La strana guerra

Salotti, capitali e politica. Il tratto meno noto della zuffa tra D'Alema e CDB

Alessandra Sardoni

“D'Alema? E' un problema umano”, ha detto Carlo De Benedetti. E molti a sinistra, anche tra coloro che non lo amano, hanno pensato che stavolta l'Ingegnere ha fatto centro. Consegnare il presidente del Copasir al lettino dello psicanalista sembra azzeccato a quelli che finora non hanno avuto il coraggio di farlo e che non vogliono commentare. 

    “D'Alema? E' un problema umano”, ha detto Carlo De Benedetti. E molti a sinistra, anche tra coloro che non lo amano, hanno pensato che stavolta l'Ingegnere ha fatto centro. Consegnare il presidente del Copasir al lettino dello psicanalista sembra azzeccato a quelli che finora non hanno avuto il coraggio di farlo e che non vogliono commentare. L'estemporanea boutade di CDB durante la performance alla London School of Economics non è da archiviare solo come ruvida reazione al diminutivo poco vezzeggiativo di “berluschino” affibbiatogli dal presidente del Copasir, in risposta all'altrettanto spietato giudizio dell'Ingegnere sull'intera parabola dalemiana: non ha mai combinato niente e ha ammazzato il Pd. Lo spostamento dal piano politico a quello psicologico della polemica innescata dal libro intervista di Paolo Guzzanti a CDB non serve a chiuderla. Piuttosto spalanca il significato culturale di una storica avversione che rimanda a un tormentato sentimento di D'Alema verso un capitalismo ingrato che mai gli si è voluto consegnare.

    La strana guerra fra l'imprenditore che vorrebbe sottomettere la politica, almeno del centrosinistra, e il leader politico che vorrebbe dirigere, se non il capitalismo, i capitalisti, attraversa due decenni abbondanti e testimonia alla fine dell'impossibilità per CDB di scegliere il leader, per D'Alema di realizzare il primato della politica sull'economia. Il fallimento di un'idea “costruttivista” del capitalismo, per usare un aggettivo coniato nell'estate dei furbetti da Franco Debenedetti (fratello di Carlo), l'idea che alla politica spetti la selezione e la tutela dei capitalisti buoni. La vibrazione personale si era sentita del resto due giorni fa nella veemenza con cui D'Alema aveva replicato a CDB: un'invettiva contro le seduzioni della ricchezza come elemento necessario per scegliere il leader e poter governare, un convincimento che secondo il presidente del Copasir ha preso piede a sinistra.

    Fra D'Alema e CDB insomma non è solo questione di partito leggero versus pugni del partito e nemmeno solo di segreti, e dunque di complicità. Né solo della rappresentazione di D'Alema come l'avversario più amato da Berlusconi, cui alludeva ieri Guzzanti in una lettera al Corriere. C'è invece l'idea fissa dei rapporti fra politica e capitalismo, ereditata dagli anni Ottanta, immediatamente precedenti la grande stagione delle privatizzazioni, dell'allargamento ai newcomers contro i salotti buoni.

    Una sorta di rivendicazione del potere di selezionare la specie: De Mita lo aveva fatto con Calisto Tanzi, Craxi con Berlusconi. Storie finite con sganciamenti e addirittura sorpassi delle creature rispetto ai pigmalioni, ma a medio e lungo termine. D'Alema scelse Roberto Colaninno e la scalata costruttivista a Telecom nel 1999, cosa che però in brevissimo tempo si trasformò nel suo peccato originale. E a De Benedetti, cui Colaninno aveva sfilato l'Olivetti, non piacque troppo l'endorsement del primo premier ex Pci. Non aiutò i buoni rapporti fra i due che militarono su fronti diversi anche nella guerra delle banche, l'estate della tentata scalata dell'Unipol di Consorte alla Bnl dove tuttavia, secondo gli osservatori di vicende economiche patrie, la hybris dalemiana si esercitò e fu sconfitta soprattutto nella sfida al veto di Cesare Geronzi. Con cui D'Alema aveva avuto fin lì buoni rapporti.

    In funzione, allora, anti Geronzi fu Bazoli a tentare, nell'estate del 2006, il riavvicinamento fra CDB e D'Alema. Ma non funzionò nonostante la mediazione di Angelo Rovati, già consigliere di Prodi a Palazzo Chigi. La diffidenza fece premio viste le storiche preferenze dell'editore di Repubblica e l'Espresso per Rutelli e Veltroni. “De Benedetti dovrebbe ricordarsi che non è solo un imprenditore, ma l'editore di un giornale, il più rappresentativo del nostro elettorato… Lo mette in imbarazzo così”. Dice al Foglio Alfredo Reichlin, ispiratore storico della visione dalemiana dell'economia, convinto sostenitore, lo dichiarò in un'intervista all'Unità nel 2006, che “il potere finanziario italiano è una specie di circolo chiuso di tipo massonico” e che il primato della politica, questo lo dice oggi, non è in discussione: “Dovremmo farci comandare dai salotti?”. L'idea che CDB approfitti di un momento di debolezza di Max lo indigna: “Se così fosse sarebbe un calcio dell'asino, poco elegante specie alla vigilia dell'assemblea del Pd”. In soccorso di D'Alema contro Guzzanti si fa sentire Enrico Letta, non molti altri, segno che per buona parte del Pd contano di più gli umori dell'ingegnere e del suo giornale che non quelli di D'Alema.