolto dal suo pullman giallo paglierino e, alle pagine 32 e 33, risponde all'approfondita intervista del sabato. La foto lo ritrae mentre distoglie lo sguardo dall'obiettivo con aria sognante e il testo gioca sul doppio binario del politico così superiore ai suoi colleghi (la folla in delirio gli offre ghirlande di fiori, che accetta, e dolcetti che rifiuta, temendoli avvelenati) ma così simile ai suoi elettori (il padre lo chiama di continuo, al primo giorno di scuola provò estremo disagio in mezzo ai compagni di classe ricconi, e così via). Clegg appare anche nel dorsetto che ogni sabato viene dedicato ai libri, segnatamente nella rubrica in cui un personaggio pubblico viene chiamato a eleggere il suo paladino letterario. La scelta di Clegg è ideale: un autore d'élite ma noto a chiunque (Samuel Beckett) del quale ha letto “cento volte” ciò che hanno letto tutti (“Aspettando Godot”) ma anche “L'ultimo nastro di Krapp”, un dramma che i più sofisticati dei suoi elettori possono credere di conoscere solo loro e il loro leader. Ovviamente Clegg legge moltissimo e legge di tutto ma, come chiunque abbia dei figli, deve accontentarsi di un capitoletto ogni tanto quando lo lasciano in pace.

    Sul magazine dell'Observer tre esponenti dei principali partiti incontrano altrettanti elettori al primo voto. I Tory mandano un mezzo sconosciuto mentre i laburisti pensano già al 2015 e scelgono David Miliband. Clegg accoglie a casa sua un ventiduenne e si fa ritrarre nella posa del buon padre complice che si sforza di sembrare più giovane del figlio e finisce per metterlo a disagio; si dichiara grande fan dei Radiohead e cerca di persuadere il suo interlocutore che bisogna avere fiducia nei giovani abbassando l'età del primo voto a 16 anni. Il giovane elettore non sembra convinto.

    Clegg è perfetto anche in caso di gaffe: non sua, ché non ne fa mai, ma di un professore americano che sostiene i Lib-Dem e sta seguendo con attenzione la loro campagna elettorale. L'Observer riferisce che questi, il giorno dopo essersi sorbito da cima a fondo il dibattito sulla Bbc, ha approcciato un giovane attivista e gli ha chiesto a bruciapelo: “E tu, cos'hai fatto per Clegg?”, “Ma io sono Clegg!”, s'è sentito rispondere. Potenzialmente una figuraccia del genere è più fatale delle mille a cui ci ha abituati Gordon Brown: comprova il leader di un partito che si sforza di essere talmente simile ai suoi sostenitori che finisce per non essere più riconosciuto nemmeno da loro; o che Clegg è così sopraffatto dalla propria immagine mediatica da non essere più plausibile come individuo in carne e ossa. Ma per il professore americano, e per l'Observer con lui, è solo la dimostrazione che Clegg “sembra molto più giovane di quanto sia di solito un candidato premier”.