Di che cosa è fatta la sua leadership? Come si pone per lui la questione del consenso?

Tremonti, chi?

Marianna Rizzini

Di che materia è fatta la leadership del formidabile Tremonti? Il Giulio Tremonti che appare in questi giorni nelle pagine dei giornali è un superministro superapprovato, quasi coccolato. E' un Tremonti che vince una battaglia. Un Tremonti cui sorridono sia il Quirinale – che ha invitato l'opposizione a condividere i sacrifici “equi” – sia il Vaticano (attraverso il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, economista tremontiano ed editorialista pro Tremonti dell'Osservatore Romano).

    Di che materia è fatta la leadership del formidabile Tremonti? Il Giulio Tremonti che appare in questi giorni nelle pagine dei giornali è un superministro superapprovato, quasi coccolato. E' un Tremonti che vince una battaglia. Un Tremonti cui sorridono sia il Quirinale – che ha invitato l'opposizione a condividere i sacrifici “equi” – sia il Vaticano (attraverso il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, economista tremontiano ed editorialista pro Tremonti dell'Osservatore Romano). A Tremonti ha lanciato un sorriso, dal suo editoriale della domenica, persino Eugenio Scalfari (“…E' lui che traduce in italiano la politica europea… Silvio Berlusconi è non più che l'ombra del ministro dell'Economia”, scrive il fondatore di Repubblica).

    Attorno a Tremonti si stringono molti sindaci del nord non solo della Lega e, come scriveva ieri Rinaldo Gianola sull'Unità, ormai più nessuno, nella stampa di area De Benedetti, “fa dell'ironia sul ‘fenomeno' alla guida dell'Economia”. Eppure, in qualche modo, Giulio Tremonti resta “fenomeno”: la sua leadership non nasce all'interno di una lunga consuetudine partitico-politica d'apparato (come, per esempio, quella di Gianfranco Fini), il suo approccio non è stato quello di un uomo che adatta l'azione allo spettro del consenso, il suo carisma e la sua presa, pur forti, non sono mai riusciti a dissipare del tutto la diffidenza che Tremonti ancora ispira nella nomenclatura politica e in alcuni ambienti economici (che pure hanno in comune con il ministro formazione e frequentazioni). Di che cosa è fatto, allora, il Tremonti leader di questi giorni? E' un gigante puro o un gigante che conserva alla base un po' di friabile argilla?

    Ad Angelo Panebianco, politologo ed editorialista del Corriere della Sera, Giulio Tremonti ricorda, pur nella diversità del contesto, “Giuliano Amato e Nino Andreatta, uomini politici che non avevano una forte organizzazione alle spalle e che però avevano intessuto un rapporto di fiducia, rispettivamente, con Bettino Craxi e Aldo Moro, mostrando competenza nello stabilire relazioni anche esterne alla politica. Tremonti, poi, si è posto in modo strategico tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, in un punto di snodo fondamentale per tutto il Pdl”. E però qualcosa, dice Panebianco, “crea diffidenza”: “In primo luogo c'è il carattere controverso dell'azione di un ministro che, a sinistra, fa paura per le sue politiche non molto diverse da quelle ‘di rigore' nelle fasi storiche in cui il rigore era necessario – penso a Carlo Azeglio Ciampi. In secondo luogo alcune posizioni di Tremonti vengono temute perché percepite come concorrenziali. A destra, invece, le sue idee sul ruolo dello stato e sulle tasse entrano in conflitto con l'originaria ragione sociale dell'ex Forza Italia.

    Senza contare che Tremonti, a differenza di altri, non è un costruttore di apparati: la sua posizione nel partito è dunque anomala”. Il sociologo Luca Ricolfi, editorialista della Stampa, vede un Tremonti bifronte: “A destra Tremonti è l'unico leader che può, al tempo stesso, ricevere l'eredità di Berlusconi ed essere percepito come un elemento di rottura. Sembra un ossimoro, ma è così. Né Fini né Casini né Formigoni ce la possono fare. Se è davvero un leader lo vedremo, per adesso mi pare che le sue virtù, la principale delle quali è la prudenza, si sovrappongano perfettamente con i suoi limiti: nessuno sa verso che tipo di paese Tremonti abbia intenzione di traghettarci, e nemmeno se le sue aspirazioni vadano al di là di quelle attuali, che a me paiono ridursi all'obiettivo di evitare il peggio (lo dico senza ironia: sarebbe già molto). Per quel che si è visto fin qui, Tremonti è un iper-realista, ha una visione estremamente disincantata e lucida dei limiti della società italiana, a tutti i livelli: un'opinione pubblica debolissima, una pubblica amministrazione ingessata, una classe dirigente corporativa, un ceto politico incompetente e privo di slanci ideali”. Ricolfi ha l'impressione che Tremonti “sia discretamente terrorizzato dal cambiamento. La sua linea mi sembra un po' come quella della sinistra in materia di droga: scordiamoci di debellare la tossicodipendenza, e occupiamoci piuttosto di riduzione del danno. E' quello che sta facendo questo governo, con un certo successo”.

