Figure della corruzione
Per convincersi d'essere ripieni di verità vera, tanti distinti politici e giornalisti si accalorano, si gonfiano come rane e la pagliuzza dei giusti si staglia più della trave dei reprobi. Il moralista condanna quel che vorrebbe fare ma non osa. Del vizio ruba un assaggino, degustandolo nella parola: “Maiali!”, dice, e la pancia gli borbotta; “puttanieri!”, e il pene gli si drizza come non mai. Intanto non smette di grattarsi per un fastidioso prurito alla nuca: qualcosa gli dice che predicare è già razzolare male.
Per convincersi d'essere ripieni di verità vera, tanti distinti politici e giornalisti si accalorano, si gonfiano come rane e la pagliuzza dei giusti si staglia più della trave dei reprobi. Il moralista condanna quel che vorrebbe fare ma non osa. Del vizio ruba un assaggino, degustandolo nella parola: “Maiali!”, dice, e la pancia gli borbotta; “puttanieri!”, e il pene gli si drizza come non mai. Intanto non smette di grattarsi per un fastidioso prurito alla nuca: qualcosa gli dice che predicare è già razzolare male.
Corruzione è correttamente pontificare di corruzione, ingozzando sé e gli altri di quella noia che erige i patiboli. Vedo più truffa nell'impettito articolo che dall'alto della sua virtù sprezzante soppesa il truffatore, che nel truffatore stesso. Quanta fame di… giustiziati! Tra bulimia e corruzione un patto d'acciaio: ah quei pm così ingordi d'altri bulimici, gli affaristi arraffoni! Quanti processi allestiti con entusiastica cupidigia ma, dopo grandiose abbuffate, svaniti nel nulla, con nuovi freschi imputati pronti per l'insaziabile bocca di quel Moloch che si ha l'impudenza di chiamare Giustizia. Ci fossero almeno delle condanne definitive, a testimoniare che, purga e purga, fruga e purga, finalmente si è trovato un diamante nello sterco di Satana. Macché, in Italia si fa un gran can-can ma poi s'imprigionano solo i morti di fame. La bulimia non trova mai nulla, per questo è senza fine, per questo è bulimia. L'unico che sia riuscito a castigare il Cavaliere è stato un giudice civile, defilato, quasi inappetente.
Cosa caratterizza il corruttore della propria anima, colui che per non incontrare altro si pietrifica, si ottunde, si divora? Non la ruga, la pancia e nemmeno il cadavere rappresentano la corruzione, quanto l'integrità nella sua deriva integralista. Si ottunde il bel giovanotto palestrato e senza pensiero, con il tatuaggio neonazista sul braccio. Si pietrifica lo splendido anoressico, il coerente che in tanti anni mai ha cambiato idea, per l'idea che cambiandola si potesse intaccare la sua piccola fede, una fedina penosa. Si divora nell'ansia l'integerrimo che ovunque vede corruzione pur di distogliere lo sguardo da quel Sé che deve immaginare tutto d'un pezzo. Se vi scorge una minuscola crepa, per timore d'un crollo corre a tapparla con una scorpacciata d'identitarismo; rinnegato il peccato originale, quella mancanza che propizia il desiderio, non può ammettere che le ferite narcisistiche siano preziose come quelle di san Sebastiano.
Intanto il consumista, accortosi che Dio è un osso troppo duro, ripiega sugli umani e sui gadget, e per far fronte alle spese si pappa il Vitello d'oro. Mosè fece la statua a pezzettini e li diede da mangiare ai suoi adoratori: una terapia per i mazzettari? Hanno già la loro punizione: solo per darsi un tono il corrotto fa mostra di godere; quando si svincola da un reale desiderio, da un progetto di vita, il godimento è destinato allo scacco.
A che pro, allora, tutto questo? Un moralista che vuole farsi bello, un giudice che vende una sentenza al migliore offerente, un assessore che intasca una mazzetta... che sensazione provano? Fingono di non sapere che il loro stesso corruttore – chi li compra ma anche chi li applaude e non li castiga – li disprezza? Proprio quel disprezzo li fa godere. I trenta denari sono l'alibi perbenista, il vero bottino è la vergogna, il sentirsi schifoso. Per una simile lussuria uomini al colmo della scalata sociale si rovinano, paghi di un'espiazione che vale un incontro con Dio.
L'uomo più corrotto della sua epoca, uno che non riusciva a innamorarsi di niente e di nessuno, simpatico e tollerante solo perché anche l'odio lo affaticava, Filippo d'Orléans, le Régent, grondando vizio all'alba s'inginocchiava e pregava Dio. Tradiva persino il proprio ateismo! Il corrotto tradisce sempre: una causa, una persona, le proprie aspirazioni innanzitutto. Ma Giuda scaglia sulle pietre del sinedrio i trenta denari: beau geste! Non era davvero corrotto, e neppure traditore. Era innamorato e geloso; fu il primo dei dodici apostoli a morire appeso, precedendo lo stesso Gesù. Da un ficosecco Giuda ondeggia al vento dell'eterno, una tra le immagini più potenti del Vangelo.
