Money League/12
Perché in finale di Champions League non c'è una squadra inglese
Tutta colpa della Champions. Secondo Stefan Szymanski, docente e direttore del programma MBA alla Cass Business School di Londra, il meccanismo promozione-retrocessione spinge i club ad andare continuamente oltre i propri mezzi, fenomeno acuito dalla Champions League, per il quale non qualificarsi sa di retrocessione. Un punto di vista interessante che può spiegare i circa 3 miliardi di sterline di indebitamento totale dei club della Premier League.
Tutta colpa della Champions. Secondo Stefan Szymanski, docente e direttore del programma MBA alla Cass Business School di Londra, il meccanismo promozione-retrocessione spinge i club ad andare continuamente oltre i propri mezzi, fenomeno acuito dalla Champions League, per il quale non qualificarsi sa di retrocessione. Un punto di vista interessante che può spiegare i circa 3 miliardi di sterline di indebitamento totale dei club della Premier League.
Il Chelsea ha azzerato i suoi 821 milioni di euro di debito grazie ad Abramovich, quindi la testa di questa speciale classifica (dati novembre 2009, fonte sporteconomy.it) spetta al Manchester United con 770 milioni, seguono Arsenal 354 e Liverpool 334. Insieme con i Blues le cosiddette “Fab Four” del calcio inglese, nella buona come nella cattiva sorte, che quasi tutti gli anni occupano i primi quattro posti destinati alla Champions League.
Colpisce molto la quarta posizione occupata dal Fulham, 232 milioni. La squadra di Londra ha raggiunto la finale di Europa League, eliminando tra le altre anche la Juventus, ma questo colpo di reni potrebbe costarle caro sotto il profilo finanziario. Preoccupanti anche i 108 milioni del Middlesbrough che gioca nella B inglese e vi giocherà anche la prossima stagione. Segue il Manchester City con 103, senza considerare i 250 milioni di euro investiti sul mercato, e il West Ham United con 100.
All'ottavo posto c'è il Portsmouth con 90 milioni di euro. Squadra già retrocessa e in finale di FA Cup contro il Chelsea. Una specie di favola capovolta per il primo club nella storia della Premier League a finire in amministrazione controllata e punito con 9 punti di penalizzazione per irregolarità amministrative, sembra l'Italia invece è l'Inghilterra, dove di sicuro non ci saranno rivolte di piazza e ripescaggi dell'ultima ora. Chiudono, tra le prime dieci indebitate, Hull City con 80 e Wigan con 75 milioni di euro.
Come sottolinea il professor Szymanski: più una competizione sportiva è eccitante più lievitano i costi. Come quelli degli stipendi che vedono il Chelsea capofila con 197 milioni di euro (dati maggio 2010 per la stagione in corso, fonte futebolfinance.com), Manchester United 141, Arsenal 120 e Liverpool 103, sempre loro.
Quinto il Manchester City con 95, nei quali pesa l'ingaggio di Carlos Tevez, segue l'Aston Villa con 81, West Ham United 76, Tottenham Hotspur 69, Portsmouth 63. Eccoli di nuovi i Pompey, ultimi in classifica e noni in questa graduatoria, con 4 milioni di euro al mese solo per i giocatori e 11 milioni di debiti verso altri club inglesi. Non si salva nessuno, e pochi ribaltano in positivo la proporzionalità tra posto in classifica e costi salariali, a parte qualche piccola eccezione solo il Birmingham, diciottesimo per costi salariali con 31 milioni di euro, ha una posizione in Premier League inversamente proporzionale. Una condizione finanziaria precaria che non fa ben sperare per il futuro prossimo del calcio inglese. Per la prima volta dopo cinque stagioni consecutive non c'è una squadra della Premier in finale di Champions League, nel 2008 a Mosca fu cosa loro e dal 2007 al 2009 in semifinale erano sempre in tre.
Il modello scricchiola e la messa in vendita del Liverpool è il primo sintomo conclamato. I due imprenditori americani Hicks e Gillett hanno dato mandato alla Barclays Bank, pronta a investire 300 milioni di sterline per rifinanziare la società dopo aver rilevato il debito di 237 milioni contratto dal club con Royal Bank of Scotland e Wachovia. "Gli americani – sottolinea Szymanski – sono venuti in Inghilterra con la speranza di trovare uno sport che avesse, su scala globale, una dinamica simile a quella dell'Nfl negli Stati Uniti, ma la Football League è una macchina da soldi senza uguali grazie anche all'assenza del meccanismo promozione-retrocessione". Attratti anche dal fatturato del campionato inglese e dai diritti televisivi da vendere in patria e all'estero sempre più vicini nei numeri.
Secondo Szymanski gli americani avrebbero trascurato l'opportunità di allargare lo stadio e gli andrà bene se usciranno in pareggio. Mentre sottolinea come quella del Manchester United sia, soprattutto, una questione politica più che finanziaria, insomma se i Cavalieri Rossi prendessero il club la situazione, sostenuta anche dalle banche, non cambierebbe molto. E l'Arsenal? Una guerra intestina tra soci più che un disagio economico. Szymanski ha, infine, sottolineato come non si possano importare modelli diversi, come quello spagnolo, per tentare di salvare il salvabile: "Sarebbe catastrofico. Real e Barcellona hanno una valenza politica, l'obiettivo di creare utile come accade nel calcio inglese sarebbe congelato". E nemmeno quello tedesco che nonostante una buona organizzazione offre performance economiche molto scarse.
Preoccupa di più il trend negativo dei ricavi medi ottenuti per gli sponsor di maglia, passati da 5,33 milioni di euro nella stagione 2008-09 a 4,81 in quella in corso con un -9,8 per cento, peggio ha fatto solo la Ligue 1 francese con un -11 per cento, segnale che la crisi economica globale si fa sentire anche nel calcio. Per non parlare delle banche verso cui sono esposti molti club, se chiedessero di rientrare cosa accadrebbe? Platini ha varato le regole del fair play finanziario. Basteranno per salvare il calcio inglese e quello europeo dalla bancarotta?
Il Foglio sportivo - in corpore sano