John Brennan ha ammainato la “guerra al terrore” e cancellato i riferimenti all'Islam

Il lato oscuro di Obama

Giulio Meotti

Il primo discorso del presidente Barack Obama sulla sicurezza nazionale sarà ricordato come quello che ha ammainato una grande bandiera ideologica degli ultimi anni. E' l'espressione “guerra al terrorismo” che aveva segnato gli anni di Bush. Merito di un veterano della Cia di nome John Brennan, che di quella guerra è stato protagonista e architetto. Brennan è il primo consigliere di Obama sul terrorismo.

    Il primo discorso del presidente Barack Obama sulla sicurezza nazionale sarà ricordato come quello che ha ammainato una grande bandiera ideologica degli ultimi anni. E' l'espressione “guerra al terrorismo” che aveva segnato gli anni di Bush. Merito di un veterano della Cia di nome John Brennan, che di quella guerra è stato protagonista e architetto. Brennan è il primo consigliere di Obama sul terrorismo. Non crede che “guerra al terrore” sia la formula giusta per la battaglia dell'America (lo aveva detto anche Obama al Cairo) e per questo ha separato la questione religiosa dalla strategia contro al Qaida.

    Due giorni fa, Brennan ha parlato al Center for Strategic and International Studies. “Il jihad è un pilastro legittimo dell'islam – ha detto Brennan – Il jihad è una guerra santa e non c'è nulla di santo nell'assassinio di uomini, donne e bambini innocenti”. Brennan è per separare islam e terrorismo, “evitando termini religiosi”. Quella contro al Qaida non è una “guerra globale al terrore”, ha continuato. Non è globale perché gli Stati Uniti non combattono contro il mondo o il male, il terrore è una mera tattica e non è nemmeno una guerra contro il jihad perché il conflitto non è religioso. Nessuno pensi che l'America sia in guerra contro l'islam. I conservatori parlano di ridicola politically correctness.
    I liberal chiamano Brennan “il clone di Cheney”, perché contro al Qaida ci sa fare e in merito c'è anche un dossier sulle sue attività meno presentabili. Non a caso Glenn Greenwald di Salon lo ha definito “un sostenitore ardente della tortura”. Lui nega, ma il sospetto è bastato a farlo fuori nella corsa alla guida della Cia, che Brennan ha servito per vent'anni.

    “Gli interrogatori duri di detenuti al vertice della rete terroristica e le intercettazioni ad ampio spettro hanno senza possibilità di dubbio reso più sicuro il paese”, aveva detto un anno fa l'ex vicepresidente Dick Cheney all'American Enterprise Institute. Entrambe le tecniche sono parte del curriculum dello zar dell'antiterrorismo di Obama. Brennan ha preso parte e teorizzato l'idea che dopo l'11 settembre l'America dovesse ottenere informazioni vitali sui piani e la struttura del nemico, che dovesse intercettare segretamente le comunicazioni e avviare un programma di interrogatori “duri” di quei terroristi prigionieri che erano al vertice dell'organizzazione jihadista e disponevano di notizie capaci di prevenire attentati, riorganizzazioni di cellule e di piani d'attacco in territorio americano o contro strutture all'estero.
    Elettore repubblicano, Brennan è stato il capo dello staff del direttore della Cia George Tenet, proprio negli anni in cui si diceva che l'Iraq di Saddam Hussein avesse le armi di sterminio e furono elaborate le strategie spionistiche post 11 settembre. Per questo a Brennan non era possibile rifarsi una verginità con Obama. Brennan resta un sostenitore dell'efficacia delle “extraordinary rendition” (i sequestri clandestini della Cia usati anche da Obama) e delle tecniche “avanzate” di interrogatorio (“in qualche caso bisogna togliersi i guanti”, ha detto). Lo zar di Obama è stato affondato come capo della Cia dalla durissima protesta dell'ala radicale della sinistra che ha convinto il presidente a nominarlo vice onsigliere per la Sicurezza nazionale. Al suo posto invece alla Cia è finito Leon Panetta.