Attenzione a distinguere la corruzione dalla sua messinscena derisoria. Macerato dal rimorso l'ingordo Danton ha cercato il patibolo mentre Talleyrand, immerso nel vizio, se la spassava. Nessun senso di colpa quando il conte di Périgord – nonché abate di Autun prima di divenire giacobino, imperiale, liberale e un mucchio di altre cose tutte insieme – giocava a sfottere i pieni di sé, tanto che Napoleone, esasperato dalla sua faccia di bronzo, una mattina lo schiacciò contro il muro manco fosse un ragno. In effetti Talleyrand soffriva di aracnodattilia genetica, dita infinite che incastrava con risultati tipo mani – ma anche piedi – di forbice. Una macchinazione teatrale in più nelle sue pièces di seduzione e fuga, d'inganni ed artifici. Un palcoscenico mondano che per la sua disinvoltura sembra bordeggiare la bulimia ma in realtà ne è l'antidoto, ben più efficace del rudimentale sgrassamento proposto da Calderoli. Non è bulimia quella di Talleyrand come non lo è quella di Berlusconi, semmai isteria istrionica, un cimentarsi al border per poi tornare on line, una sfida alla Legge non priva di brividi e colpi di scena. I veri bulimici sono solo bulimici, monotoni e per niente divertenti.
Alcide De Gasperi era un Padre all'antica. Si presentò con parole austere, ponendo ad esse, a noi tutti e a se stesso, un limite. Pubblicamente si abbandonò a un moto di gioia solo quando tornò dall'America mostrando ai cinegiornali dell'epoca il famoso assegno di cinquanta milioni di dollari. A vederlo oggi fa tenerezza. Con il Cavaliere, il Padre non è più il limite al godimento ma l'incitamento. Egli stesso si pone come sprone ed esempio: “Amatemi e vi farò godere”. Forse la chiesa vorrebbe un po' raffreddarlo, ma deve domare l'incendio che è scoppiato nelle sue sagrestie. Per gli entusiasti e gli schifati il Cavaliere è un dio, un dio veterotestamentario nella versione Schreber: non il supremo Ordinatore ma un casinaro, capriccioso e seduttore, enigmatico nel suo offrirsi agli occhi di tutti. Ma anche il dio del fare. Misteriosa fertile contaminazione: non credevano gli antichi che dalle viscere formicolanti dei tori sacrificati sorgessero sciami d'api, luccichio del miele al sole dell'estate?
“Credo che Berlusconi sia…”. Che ridicolo! Come credere che Berlusconi sia questo o quello? Questo o quello per lui pari sono; essenziale piuttosto – diceva un caro amico del Duca di Mantova, Dom Juan – le changement, affinché niente cambi, precisa il Gattopardo. Cambia e menti: se il Cavaliere indossa la maschera del padre severo, è sempre per giocare, questo gli piace, ci piace. Bettino Craxi rimase senza parole la notte che gli gettarono le monetine mentre usciva dal Raphael, ma ancor più sarà rimasto senza parole un anno dopo quando l'amico e sodale venne eletto al suo posto nel nome di Mani pulite. Entrambi avranno riso? Amaramente il fuggiasco.
Quell'Italia che compunta allora aveva finto di credere, ora apertamente ride al ritorno di Berlusconi nelle vesti di severo fustigatore. Ridono i fan, ridono i nemici, ride anche il Cavaliere, pur insistendo nelle filippiche. Ha i suoi tristi motivi. Ministri che pasticciano con la legalità e si fanno beccare. Peggio di un crimine, direbbe Talleyrand, un errore! L'errore non sbaglia: quale inconscia vendetta spinge il cortigiano a mettere in difficoltà il suo sovrano? Che tocca fare al povero Jahvè? Coprire i reprobi? Cacciarli? Cacciarli e coprirli, coprirli e cacciarli? Intanto la Lega sta mettendo le mani avanti, mani pulitissime il cui scintillio fa innamorare, pulite non dalla toga ma pulite perché sporche di lavoro, un unto divino. Eugenio Scalfari giorni fa ha distinto tra imbarbariti e barbari; a quale delle due specie appartengono i leghisti? Scalfari apre ai barbari, “il nuovo che arriva”, analfabeti ma interessanti dal momento che “vogliono ricominciare da zero”. Ma davvero ancora esistono anime bianche o sono solo stinte? Certo è che, con l'Europa in mano ai barbari, per seicento anni non accadde pressoché nulla. Sono tanti seicento anni. Ma almeno la corruzione verrà spazzata insieme ai rifiuti e ai libri che non siano di cucina e di pesca. E la celebre misteriosa pipa di Magritte tornerà ad essere solo, esclusivamente, solida, minacciosamente, una pipa.
Il Foglio sportivo - in corpore sano