Per Moody's il contagio della crisi greca potrebbe non escludere l'Italia
La bussola impazzita del rating
Secondo l'agenzia di rating Moody's, la crisi delle finanze greche potrebbe contagiare anche le banche di altri grandi paesi dell'Unione europea. Tra questi, secondo Moody's, ci sono innanzitutto il Portogallo, la Spagna, l'Italia, l'Irlanda e la Gran Bretagna. Fonti di Bankitalia, invece, commentano: "Il sistema bancario italiano è robusto".
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Secondo l'agenzia di rating Moody's, la crisi delle finanze greche potrebbe contagiare anche le banche di altri grandi paesi dell'Unione europea. Tra questi, secondo Moody's,ci sono innanzitutto il Portogallo, la Spagna, l'Italia, l'Irlanda e la Gran Bretagna. Fonti di Bankitalia, invece, commentano: "Il sistema bancario italiano è robusto, il deficit di parte corrente è basso, il risparmio è alto, il debito complessivo di famiglie, imprese e stato è basso rispetto ad altri paesi, il debito netto dei confronti dell'esto è basso. Tutto ciò rende il caso dell'Italia diverso da quello di altri paesi".
Di seguito, l'analisi di Stefano Cingolani sulle agenzie di rating apparsa sul Foglio di venerdì 30 aprile.
Si stringono i tempi per i prestiti europei ad Atene. “Occorre che la Germania dia il via libera agli aiuti alla Grecia attraverso una veloce procedura parlamentare”, ha auspicato ieri il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. E il governo greco promette: necessari nuovi sforzi. Ue e Fmi chiedono infatti una riduzione del 10 per cento del deficit in due anni.
Nessun caso Lehman Brothers sulle sponde dell'Egeo, quindi. Il mercato ha creduto al ravvedimento tedesco dopo che Angela Merkel ha parlato con Barack Obama e ieri la Borsa di Atene è salita del 5 per cento. La febbre speculativa, una volta contagiata Lisbona, si è spostata su Madrid. Ma attenzione a non cedere ancora una volta alle sirene del catastrofismo. Anche se l'euro continua a barcollare, il mercato dei titoli pubblici non si è volatilizzato (come accadde a Wall Street nell'ottobre 2008 con i titoli privati). Proprio l'Italia ha aiutato a raffreddare e stabilizzare l'isteria collettiva, spiega il Financial Times. Il Tesoro ha emesso Btp triennali (scadenza il 15 dicembre 2012) per 3 miliardi e titoli decennali per 3,5 miliardi di euro. Entrambi hanno avuto una richiesta una volta e mezza superiore all'offerta. E non perché spuntassero rendimenti eccezionali: con il 4,09 per cento, è appena 13 centesimi di punto in più dell'ultima operazione. Insomma, fiducia sull'Italia. Anche se, per continuare a serrare le file dei conti pubblici, si riparla di una manovrina a ottobre per rifinanziare alcune spese, come le missioni militari.
La buriana non è passata del tutto. Il differenziale tra i titoli spagnoli e portoghesi e il bund decennale tedesco, continua a salire, segno di sfiducia e incertezza. Tuttavia, appare sempre più chiaro il danno che stanno facendo le agenzie di rating non solo agli azionisti di banche e industrie, ma ai contribuenti di antiche e nobili nazioni. Strumenti che avrebbero dovuto funzionare da termometri e stabilizzatori del mercato sono invece fibrillatori prociclici: aumentano l'eccitazione nei momenti di boom e la depressione nei momenti di fiacca. Un dibattito sul problema si era già aperto due anni fa nel pieno della bufera borsistica. La nostra funzione, ribattono i signori del rating, non è fare il mercato, ma valutare un titolo in base alle sue caratteristiche. Le agenzie giudicarono eccellenti derivati dei quali non si riusciva a capire il sottostante; davano lo stesso punteggio a un titolo che, dopo vari passaggi, faceva riferimento a un mutuo subprime (cioè senza merito di credito). Ieri Guido Westerwelle, ministro degli Esteri tedesco, ha attaccato le “big three” americane e chiesto la creazione di un'agenzia europea indipendente. Vedremo se produrrà davvero qualcosa di nuovo.
Prendiamo il rischio sovrano. Moody's, S&P e Fitch esaminano i conti e le cifre ufficiali fornite dai vari paesi. Ma siamo sicuri che facciano analisi strutturali adeguate? Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna sono paesi colpiti duramente dalla recessione. Ma i loro problemi non sono gli stessi e le politiche di risanamento, di conseguenza, debbono essere diverse. In Grecia l'emergenza sono i conti pubblici, non così in Portogallo o in Spagna. Il paese lusitano ha un deficit elevato, ma un debito ancora sotto controllo (85 per cento del pil). La sua malattia si chiama stagnazione ed è provocata dalla difficoltà a riconvertire un'economia leggera, che esporta prodotti tradizionali (dal tessile al sughero) colpiti dalla concorrenza cinese, senza poter svalutare la moneta. Euro e globalizzazione hanno inferto un doppio choc. Per assorbirlo ci vuole tempo e politiche dal lato dell'offerta, non il taglio della spesa pubblica o l'aumento delle tasse necessarie in Grecia. La Spagna ha avuto un boom artificiale basato sugli immobili finanziati a debito dalle banche. Oggi deve smaltire un surplus di mattoni. Eppure le grandi banche ne sono uscite bene. Dopo il BBVA, ieri il Santander ha registrato grandi profitti nel primo trimestre dell'anno: 2,21 miliardi di euro, anche grazie alle attività in America latina. Dunque, che senso ha considerare poco più che spazzatura i titoli di un paese con superbanche multinazionali piene di quattrini? Qualcosa non funziona: o nelle banche spagnole, o nelle agenzie di rating. O forse in entrambe. Certo è che la bussola sulla quale i mercati basano la loro rotta è inadeguata. Forse basta tararla meglio, forse proprio rifarla.
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