“Se il governo ci propone una riforma cazzuta, la voteremo”

Il tesoriere del Pd ci dice perché il federalismo è una grande occasione per il Pd

Claudio Cerasa

Roma. “Nel nostro partito ci sono molte persone che non hanno capito l'occasione storica che ci ritroviamo davanti. Il federalismo, se fatto come si deve, può essere una vera occasione per rivoluzionare l'Italia, rivoltandola come un calzino e responsabilizzando quelle aree e quelle regioni che oggi stanno letteralmente finendo a rotoli". Vi chiederete se queste parole arrivino dalla bocca di un vecchio leghista o magari dalle labbra di un convertito dipietrista, e invece no...

    Roma. “Nel nostro partito ci sono molte persone che non hanno capito l'occasione storica che ci ritroviamo davanti. Il federalismo, se fatto come si deve, può essere una vera occasione per rivoluzionare l'Italia, rivoltandola come un calzino e responsabilizzando quelle aree e quelle regioni che oggi stanno letteralmente finendo a rotoli. E per far diventare il nostro un paese più europeo, in cui far coesistere gradualmente ogni singola autonomia delle regioni, beh, non c'è dubbio che una sana riforma federalista non può che farci bene. La storia che costerebbe tanti soldi allo stato? Sinceramente, io non ci credo”.
    Vi chiederete se queste parole arrivino dalla bocca di un vecchio leghista o magari dalle labbra di un convertito dipietrista, e invece no: a parlare con il Foglio di federalismo fiscale, e in particolare di federalismo demaniale, è uno dei nuovi volti del Pd, uno di quei dirigenti democratici che quando ragiona di quattrini, tra l'altro, sa perfettamente di che cosa sta parlando.

    Lui si chiama Antonio Misiani, è un deputato del Pd, è membro di quella commissione bicamerale che ha lavorato, e che lavorerà ancora, sul federalismo fiscale; ma, soprattutto, Misiani è l'uomo che tiene sotto controllo le casse del Pd. E sulla riforma federale, il tesoriere del Partito democratico ha idee piuttosto controcorrente.
    Il federalismo di cui parliamo si riferisce in particolare al testo che disciplina il trasferimento dei beni dello stato alle autonomie locali – il così detto federalismo demaniale – approvato ieri pomeriggio in Consiglio dei ministri dopo aver ricevuto il via libera il giorno precedente in commissione bicamerale: con i voti favorevoli di Lega, Pdl e (a sorpresa) Italia dei valori, con i voti contrari di Udc e Api e con l'astensione di un solo partito: il Pd. “Lo dico con franchezza – dice Misiani, quarantenne democratico bergamasco – la vera ragione per cui il Pd non doveva votare a favore di questo decreto non era legata al fatto che il federalismo demaniale fosse un male per il paese; quanto piuttosto che il testo di cui abbiamo discusso in commissione, e che la Lega mi pare di capire che consideri ‘rivoluzionario', era accettabile, sì, ma non presentava nessuno di quei caratteri appunto rivoluzionari di cui invece avremmo urgentemente bisogno. Questa di cui stiamo parlando, almeno al momento, è una riforma federale azzoppata e decisamente troppo fiacca, migliorata semmai dal Pd – non dalla Lega nè tantomeno da Antonio Di Pietro. Il federalismo, quello vero, è invece un'innovazione ambiziosa e importante: capisco che questo argomento possa essere accolto con fatica in tanti settori del nostro paese che non vogliono rinunciare ai loro privilegi, ma offrire la possibilità di modernizzare regioni che spesso si sono comportate in modo poco responsabile, beh, è un'occasione importante, e il Pd non se la deve far sfuggire”.

    Misiani dice anche qualcosa di più sull'argomento. In questi giorni, diversi esponenti dell'opposizione – anche del Pd – hanno sostenuto che sotto sotto il federalismo altro non porterebbe che una silenziosa crescita della spesa pubblica. “Per assicurare il passaggio al federalismo nelle materie strategiche (cioè sanità, istruzione e assistenza sociale) occorrerebbero quasi 133 miliardi di euro”, ha scritto Repubblica, appena cinque giorni fa. E sulla possibilità che la riforma possa nascondere delle spese impreviste si è espresso anche qualche ministro del governo (“Se qualcuno – ha detto due giorni fa Renato Brunetta – mi dice che il federalismo costa, io dico meglio non farlo”). “Bene – incalza Misiani – dobbiamo essere onesti: si tratta di una falsità. Costruito come dovrebbe essere, il federalismo non solo non costerebbe nulla ma dovrebbe persino farci risparmiare. I 133 miliardi di maggiori spese non esistono, lo sappiamo tutti, e se il governo deciderà di tagliare tutti quegli enti spreconi che si trovano in giro, ecco, la riforma potrebbe persino costare meno del previsto. La mia domanda, che è anche un guanto di sfida che lancio alla maggioranza, è: la Lega e il Pdl avranno il coraggio di presentarci un federalismo capace di migliorare l'Italia? Se non verrà fatta una buona riforma federale, una riforma cazzuta mi verrebbe da dire, vorrà dire che il governo dimostrerà di saper fare soltanto passetti indietro ogni volta che si trova di fronte alla grande sfida di modernizzare il paese. Una sfida che riguarda anche il Pd, che deve abbandonare ogni conservatorismo mettendosi in prima fila per il federalismo contro gli sprechi: contro i fannulloni, contro quelli che sperperano i soldi dei contribuenti, contro chi nei partiti – sia chiaro: in tutti i partiti – e nelle istituzioni non fa il suo dovere con spirito civico e di servizio”.   
        Claudio Cerasa

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.