Così l'Italia può diventare davvero un paese federale
L'Italia non è uno stato federale. Eppure, una via italiana al federalismo c'è, la vogliono quasi tutti, è reale, sempre più concreta. E' un'esperienza atipica, la nostra. Le Federazioni tradizionali sono sempre nate dalla volontà di Stati indipendenti di unirsi; al contrario, in Italia stiamo mettendo in discussione la compattezza di un sistema centralizzato che dura da decenni e che non regge più.
L'Italia non è uno stato federale. Eppure, una via italiana al federalismo c'è, la vogliono quasi tutti, è reale, sempre più concreta. E' un'esperienza atipica, la nostra. Le Federazioni tradizionali sono sempre nate dalla volontà di stati indipendenti di unirsi; al contrario, in Italia stiamo mettendo in discussione la compattezza di un sistema centralizzato che dura da decenni e che non regge più. Tramite percorsi informali e legislativi allo stesso tempo, muovendoci tra riforme costituzionali e Conferenze intergovernative, una strada in questo senso la stiamo percorrendo già da un po'.
Il Senato c'entra ancora poco in questa storia. Se dentro Palazzo Madama ci aspettassimo di trovare, come accade in tutti i principali Stati federali, una rappresentanza di interessi locali o quantomeno regionali, ne resteremmo delusi: i senatori sono membri eletti a suffragio universale diretto come i deputati, senza alcun legame “territoriale” né un vincolo di mandato; votati dai cittadini in base all'appartenenza partitica, non hanno mai avuto alcuna di quelle funzioni necessarie a differenziarsi dai colleghi della Camera bassa per farsi paladini di istanze federalistiche. In due parole: bicameralismo perfetto. In poche parole: l'Italia non ha ancora una forma di governo federale, e basta sorvolare Alpi e Atlantico per capirne il motivo.
Con la vittoria della coalizione Spd-Verdi alle elezioni di tre giorni fa nel Nord Reno-Westfalia, il Bundesrat, ovvero la Camera federale tedesca, cambia composizione. E non solo: la Cdu della Cancelliera non ha più la maggioranza nella Seconda Camera. Questo perché il Bundesrat è composto dai delegati degli Esecutivi dei Lander che pesano secondo un criterio demografico. E il Nord Reno-Westfalia è il Land più popoloso della Germania: al Bundesrat ha sei rappresentanti su un totale di 69. Un Bundesrat con diritto di veto su molte leggi e un rapporto privilegiato con il governo indipendentemente dal Bundestag: la Germania è uno stato federale. L'esecutivo è fortemente influenzato dalle elezioni regionali, è sottoposto a una campagna elettorale continua ed estenuante, costretto ad un dialogo mutevole con i territori per non compromettere la realizzazione del programma di governo.
Nati dalla volontà comune di tredici colonie di dichiararsi indipendenti dal dominatore britannico, gli Stati Uniti non possono poi che costituire, ancora oggi, l'idealtipo dello stato federale. Coerentemente con la perpetua ricerca americana di checks and balances sancita dalla Costituzione del 1787, al Senato gli Stati hanno tutti peso uguale, ovvero due rappresentanti. Ma soprattutto, la Camera statunitense ha mantenuto nel tempo dei poteri quasi governativi, essendo necessari il suo consenso per la stipula definitiva dei trattati internazionali e per l'approvazione delle designazioni presidenziali di ambasciatori, consoli, diplomatici e giudici della Corte Suprema.
La Costituzione italiana del 1948 ha costruito un sistema ben diverso: nessuna Camera delle regioni, nessun coinvolgimento delle autonomie locali nei processi decisionali nazionali. Ma dov'è, qual è allora la nostra strada verso il federalismo? Da una parte ci sono le recenti riforme costituzionali che hanno sconvolto, sulla carta e non solo, l'assetto istituzionale italiano. Le regioni hanno acquisito un ampio potere legislativo, il nuovo art. 114 mette su un piano di uguaglianza stato e autonomie locali. Si sancisce per la prima volta il federalismo fiscale. Non più gerarchia centralizzatrice, dunque, ma una Repubblica che si compone di parti diverse ed autonome. Dall'altro lato troviamo un sistema complesso ed evoluto di raccordi intergovernativi, per certi aspetti inafferrabile. Tre Conferenze nate informalmente che vedono l'esecutivo dialogare e chiedere pareri a regioni e delegati locali su disegni di legge, decreti legislativi, regolamenti.
La Conferenza stato-regioni in particolare, senza previsioni costituzionali e con il solo aiuto di un paio di leggi imprecise, ha creato negli anni un sistema efficiente e influente. Ha saputo sfruttare la vistosa assenza di un Senato federale ed è, al momento, il nostro unico, vero organo territoriale. E sta funzionando, a suo modo. C'è un problema di democraticità: i membri provengono dagli esecutivi, sono i presidenti delle regioni. Persiste una grave questione di trasparenza: riunioni e atti non sono pubblici. E nonostante ciò, per il “federalismo all'italiana” bisogna camminare sul tracciato che si ha a disposizione: continuare ad attuare le riforme, primo fra tutti il federalismo fiscale; puntare a strutturare e riconoscere costituzionalmente il sistema delle Conferenze. Ormai è totalmente inutile sottolineare con invidia rassegnata che gli Stati Uniti d'America o lo stato tedesco, per la loro origine confederativa, hanno creato sistemi federali efficienti. Il nostro passato è diverso, non ci possiamo fare nulla. Ma la strada che stiamo percorrendo così velocemente può essere in ogni caso quella giusta per noi. Anzi, lo è.


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