Ebbro e solidale

Il localismo alcolico è il miglior modello di federalismo che un uomo possa sognare

Camillo Langone

Conoscete il paese dove fiorisce il federalismo? Io sì, ve lo presento: si chiama Enotria, è l'Italia del vino. Francamente non so se il federalismo funzionerà a livello fiscale, sanitario, scolastico: lo spero ma non lo so. Invece so che a livello enologico funziona divinamente. E non pensiate che sia sempre andato così, che il localismo alcolico sia un retaggio del passato. Sbagliereste di grosso: fino agli Ottanta sugli scaffali delle enoteche e nelle carte dei migliori ristoranti imperava il centralismo. Vedo facce perplesse, urge un corso accelerato di storia della bottiglia.

    Conoscete il paese dove fiorisce il federalismo? Io sì, ve lo presento: si chiama Enotria, è l'Italia del vino. Francamente non so se il federalismo funzionerà a livello fiscale, sanitario, scolastico: lo spero ma non lo so. Invece so che a livello enologico funziona divinamente. E non pensiate che sia sempre andato così, che il localismo alcolico sia un retaggio del passato. Sbagliereste di grosso: fino agli Ottanta sugli scaffali delle enoteche e nelle carte dei migliori ristoranti imperava il centralismo. Vedo facce perplesse, urge un corso accelerato di storia della bottiglia.

    Lezione numero uno: prima dell'Unità ogni regno, ogni ducato si beve il suo vino. Ovviamente sono vini cattivi, prima dell'igiene e della tecnica è impossibile fare vini buoni. Per questo nascono vermut e marsala: l'aggiunta di liquori, distillati, infusi vari, evita che il vino puzzi, se ne vada all'aceto, si decomponga. Ma non è più vino, chiaro, come non sono vino lo champagne e lo spumante (altri relitti dell'enologia ottocentesca), che nel novantanove per cento dei casi sono prodotti addizionati.

    Lezione numero due: dopo l'Unità ogni paesello continua a bersi il suo vinello ma nell'alta società, servile e imitativa e flaianamente pronta a correre in soccorso del vincitore, si comincia a bere il Barolo, detto re dei vini per il semplice motivo che è il vino dei re. Dei re sabaudi, non ci dovrebbe essere bisogno di specificare. Sono gli anni in cui si inabissano Pallagrello e Casavecchia, i vini della Campania Felix che piacevano al Borbone. Dei grappoli casertani si perde finanche la memoria, quando verso il 2000 riappaiono è come se oggi in Siberia riapparissero i mammut: dove si erano nascosti per tutto questo tempo?

    Lezione numero tre: il boom economico ha come corollario l'omologazione vinosa in ogni fascia sociale. Ancora negli anni Cinquanta in tutta Roma non è possibile acquistare una sola bottiglia di Brunello di Montalcino: Amintore Fanfani, toscano, vuole esibirlo a un pranzo ufficiale della presidenza del Consiglio e per procurarglielo l'enotecaro Trimani deve mettersi in macchina e correre a Firenze. A partire dai Sessanta si susseguono decenni di mode senza confini e senza cervello, Pinot bianchi sbicchierati in Puglia e Vinsanti in Veneto, tutti vini da mal di testa per sovraccarico di zolfo. Verso fine millennio scorrono i più nauseanti aromatici, il Sauvignon pipì-di-gatto e il Müller-Thurgau fior-di-cimitero rovinano milioni di cene a base di pesce da Trieste a Taranto, da Salerno a Sanremo. Ma è in agguato la reazione che, miracolo, in Enotria riesce a realizzare i propri sogni: a partire dai Novanta in ogni regione vengono reimpiantati i vitigni autoctoni e i vini che se ne ricavano incontrano l'immediato favore del pubblico.

    Un popolo famoso per la sua esterofilia si getta entusiasticamente su Arneis, Timorasso, Ribolla, Pignoletto, Grechetto, Sagrantino, Passerina, Pecorino, Falanghina. Da non crederci. E' il federalismo nel bicchiere, senza colpo ferire e senza costi aggiuntivi, anzi con risparmi perché coltivare vitigni locali, a proprio agio nel loro geoclima, costa meno che coltivare vitigni globali, spaesati e più facili ad ammalarsi. Il fenomeno anticipa l'esplosione della Lega e la nascita delle controleghe, quindi la politica non c'entra o c'entra come effetto, non come causa. C'entra qualcosa il conservatorismo politicamente corretto di Slow Food e Carlo Petrini, i cui libri hanno influenzato Luca Zaia. C'entra parecchio una voglia di patria che evidentemente persiste e non appagandosi di una patria nazionale non credibile, retorica e ideologica, si sfoga con le piccole patrie che sono carne, campanile e calice.

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).