Dall'aborto all'islam, cristiani uniti contro i liberal inglesi

William Ward

Con mirabile tempismo, nel giorno di Pasqua è stata lanciata a Londra una coalizione religiosa e culturale che intende farsi sentire durante la breve ma intensa campagna elettorale britannica che si è aperta ufficialmente ieri. I trenta firmatari principali della cosiddetta “Westminster Declaration” sono tutti cristiani, “cultural conservative” che detestano la strisciante scristianizzazione dello stato e della vita pubblica britannica voluta dall'influente lobby laico-liberal.

    Con mirabile tempismo, nel giorno di Pasqua è stata lanciata a Londra una coalizione religiosa e culturale che intende farsi sentire durante la breve ma intensa campagna elettorale britannica che si è aperta ufficialmente ieri. I trenta firmatari principali della cosiddetta “Westminster Declaration” sono tutti cristiani, “cultural conservative” che detestano la strisciante scristianizzazione dello stato e della vita pubblica britannica voluta dall'influente lobby laico-liberal, e che temono la crescente capacità dei sostenitori dell'islam radicale di influenzare, e sabotare, i tradizionali costumi e diritti cristiani del Regno Unito. I tre nomi che spiccano sono quelli dell'establishment cristiano britannico: Lord Carey, ex arcivescovo di Canterbury (dal 1991 al 2002) oggi membro attivissimo della Camera alta a favore di molte tesi patriottiche e conservatrici; il vescovo emerito di Rochester, Michael Nazir-Ali, che per l'ala evangelica tradizionalista della chiesa anglicana è stato il candidato ideale per il trono di Sant'Agostino a Canterbury e che ora si batte contro laicismo e islamismo; il cardinale Keith O'Brien, capo battagliero della chiesa cattolica in Scozia, riconosciuto per le sue prese di posizione forti.

    Con loro ci sono altri cristiani, soprattutto evangelici d'origine britannica, che lavorano nel volontariato e nella comunità pubblica. Gli altri firmatari sono invece i capi o rappresentanti delle tante chiese e sette protestanti ed evangeliche provenienti dall'Africa e dai Caraibi, spesso ignorate dai media liberal. Il problema della maggioranza dei cristiani africani e caraibici per i liberal britannici è che sulla maggior parte delle tematiche sociali e politiche non esprimono le posizioni politically correct che il pensiero liberal paternalista vuole attribuire loro in quanto “poveri oppressi”. Eppure sono proprio i cristiani africani – in particolare nigeriani – o quelli di origine pachistana (come l'ex vescovo Nazir-Ali) che temono l'espansionismo islamico più dei loro correligionari bianchi, e non si fanno problemi a esprimere la loro diffidenza.

    Il manifesto del gruppo richiama le tesi di molti dei partiti politici europei di recente fondazione, o anche la Christian Right in America: grande attenzione è dedicata all'identità cristiana e occidentale del Regno Unito, alla conseguente necessità di difendere i suoi valori sociali e culturali tradizionali, alla chiusura pressoché totale nei confronti delle innovazioni sociali libertarie e libertine volute dal governo laburista negli ultimi anni.

    Ci sono alcuni accenni all'ordine pubblico, una certa diffidenza nei confronti della globalizzazione e del potere dei mercati e una critica abbastanza diretta nei confronti della politica del governo rispetto all'immigrazione, soprattutto di matrice musulmana.
    Assieme alla clausola sull'aborto, sul diritto alla vita e contro l'eutanasia in qualsiasi forma (“ci impegniamo a lottare per proteggere qualsiasi vita umana dal concepimento fino alla sua fine naturale”), c'è la clausola sulla natura imprescindibile del matrimonio tradizionale (“ci impegniamo a sostenere il concetto di matrimonio, l'unione impegnativa e a vita di un uomo e di una donna. Crediamo che quest'istituzione fosse voluta da Dio, e che sia l'unico contesto legittimo per i rapporti sessuali”), che sembra non soltanto rifiutare il concetto di “matrimonio omosex” o di “unione civile” e della poligamia islamica, ma persino quello del diritto al divorzio. Ci sono anche alcuni paragrafi che sembrano fuori sintonia con la maggior parte dei gruppi della destra religiosa nordamericana: “Ci impegniamo a proteggere (…) tutte le persone messe in difficoltà o in crisi dal cambiamento climatico, dalle politiche di commercio internazionale, dal debito e dall'assistenza dei paesi in via di sviluppo ingiuste, nonché le persone disabili, malate, povere, sfruttate, oggetto del traffico delle persone, che cercano in Gran Bretagna l'asilo politico”.

    Filo conduttore dell'iniziativa è di testimoniare quanto i cristiani, specialmente quelli tradizionali, siano diventati una minoranza discriminata, che rivendica gli stessi diritti dei tanti altri gruppi che si considerano minoranze, nel chiedere una par condicio di trattamento. Per il momento, i partiti mainstream tacciono un po' imbarazzati: per tradizione non amano parlare di religione, ma intanto le due principali figure liberal della chiesa nazionale si sono espresse. In un elzeviro sul Guardian di ieri, l'ex vescovo di Oxford, Richard Harries, riconosciuto per le sue posizioni progressiste, ha criticato chi vorrebbe paragonare una certa indifferenza ai valori cristiani dell'establishment laico con la persecuzione ai cristiani in certi altri paesi, tacciandoli di “falso martirismo”. E durante l'omelia pasquale a Canterbury, l'arcivescovo Rowan Williams ha predicato contro “coloro che esagerano sulla condizione dei cristiani in Gran Bretagna, dove possiamo ancora praticare la nostra fede come vogliamo, un'offesa a chi non se la può permettere all'estero”.