Erdogan: "Punire Israele"
Così ad Ankara la “guerra” tra Israele e il migliore ex alleato tocca il culmine
Gli abitanti di Antalya, nel sud della Turchia, hanno una grande confidenza con gli stranieri. Ne arrivano migliaia ogni giorno, stanno negli alberghi o prendono il mare verso gli altri centri del Mediterraneo. Ma quelli che hanno occupato le strade della città nel fine settimana non erano turisti: fra bandiere della Palestina, canti e segni di vittoria, hanno augurato buona fortuna a 750 civili decisi a salpare per Gaza con un carico di aiuti umanitari, nonostante i divieti di Israele. Hanno chiamato la loro missione “Peace flotilla”, la flotta della pace.
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l premier turco, Tayyip Erdogan, ha chiesto alle Nazioni Unite che lo Stato ebraico "sia punito" minacciando di rivedere le relazioni militari ed economiche tra i due paesi. Di fatto il sanguinoso epilogo non impedirà alle forze armate di Israele di abbordare altre navi che si dovessero avvicinare a Gaza, come ha avvertito la Marina in vista dell'arrivo della Rachel Corrie, un mercantile convertito in traghetto.
Gli abitanti di Antalya, nel sud della Turchia, hanno una grande confidenza con gli stranieri. Ne arrivano migliaia ogni giorno, stanno negli alberghi o prendono il mare verso gli altri centri del Mediterraneo. Ma quelli che hanno occupato le strade della città nel fine settimana non erano turisti: fra bandiere della Palestina, canti e segni di vittoria, hanno augurato buona fortuna a 750 civili decisi a salpare per Gaza con un carico di aiuti umanitari, nonostante i divieti di Israele. Hanno chiamato la loro missione “Peace flotilla”, la flotta della pace. Gli specialisti dell'Idf li hanno fermati all'alba di ieri nelle acque internazionali dopo uno scontro a fuoco. Il bilancio del raid è di nove vittime, la maggior parte delle quali sarebbero di nazionalità turca. Per Ankara “si tratta di un'azione inaccettabile e Israele affronterà presto le conseguenze del proprio comportamento”. Questo caso può segnare la fine dell'alleanza fra i due paesi, una scelta che avrebbe ripercussioni in medio oriente come nel mondo occidentale.
A giudicare dalle prime contromosse, è come se il governo turco fosse alla vigilia di una guerra. Il premier, Recep Tayyip Erdogan, rientrerà questo pomeriggio dal Cile, dov'era impegnato in una visita ufficiale. Uno dei suoi vice, Bulenc Arinc, ha visto il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, per elaborare la risposta alla crisi. Il governo ha già richiamato il proprio ambasciatore a Gerusalemme e ha chiesto un vertice d'emergenza al Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si è tenuto ieri sera. Anche il capo dell'esercito, Ilker Basbug, ha interrotto una viaggio in Egitto per tornare in patria: tre esercitazioni congiunte in programma nei prossimi mesi risultano annullate. “L'assalto di ieri equivale a un atto di pirateria – ha detto Arinc a nome del governo – Tutto il mondo condannerà quanto è avvenuto”. Gli attivisti di Peace flotilla hanno lasciato il molo di Antalya fra il 27 e il 28 maggio, ma il loro progetto è partito nel 2007. Per tre anni hanno raccolto donazioni in tutto il mondo islamico, dal Pakistan all'Arabia Saudita passando per lo Yemen, e in alcune capitali dell'Europa.
Con quel denaro hanno messo insieme diecimila tonnellate di aiuti umanitari distribuite su quindici battelli. Nove hanno preso il largo dalla Turchia, sei da Cipro. Si sono trovati in mare aperto e hanno preso la rotta di Gaza. Il loro compito era preciso: aprire una falla nel sistema di difesa costruito da Israele per impedire il rifornimento di armi ai gruppi paramilitari della Palestina, un sistema che tanti, sul molo di Antalya, hanno descritto come “assedio” o “campo di concentramento”. “C'è un accordo fra di noi, se qualcuno ci attaccherà durante la traversata ci difenderemo”, ha detto ai microfoni di al Jazeera una attivista britannica, Caoimhe Butterfly, poche ore prima della partenza. Le notizie in arrivo da Gerusalemme non hanno colto di sorpresa tutti gli esponenti dell'Akp, il partito filo islamico al quale appartengono Erdogan e il presidente turco, Abdullah Gül. “Mi aspettavo un intervento, non uno spargimento di sangue – ha detto un deputato, Murat Mercan, nel corso della mattina – Israele ha scelto una soluzione che colpirà perentamente la sua immagine”. Nei giorni scorsi, scrive Hurriyet, un quotidiano vicino alla maggioranza, Ankara avrebbe chiesto alle autorità israeliane di facilitare il compito della missione. Nulla si sa sulla risposta. Forse Erdogan non ha sponsorizzato la flotta della pace, ma a quanto pare l'avrebbe almeno benedetta.