    Sul futuro, Ricolfi concede che un “Tremonti potrebbe provarci” (a tirare fuori il paese “dalle secche in cui si è incagliato”): “Forse potrebbe provarci, perché è spiritoso. Per convincerci a cambiare le nostre abitudini ci vuole qualcuno di cui ci fidiamo, e che non ci annoi a morte. Non può essere Berlusconi, che è detestato da un italiano su tre, non può essere uno degli attuali leader di sinistra, che annoiano persino chi li vota”. Per Alessandro Campi, docente di Storia delle dottrine politiche e direttore scientifico della fondazione finiana FareFuturo, “il consenso di Tremonti, mai misuratosi con le urne, potrebbe, per fare una battuta, configurarsi come un consenso alla Salazar. Fuor di ironia, Tremonti sta costruendo questo consenso in modo eccentrico, giocando in controtendenza netta rispetto allo stile del dibattito politico italiano. Sta costruendo la sua leadership sul silenzio, sul non prendere mai posizione mentre gli altri si consumano in battaglie quotidiane, specie da quando è iniziata, nell'aprile dell'anno scorso, la via crucis di Berlusconi.

    In questo quadro Tremonti ha continuato a fare il suo mestiere assumendo una postura tecnica che, in prospettiva, è diventata anche molto politica: si è costruito una rispettabilità non soltanto tecnica”. Il destino del Tremonti “leader”, dice Campi, “dipende in parte dallo sviluppo della crisi economica – molti già gli imputano una linea ultra rigorista che da un lato tiene sotto controllo i conti pubblici e dall'altro inibisce qualsiasi ripresa economica. Se invece Tremonti ha delle ambizioni politiche non potrà che giocarle contro Berlusconi. Ammesso che ci pensi, l'ostacolo finale è quello: dovrà fare la scelta, non potrà arrivarci surrettiziamente, per piccoli passi, facendo un gioco di sponda con la Lega, accreditandosi in chiave economica.

    Oltretutto Tremonti rischia di accreditare l'immagine impolitica della sua leadership, riproponendo paradossalmente un modello di stampo tecnocratico contro il quale si è sempre battuto. Di fatto, pur non potendo essere ridotto a un tecnocrate, Tremonti in questi mesi sembra muoversi lungo una linea emergenziale che mette sotto tutela la politica. La sinistra in questo momento si concentra su di lui, ma questo atteggiamento disponibile ha molto a che fare con la ricerca spasmodica di un antiberlusconi”. Claudia Mancina, docente di Etica dei diritti ed ex parlamentare di area pd, non vede in Tremonti “un tecnico bensì un leader, pur non avendo un retroterra di partito. Tremonti ha una sua politica, fondata sull'asse con la Lega. E non è soltanto un'alleanza, è la sua forza principale rispetto a Fini, che non può garantire un buon rapporto con l'universo di Bossi, e al tempo stesso una concezione finanziaria che presiede allo sviluppo dell'Italia e che riguarda l'identità del paese”.

    E se è vero che Tremonti gode di buon credito Oltre Tevere, Luca Diotallevi, docente di Sociologia di area cattolica, sottolinea un'apparente dicotomia: “Tremonti esprime un orientamento politico culturale teso a rivalutare lo stato e quindi il primato sociale della politica, ma l'esperienza del mondo cattolico e il magistero sociale della chiesa vanno in direzione non monarchica, come quella di Tremonti, ma radicalmente poliarchica. Si pensi al discorso fatto da Benedetto XVI sabato scorso, alla Centesimus annus. La vicinanza di Tremonti con certi ambienti ecclesiali sembra di segno inverso rispetto alla distanza ideale; al tempo stesso la Lega ha al suo interno forti componenti anti stataliste, ma è indubitabile che abbia un rapporto privilegiato con Tremonti”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.