Adesso per cortesia speculiamo un po' sulla crescita economica

Carlo Stagnaro

Noi siamo quello che raccontiamo. Trovare una narrativa corretta per la crisi è l'unico modo per vedere oltre le nebbie del presente. Purtroppo, l'Europa cerca gli untori. “La collera aspira a punire – scriveva Alessandro Manzoni negli splendidi e tragici capitoli dei “Promessi Sposi” sulla peste di Milano – le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi”. “Dagli agli speculatori”, quindi. Ma davvero sono loro i responsabili del tracollo greco?

    Noi siamo quello che raccontiamo. Trovare una narrativa corretta per la crisi è l'unico modo per vedere oltre le nebbie del presente. Purtroppo, l'Europa cerca gli untori. “La collera aspira a punire – scriveva Alessandro Manzoni negli splendidi e tragici capitoli dei “Promessi Sposi” sulla peste di Milano – le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi”. “Dagli agli speculatori”, quindi. Ma davvero sono loro i responsabili del tracollo greco e, con esso, dell'incapacità europea di reagire, del rischio che la scossa si trasmetta agli altri “Pigs”?

    In un certo senso, la risposta è sì: la colpa è degli speculatori. Purché si definiscano con precisione le parole. Speculatore è chiunque non metta i soldi nel materasso. Speculatore è chiunque preferisca un rendimento alto a uno basso, un rischio inferiore a uno superiore, e non sia disposto a rischiare senza essere adeguatamente remunerato. Lo spiega bene l'economista Marco Pagano sulla Voce.info: “Quando uno stato sovrano accumula un livello molto elevato di debito, gli investitori cominciano a temere che esso non sia ‘sostenibile', cioè che lo stato non riuscirà a restituire capitale e interessi generando avanzi di bilancio in futuro (cioè un gettito fiscale superiore alla spesa pubblica). In questo caso, chiedono tassi di interesse maggiori per acquistare nuovo debito pubblico, poiché vogliono essere compensati per il rischio di insolvenza”. La genesi della crisi attuale sta tutta lì. Sta nello stato greco, e in quello portoghese, e spagnolo, e italiano, che hanno accumulato un debito insostenibile. Vero è che l'architettura dell'euro complica le cose. Ma la radice di tutti i mali non è nel mercato, nella speculazione, nel profitto.

    La radice dei mali è nelle finanze pubbliche allegre e creative, nello stato spendaccione e irresponsabile. Nella speranza di alcuni governi europei che dei loro disastri si sarebbero fatti carico altri: gli investitori gonzi, i paesi più solidi, le generazioni future, mal che vada le organizzazioni internazionali. Con un risvolto geopolitico epocale: “I Brics salvano i Pigs”, ha riassunto l'economista Michele Boldrin, cioè le economie emergenti, i presunti barbari che nella retorica pre crisi dovevano abbatterci con la loro concorrenza sleale, ci aiuteranno a puntellare la diga. Eppure non c'è soluzione tecnica che, da sola, possa cavare l'Europa fuori dai guai. “Le tecnicalità – si leggeva ieri sul Financial Times in una rubrica ‘Lex' durissima – sebbene spesso efficaci, sono solo un pannicello caldo”. Il nemico, in questa crisi, siamo noi, cioè il ceto politico europeo che noi abbiamo eletto, che abbiamo votato e rivotato nonostante abbia creato il dissesto, o forse proprio per questo. Ora ci scontriamo contro il muro della realtà. Ora è il momento del realismo e della disillusione. Il mondo che ci crolla intorno ci costringe a quelle scelte che non abbiamo preso, o abbiamo preso troppo timidamente, quando il pianeta si ubriacava di sviluppo.

    Dobbiamo, anzitutto, ripensare il nostro modello di tassazione e spesa pubblica. Non possiamo più considerare la spesa come una variabile indipendente, e se le entrate non bastano, finanziare la differenza in debito. Dobbiamo tagliare il debito. Come un nobile decaduto, l'Europa, e dentro l'Europa chi è più indebitato come l'Italia, deve vendere i gioielli di famiglia per placare i creditori. Bisogna cedere lo sterminato patrimonio immobiliare e il portafoglio azionario in mano allo stato, anzitutto per far cassa, e poi perché il mercato possa mettere a frutto quello che lo stato non sa sfruttare. Dobbiamo convincerci che entrambe le scommesse – ridurre il rapporto tra debito e prodotto interno lordo e quello tra deficit e prodotto interno lordo per magari un giorno chiudere l'anno in pareggio – le si può vincere solo agendo sul denominatore, facendo lievitare il denominatore.

    La parola d'ordine per il settore pubblico deve essere: austerità. La parola d'ordine per il settore privato dev'essere: crescita. Ma perché il settore privato possa crescere, il settore pubblico deve creare le condizioni. Abbattendo le imposte, quindi riducendo la pressione fiscale, cioè dando ossigeno al settore privato. Rendendo più efficiente la Pubblica amministrazione, cioè non mettendole i bastoni tra le ruote. Abbandonando, soprattutto, la ricerca facile del capro espiatorio – gli speculatori, il mercato, cioè in ultima analisi la parte produttiva della società – e rifondando le istituzioni, nazionali e comunitarie, su basi nuove. Dobbiamo riscoprire la formula con cui il pianeta ha respirato, il pil si è moltiplicato. Si diceva, una volta: lo stato non è la soluzione, lo stato è il problema. Non lo si dice più, ma non per questo è meno vero.