Ecco perché ho firmato l'appello in favore dei fascisti solari di CasaPound
CasaPound? Non sapevo nemmeno dove stesse di casa, fino a un paio di giorni fa. Quando una ragazza mi telefona e con voce timida e armoniosa mi spiega che una lista che si rifà a CasaPound, “per la giovinezza al potere”, si presenterà alle elezioni universitarie del 12 e 13 maggio, che per farla conoscere avevano indetto per il 7, cioè per oggi, un corteo e un sit-in. La questura però aveva vietato il corteo, autorizzando solo l'uso della piazza.
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CasaPound? Non sapevo nemmeno dove stesse di casa, fino a un paio di giorni fa. Quando una ragazza mi telefona e con voce timida e armoniosa mi spiega che una lista che si rifà a CasaPound, “per la giovinezza al potere”, si presenterà alle elezioni universitarie del 12 e 13 maggio, che per farla conoscere avevano indetto per il 7, cioè per oggi, un corteo e un sit-in. La questura però aveva vietato il corteo, autorizzando solo l'uso della piazza. Mi dice che il settimanale “Gli altri” e Piero Sansonetti avevano lanciato un appello in difesa del diritto a manifestare liberamente e pacificamente, mi legge nomi di altri firmatari, mi chiede di aderire. Dico di sì senza problemi, dove stanno il Piero, la Ritanna e l'Andrea di solito si fanno cose buone e giuste. Avevo dimenticato che siamo un paese corrucciato in cui censori e maestri sono in servizio permanente effettivo.
Alberto Asor Rosa, Margherita Hack e centonovantotto gravitanti attorno ai Comunisti italiani avevano appena firmato un altro appello per escludere dalle elezioni e addirittura espellere dalle università gli estremisti di destra “perché non devono trovare cittadinanza e accessibilità in luoghi di cui la democrazia e l'antifascismo costituiscono la base imprescindibile”. Oddio, un sequel del remake. Allora ho spulciato, chiesto in giro. In effetti non nascondono quello che sono. Si definiscono “area non conforme”, hanno simboli esoterici e contorti, una tartaruga, animale nobile perché porta sulle spalle la sua casa, otto frecce convergenti in un punto. Inneggiano alla turbo dinamica. Amano il nero. Neri gli arredamenti, neri per lo più vestiti, magliette e occhiali. Nero su nero, è la serie di interviste, reperibili sul sito, diciamo così agli antesignani: Mario Tuti racconta di quando “mancò Violante”, Pierluigi Concutelli come non sia facile stare trenta anni in prigione con la schiena dritta. Hanno messo su gruppi di rocciatori, alpinisti, sommozzatori, “Diavoli di Mare”. E di paracadutisti, “Istinto Rapace”.
Sono fascisti, fascisti sociali che credono nella Carta di Verona. Sono fascisti del nuovo millennio, come Gianfranco Fini definiva se stesso una ventina di anni fa. Va da sé che se devono menar le mani le menano. Ultimamente è successo spesso, anche se a Napoli il 1° maggio è stato uno di loro a rischiare la vita. Menano dunque. Ma sempre controvoglia. Il dettaglio è tutt'altro che secondario. Ci dice che non vivono nella stolida, fatale attesa che ogni giorno porti valide ragioni per coltivare il risentimento e alimentare l'odio. Ci dice che sono usciti da una concezione catacombale dell'esistenza, che hanno elaborato il lutto per le loro vittime. Hanno curiosità per il dialogo, non sopportano gli steccati. Malgrado il nero dominante, hanno un che di solare. Forse per questo cominciano a fare più proseliti della concorrenza di sinistra.
Chi ha qualche ricordo di separatezza gruppuscolare sa che la presenza di ragazzi ma soprattutto di ragazze è un segno di vitalità. E la Casa è piena di giovani. Fanno politica, dunque. E la risposta deve essere politica. Non mi pare che l'appello dei docenti rientri in questa categoria. E nemmeno la mobilitazione a Milano contro la commemorazione di Sergio Ramelli, fascista ucciso trentacinque anni fa in modo orribile e nel cui ricordo tutti dovremmo inchinarci in silenzio. Ci sono voluti trenta anni, leader come Almirante e Berlinguer, l'impegno di uomini di cultura e di buona volontà per interrompere una spirale luttuosa e infernale che già allora era fuori dal tempo e dalla storia. Cerchiamo di non farci riprendere da un passato che sembra non dover mai morire.
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