Salviamo la ragione d'Israele
J-Call, il nuovo movimento della sinistra ebraica europea promotrice di un appello molto duro sulle politiche di Israele, nasce in reazione a un articolo del premio Nobel per la Pace Elie Wiesel. “For Jerusalem”, questo il titolo del commento di Wiesel apparso sul New York Times, è un inno all'ebraicità di Gerusalemme, ma da J-Call è stato interpretato come un aperto sostegno alla politica del governo Netanyahu, da mesi sotto pressione da parte della Casa Bianca.
Qui il testo dell'appello con i firmatari - Leggi Piccoli Lerner crescono
J-Call, il nuovo movimento della sinistra ebraica europea promotrice di un appello molto duro sulle politiche di Israele, nasce in reazione a un articolo del premio Nobel per la Pace Elie Wiesel. “For Jerusalem”, questo il titolo del commento di Wiesel apparso sul New York Times, è un inno all'ebraicità di Gerusalemme, ma da J-Call è stato interpretato come un aperto sostegno alla politica del governo Netanyahu, da mesi sotto pressione da parte della Casa Bianca. A Wiesel all'inizio hanno risposto un centinaio di intellettuali di sinistra, da Avishai Margalit, fondatore di Peace Now, ad Avraham Burg, già presidente della Knesset e “apostata del sionismo”, che accusano Wiesel di sostenere la “colonizzazione” ebraica a Gerusalemme. Poi è uscito l'“Appello alla ragione” di J-Call sul Monde: firmato da noti intellettuali ebrei come Alain Finkielkraut e Bernard-Henri Lévy, l'ex presidente svizzero Ruth Dreifuss e lo storico Pierre Nora. L'Appello è stato subito accolto con grande favore anche da esponenti della sinistra israeliana, come gli ex ministri Yossi Sarid e Shlomo Ben-Ami, mentre è stato criticato duramente da ambienti vicini al governo Netanyahu.
Da Parigi arriva un altro appello, “Salviamo la ragione”, con il quale a J-Call hanno risposto altri pezzi da novanta della cultura ebraica europea. Ci sono il grande studioso di razzismo Pierre-André Taguieff, la studiosa svizzera Bat Ye'or e il professor Shmuel Trigano, i quali affermano che J-Call “va contro i suoi obiettivi dichiarati: la democrazia, la moralità, la solidarietà della diaspora, la preoccupazione del destino di Israele”. Spiegano che è inaccettabile l'idea di una “pace imposta a Israele sotto attacco” e “sotto la minaccia di sterminio pronunciata da parte della Repubblica islamica dell'Iran e dei suoi satelliti, al nord con Hezbollah, al sud con Hamas nella Striscia di Gaza”. Da qui il loro giudizio secondo cui “la creazione di uno stato palestinese senza la conferma della volontà di pace del mondo arabo, senza eccezioni, esporrebbe il territorio di Israele a una debolezza strategicamente fatale. Domani ‘Gerusalemme est' e lo stato di Palestina saranno sotto il giogo di Hamas? Il rammarico dei firmatari di questo appello non servirà a nulla”.
“Penso che l'appello di J-Call per creare un movimento ebraico europeo che insegni agli israeliani come comportarsi sia assurdo e che viene strumentalizzato e manipolato da potenze, come l'Unione europea e l'Amministrazione Obama, che stanno realizzando politiche ostili a Israele”, dice al Foglio la celebre studiosa d'islam Bat Ye'or. “Non si dice nulla in J-Call a proposito degli obblighi dei palestinesi e dei paesi arabi. Anche io desidero vedere uno stato palestinese, ma perché non fare pressioni sulla Giordania? Perché soltanto Israele? Questo appello a mio avviso non è altro che una copertura ebraica costruita dall'Unione europea per darsi una ripulita rispetto alla sua politica anti israeliana causata dalla ripetuta pressione della Organizzazione della Conferenza islamica attraverso strumenti come minacce, terrore e rappresaglia. Il significato di J-Call è quello di porre la diaspora contro Israele, di delegittimare Israele e di sollevare il mondo contro questo stato minuscolo che più di altri ha il diritto di vivere nella sua patria ancestrale”.