Il viaggio è cominciato per il lavoro di due sigle del pacifismo internazionale. Una è il Free Gaza movement, che ha sede a Cipro, l'altra è Insani Yardim Vakfi, una fondazione turca per i diritti umani conosciuta come Ihh. Proprio Ihh ha avuto diversi problemi in Israele negli ultimi anni, tanto che il governo di Gerusalemme ha deciso di bandirla nel 2008. Un analista americano, Evan Kohlmann, ha ricostruito la sua storia per il Danish Institute for International Studies di Copenhagen. Secondo lo studioso, Ihh è nata negli anni Novanta per fornire sostegno ai musulmani di Bosnia. In seguito, è rimasta coinvolta in una serie di problemi giudiziari a causa dell'acquisto di armi automatiche.
Accanto all'attività ufficiale, sostiene Kohlmann, l'Ihh è sospettata di aver reclutato combattenti per i gruppi sunniti che combattevano in Iraq, in Afghanistan e in Cecenia. Il 10 maggio, un uomo legato a questa organizzazione, Izzet Sahin, è stato espulso da Israele: lo Shin Bet dice che la sua attività avrebbe potuto creare problemi di sicurezza. Per anni, il governo Ankara è stato il migliore partner di Gerusalemme nel medio oriente. La Turchia fa parte della Nato e contribuisce alle missioni internazionali contro il terrorismo: un contingente di 1.500 uomini è schierato a Kabul, la capitale dell'Afghanistan. Con Israele ha portato a termine decine di esercitazioni militari, ha costruito un'intesa commerciale solida, ha pensato progetti impegnativi come il Medstream, un condotto formato da cinque tubi diversi per assicurare i rifornimenti di acqua, petrolio e gas naturale a Gerusalemme.
Il primo colpo all'alleanza è arrivato nel gennaio di 2009, al summit economico di Davos. Erano i giorni dei raid compiuti dall'Idf nella Striscia di Gaza per fermare il lancio di missili sulle città del Negev, una iniziativa che ha ricevuto pesanti critiche da Erdogan proprio durante il vertice. Un anno più tardi, il governo turco ha annullato una esercitazione aerea che avrebbe coinvolto Israele, Italia e Stati Uniti. In mezzo, il ministro degli Esteri di Gerusalemme ha convocato l'ambasciatore turco per chiedere spiegazioni riguardo una serie televisiva dai contenuti antisemiti trasmessa in Anatolia. Molti analisti mettono in relazione le difficoltà diplomatiche tra Israele e Turchia con l'ascesa dell'Akp, un partito molto popolare fra gli elettori musulmani. Da quando Erdogan è al governo, il paese ha migliorato i rapporti con gli altri paesi islamici della regione, il che ha avuto ripercussioni positive sul prodotto interno lordo della Turchia, un leader economico in medio oriente, ma ha attirato su Ankara anche le critiche e i sospetti di alcuni vecchi partner.
L'operazione sulla Mavi Marmara, la nave fermata al largo di Gaza, può compromettere definitivamente i rapporti con Israele. Erdogan ha ribadito ieri che il suo governo “non starà in silenzio di fronte alle azioni di questo disumano stato del terrore”. Alcuni familiari delle persone che facevano parte della spedizione hanno accettato di incontrare i giornalisti. Le loro lacrime, con le immagini dell'attacco trasmesse da emittenti popolari come al Jazeera, Ntv e CnnTurk, hanno scatenato proteste furiose nelle principali città turche. Diecimila persone si sono riunite a Taksim, nel distretto più elegante di Istanbul, lanciando cori contro il governo di Gerusalemme: hanno chiesto al governo di inviare l'esercito a Gaza, ma per il momento le squadre speciali sorvegliano l'ingresso del consolato israeliano, che si trova poco lontano, e l'abitazione dell'ambasciatore Levy. Il livello di guardia per paura di attentati e ritorsioni contro centri culturali e sinagoghe. Anche le chiese cristiane sono nell'elenco degli obiettivi sensibili. (nella foto: il capo dei “pacifisti” Bülent Yildirim con il leader di Hamas, Ismael Haniye, nel gennaio scorso)
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