Anticipazione dal Foglio del lunedì

Consiglio per la festa del libro: leggere e scrivere meno, ma meglio

Giuliano Ferrara

Uno dice la tv, e sputa. La tv è volgare. Poi la lingua: mediocre, oscura, povera lessicalmente. Per non parlare delle maniere e consuetudini, della moda: il trionfo del banale, dell'inestetico, del generico. Critichiamo tutto: i giornali quotidiani, i settimanali, i partiti, le accademie, la scuola. Dovunque rintracciamo il germe del mediocre, dello scadente, dell'insignificante. E il libro? Non si sputa. No, il libro è circondato dall'aura del sensibile, della joie de lire, dell'intimità intelligente, dell'esclusività per ciascuno.

    Uno dice la tv, e sputa. La tv è volgare. Poi la lingua: mediocre, oscura, povera lessicalmente. Per non parlare delle maniere e consuetudini, della moda: il trionfo del banale, dell'inestetico, del generico. Critichiamo tutto: i giornali quotidiani, i settimanali, i partiti, le accademie, la scuola. Dovunque rintracciamo il germe del mediocre, dello scadente, dell'insignificante. E il libro? Non si sputa. No, il libro è circondato dall'aura del sensibile, della joie de lire, dell'intimità intelligente, dell'esclusività per ciascuno. Il libro è festivaliero, la sua presentazione è un'epifania, il rito celebrativo non perde apparentemente un colpo: scrivere e pubblicare equivale a incantare, a sottrarre se stessi alla brutalità dell'epoca, alla sua massificazione culturale, come dicono i sociologi della cultura che hanno leggiucchiato Walter Benjamin e le sue tesi sull'auraticità dell'arte e la riproducibilità tecnica delle opere. Ma è così? Dicono questo le classifiche, i saloni del libro, i libri che si pubblicano?

    Con tutto il rispetto per le molte buone cose che si stampano, per il lavoro degli editor autorevoli e intelligenti (quando c'è), per la perseveranza degli scrittori che hanno qualcosa da scrivere, per la funzione insostituibile dei libri, il Libro come idolo della cultura celebrativa e come bandiera di buona coscienza in chi legge e in chi non legge mi sembra la più volgaruccia tra le creature con le quali abbiamo a che fare nel vasto mondo. Se analizzate con scrupolo, le classifiche di vendita danno risultati disarmanti: salvo eccezioni, vincono la gara del successo quasi sempre libri poco sorprendenti, messaggi scontati, opere che si conquistano il dominio commerciale con più o meno sottili persuasioni televisive, passaggi giornalistici. Da quanto tempo non esce più un libro a sorpresa? Un racconto o un saggio che impegni il forte e il duraturo che abita le testoline di uomini e donne occidentali?

    Ricordo da ragazzo, cioè trent'anni fa, la presentazione a Roma di un libro di Michel Foucault: c'era qualcosa di nuovo, e Umberto Eco non pareva un celebrante del banale (era “Le parole e le cose”). Dall'infanzia mi perseguitano le discussioni su Vladimir Nabokov e la sua “Lolita”, un romanzo che non ho amato, quando più tardi l'ho letto, ma certo non era un remake o una metafora ovvia per giovani scrittori. Il Gattopardo era un'ossessione, come Zivago. Tutte a loro modo sorprese, incursioni significative. La verità, a me sembra, è che i libri sono troppi, sono troppi gli scrittori e le scrittrici, troppi i premi, troppi i festival, troppo compiaciuta la miscela di letteratura e politica, letteratura e civismo, letteratura e sociologia della crescita economica e sociale dell'occidente. Non è questione di industria culturale, siamo oltre il novecentismo e anche oltre il postmoderno. È questione di esagerazione, di accessibilità inaudita dell'edizione, di pigrizia e vanità. Siamo al solito rimescolio di mezzacalzettaggine alla portata di tutte le borse, ma su una scala inverosimile di possibilità estreme: tutti autori, tutti scrittori, tutti produttori di libri.

    La gioia di leggere resta. I buoni libri escono. Ma senza selezione, senza la decisione che discrimina e sceglie e rende raro, prezioso, ciò che oggi è diffuso, e a buon prezzo, fino alla noia, il libro dei nostri anni resterà consegnato nella bomboniera delle buone intenzioni realizzate, cioè in un luogo parecchio sordido. È un problema di etica della lingua, del pensiero e della sensibilità che sottopongo ai giovani giornalisti e a tutti coloro che hanno la tentazione del libro, come incitazione a non scrivere troppo, e agli utenti dell'auratico librarismo per tutte le borse che - anche loro - dovrebbero leggere meglio, e meno, meno ma meglio.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.