Anche in Italia è stato lanciato un appello contro J-Call per adesso firmato, tra gli altri, dalla giornalista e parlamentare del Pdl Fiamma Nirenstein, dal direttore del Foglio Giuliano Ferrara, dall'ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, dal presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e dall'ex presidente dell'Unione comunità ebraiche italiane Leone Paserman.
“L'aggressione a Israele dei firmatari del documento J-Call è ispirata da una visione miope della storia del conflitto arabo-israeliano, da una mancanza di percezione chiara del pericolo che Israele corre oggi di fronte a un grande attacco fisico e morale”, si legge nell'appello italiano. “Voler spingere Israele a concessioni territoriali senza contraccambio significa consegnarsi nelle mani del nemico senza nessuna garanzia. Lo sgombero di Gaza, compiuto senza trattativa, ha portato risultati disastrosi, il territorio lasciato dagli abitanti di Gush Katif è diventato un'unica rampa di lancio per missili e terroristi; la trattativa di Ehud Barak, intesa a cedere a Arafat praticamente tutto quello che chiedeva, portò semplicemente all'orrore della Seconda Intifada, con i suoi duemila morti uccisi da attentati suicidi. Lo sgombero della fascia meridionale del Libano nel 2000 ha rafforzato gli Hezbollah, li ha riempiti di missili, ha condotto alla guerra del 2006”. J-Call ignora il rifiuto arabo islamico di riconoscere l'esistenza stessa d'Israele. “Nessuna concessione territoriale di quelle che gli intellettuali francesi sembrano desiderare con tanta energia può garantire la pace, ma solo una rivoluzione culturale nel mondo arabo. E nessuno la chiede, nemmeno Obama che invece preme solo su Israele. E' divenuta la moda di questo tempo”.
Secondo Vittorio Dan Segre, ex diplomatico israeliano, accademico e commentatore, J-Call è parte del millenario scisma nell'anima ebraica. “E' l'eterna divisione ebraica, dalla Bibbia in poi. E' la storia del naufrago ebreo sull'isola nel Pacifico: uno vi rimane dieci anni, arriva una nave a riportarlo in patria, prima però fa visitare al capitano ciò che ha costruito da solo. E lo porta a vedere due sinagoghe che aveva costruito. ‘Perché due?', chiede il capitano. ‘Perché in quella lì io non ci entro', replica il naufrago”.
Su J-Call, Segre dice: “Anche io sono contrario alle colonie, ma penso che il problema dell'identità ebraica è quello dell'accettazione o del rifiuto di vivere secondo il sacro. E forse i firmatari di J-Call hanno rinunciato a legami con certe radici ebraiche sacre e aristocratiche. E' molto faticoso essere ebreo, è più facile essere una vittima ebraica. Essere un aristocratico monoteista è difficile. Il problema è cosa significa la ‘J', ebreo. E' più facile dire quello che non si è piuttosto che dire quello che si vuole essere”. Dalla sinistra ebraica viene lo storico israeliano Benny Morris. E al Foglio spiega così la sua posizione: “Non può esserci soluzione senza risolvere il problema degli insediamenti, sono anche io contrario alle colonie. Ma il grande problema è la mancanza di volontà di pace degli arabi, da Abu Mazen a Hamas fino all'Iran che vuole distruggere Israele”.
“Il vero pericolo che corre Israele non deriva dalle sue politiche interne o dalle sfumature del suo governo”, ci dice Claudia Rosett, storica commentatrice per il Wall Street Journal, Forbes e New Republic. “Penso che il reale pericolo sia l'abbagliante antisemitismo in ascesa in tutto il mondo, e l'ostilità fra i regimi autoritari del medio oriente verso il tipo di genuina democrazia che Israele incarna. Il portabandiera di questa minaccia è l'Iran che ambisce all'atomica e sostiene il terrorismo. Stanno conducendo una campagna in istituzioni come l'Onu al fine di delegittimare Israele. Questo si incontra con la scarsissima resistenza dell'Europa occidentale e dell'attuale Amministrazione Obama. Si sbrana Israele mentre l'Iran assume un seggio all'Onu in organismi come la Commissione sullo status della donna. E' questo il mondo a cui aspirano gli intellettuali dell'appello J-Call?”.
Qui il testo dell'appello con i firmatari - Leggi Piccoli Lerner crescono
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