    Il paradosso moralista post 11 settembre
    vuole che Brennan rappresenti il “lato oscuro” di Obama, come Dick Cheney ebbe a definire le operazioni antiterrorismo. Brennan ha studiato all'Università americana del Cairo, dove ha imparato a parlare perfettamente l'arabo e a conoscere l'islam. Dopo la laurea è arrivato il master in studi mediorientali all'Università del Texas nel 1980, lo stesso anno nel quale entra come recluta nella Cia. Per il dipartimento di stato ha servito nella sede di Gedda, in Arabia Saudita, poi si è occupato di medio oriente per la Cia fino a diventare nel 1994 l'ufficiale dell'intelligence responsabile del quotidiano briefing al presidente, che allora era Bill Clinton. Assistente del capo della Cia Tenet ne diventa capo di gabinetto e poi il direttore ad interim del Centro nazionale antiterrorismo. Ha lasciato la Cia dopo 25 anni di carriera, durante i quali ha ricevuto numerose decorazioni.

    Fino a gennaio i suoi consigli al presidente degli Stati Uniti erano stati tanto importanti quanto segreti. Poi il ruolo di super consulente. Il volo di Natale della Delta-Northwest diretto da Amsterdam a Detroit avrebbe potuto essere una strage. Per questo Obama, assumendosi la responsabilità per le “falle” nel sistema di sicurezza, ha deciso di far uscire dall'ombra Brennan, che a Washington è considerato oggi il vero uomo forte della Casa Bianca in tema di lotta al terrorismo. E' di lui che Obama si fida, a lui affida le analisi più delicate. Figlio di cattolici irlandesi, Brennan è cresciuto a North Bergen, una piccola città del New Jersey. Lo hanno educato i gesuiti, da cui si dice provenga il suo stoico spirito di servizio “unico” fra gli spioni di Washington. E' cresciuto in un quartiere multietnico, dove dice di aver imparato a rispettare le altre culture. Il suo nome è ancora oggi associato agli interrogatori estremi della Cia. I liberal hanno sollevato obiezioni legate al fatto che durante gli anni passati nell'intelligence Brennan avrebbe condiviso e appoggiato, se non applicato, tecniche di interrogatorio come il “waterboarding” accomunate alla tortura e considerate da molti giuristi una violazione della convenzione di Ginevra. Brennan è tra i tanti ex bushiani alla corte di Obama.

    Dopo l'11 settembre ha aiutato Bush a mettere in piedi il Centro integrato per le minacce terroristiche e ne è stato il direttore. Quando la struttura divenne più rilevante, assumendo il nome di Centro nazionale per il controterrorismo, Brennan ottiene la carica di direttore ad interim, ma la mancata conferma a numero uno in pianta stabile marcò la fine della sua scalata e l'addio al governo nel 2005. Il feeling con Obama ha anche un precedente biografico: entrambi hanno trascorso anni giovanili in Indonesia. E' lì, si dice, che Brennan avrebbe tratto ispirazione per la sua distinzione fra l'islamismo e l'islam. Cambia l'Amministrazione, ma Brennan sostiene ancora l'efficacia delle deportazioni clandestine (“rendition”), confermata e in uso anche dall'Amministrazione Obama. E' a favore anche dell'immunità garantita alle società di telecomunicazioni coinvolte nelle operazioni di spionaggio del governo senza il mandato formale di un giudice, altro pilastro e scandalo della politica di Bush. Brennan ne ha persino diretta una di queste compagnie. Si chiama “Analysis Corporation” e lavora per il dipartimento di stato occupandosi degli aspetti informatici della “Terror Watchlist”, l'elenco di persone sospettate di terrorismo in tutto il mondo.

    John Brennan è uno dei pochissimi agenti della Cia che siano stati sia operativi sia analisti. Dalla sua ha anche l'essere scampato alla strage del 1996 di venti americani in Arabia Saudita alle Khobar Towers. Per questo molti lo chiamano “il sopravvissuto”. Lui dice di essere entrato nella Cia dopo aver saputo di essere nato lo stesso giorno in cui fu impiccato il leggendario Nathan Hale. E' la prima spia della storia americana. Durante la guerra di indipendenza contro gli inglesi, Hale si propose come volontario per una missione di intelligence, ma fu catturato. Immortale è rimasta la frase che pronunciò prima di finire sulla forca: “Mi spiace solo di non avere che una vita da dare al mio paese”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.