Psicosi a Palazzo

Tra ipotesi di complotto e nuove correnti il Cav. si attorciglia sulla successione a Scajola

Salvatore Merlo

A Palazzo Chigi si agita lo spettro  di un complotto cui pare non credere nessuno; mentre a Montecitorio i deputati almanaccano sulle mosse vere o presunte di Giulio Tremonti, Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Ognuno ha una sua teoria e descrive un diverso scenario di decomposizione. Un clima da psicosi collettiva sul quale, sommandosi alle voci di indagini che coinvolgerebbero un altro ministro, ieri è precipitata la notizia dell'iscrizione di Denis Verdini nel registro degli indagati.

    A Palazzo Chigi si agita lo spettro  di un complotto cui pare non credere nessuno; mentre a Montecitorio i deputati almanaccano sulle mosse vere o presunte di Giulio Tremonti, Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Ognuno ha una sua teoria e descrive un diverso scenario di decomposizione. Un clima da psicosi collettiva sul quale, sommandosi alle voci di indagini che coinvolgerebbero un altro ministro, ieri è precipitata la notizia dell'iscrizione di Denis Verdini nel registro degli indagati. La maggioranza fa quadrato attorno al coordinatore nazionale del Pdl, ma il Cav. fa trapelare inquietudine e sembra attorcigliarsi nella gestione del dossier intorno alla sostituzione di Claudio Scajola. Il premier ieri è salito al Quirinale, ha comunicato a Giorgio Napolitano che prenderà l'interim. “Sarà breve, il tempo necessario a una valutazione approfondita”. Ma se martedì quella dell'interim veniva descritta come un'operazione “lampo”, in realtà Berlusconi potrebbe finire col tenersi la delega più di qualche settimana.

    Al Cav. inquieto Fini e Bossi hanno dato forse un dispiacere convergendo soltanzialmente sull'idea che la maggioranza vada puntellata e che “non esiste nessun complotto”. Berlusconi non è dello stesso avviso, lo ripete a chiunque incontri, e sembra avesse pensato anche all'ipotesi di elezioni anticipate; tanto da aver allertato i promotori della Libertà (il cui acronimo, non è un caso, è Pdl) di Michela Vittoria Brambilla. Il premier ne ha formalizzato l'organigramma, ne fanno già parte il fedelissimo Sandro Bondi, l'emergente Angelino Alfano e il tesoriere Rocco Crimi. E' un nuovo partito. A Palazzo Grazioli non sfugge che il Pdl (dal punto di vista legale un'associazione privata) è per contratto anche di Fini, senza il quale il partito non esiste e senza l'approvazione del quale non si potrebbero neanche compilare le liste elettorali. Per questo è tutto pronto nella remota eventualita in cui si debba effettuare un travaso in stile bad company-good company. Dal vecchio Pdl al nuovo P.d.L. La prima opportunità utile per votare sembra essere ad aprile dell'anno prossimo, quando si potrebbero chiamare le urne amministrative in dieci province e oltre mille comuni tra cui Torino, Milano e Napoli. Ma chissà. Bossi non ci pensa nemmeno e Napolitano è sempre assiso a guardia della legislatura.

    Sulla scia dell'operazione finiana, nel Pdl ora ci si ripete anche che, se le correnti sono una metastasi, il Pdl ha un cancro in stato terminale. Se sono invece uno strumento di pluralismo, allora si tratta di un partito estremamente vitale. Tra gli ex colonnelli di An fervono le attività: Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa si considerano gli unici veri eredi di An (per defezione di Fini) e del 30 per cento che questa deve rappresentare per contratto nel Pdl. Con Gianni Alemanno e la sua Nuova Italia (c'è pure Alfredo Mantovano) l'alleanza è nelle cose, tanto più dacché il sindaco ha preferito Berlusconi a Fini. La competizione è aperta. I finiani contenderanno gli amministratori locali e i tesserati ai colonnelli, se ne occuperà Roberto Menia con una associazione interna alla galassia finiana: è stato designato rappresentante dell'ala destra e un po' nostalgica del finismo. La corrente ha difatti preso forma, ci sarà concertazione tra FareFuturo, Generazione Italia, il Secolo e l'associazione Libertiamo di Benedetto Della Vedova. Niente più imprevisti, sarà Adolfo Urso a coordinare le operazioni. Fini, ancora molto nervoso per gli attacchi del Giornale, ha trasmesso un messaggio al Cav.: ridimensioni i colonnelli e parli direttamente con me. Si vedrà.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.