Negazionisti d'Italia
Sfatti gli italiani, non resta che negare l'esistenza dell'Italia. E così alla vigilia del 150° anniversario dell'Unità si fa largo una nuova vulgata anti risorgimentale. Una cosa a metà tra il negazionismo truculento alla Beppe Grillo – “L'Unità d'Italia? Non c'è mai stata perché non c'è mai stata l'Italia” – e la bravata facile da moviola televisiva del calciatore azzurro Claudio Marchisio, il quale avrebbe sfregiato l'inno declamando “schiava di Roma ladrona” (ma noi ancora ci illudiamo non sia vero).
Sfatti gli italiani, non resta che negare l'esistenza dell'Italia. E così alla vigilia del 150° anniversario dell'Unità si fa largo una nuova vulgata anti risorgimentale. Una cosa a metà tra il negazionismo truculento alla Beppe Grillo – “L'Unità d'Italia? Non c'è mai stata perché non c'è mai stata l'Italia” – e la bravata facile da moviola televisiva del calciatore azzurro Claudio Marchisio, il quale avrebbe sfregiato l'inno declamando “schiava di Roma ladrona” (ma noi ancora ci illudiamo non sia vero). La Lega c'entra e non c'entra: dopotutto, per italianizzarla definitivamente, basterebbe che governasse un po' più da Roma come fa Roberto Maroni e un po' meno in periferia.
Né si può pensare che i negazionisti e i bravacci d'oggi siano il prodotto della pubblicistica anti unitaria più o meno clandestina. Chiaro che il Risorgimento non è stato un pranzo di gala, come non lo è stato il suo ultimo e trionfale atto (la Grande guerra) e come non potrebbe mai essere irenico e indolore alcun giro di ruota nella storia di una patria da riconquistare. Ma questo è già un tema molto alto e al limite della rarefazione, chiama in causa le rivoluzioni fallite su cui s'interrogarono Vincenzo Cuoco e Antonio Gramsci, evoca il senso di un percorso nazionale semmai da perfezionare, non certo da rimuovere come un tatuaggio malriuscito o da irridere con la battuta sconcia. Allora di che stiamo parlando, quando ci prendiamo in carico i beppegrillismi di ritorno e un certo analfabetismo anti patriottico?
Di un'inerzia selvaggia che ha preso domicilio nella terra di nessuno posta tra una retorica e l'altra. La retorica dell'antico, irrefutabile primato civile e morale dell'Italia e la retorica dell'autodenigrazione di cui siamo maestri cantori invincibili, ma che è pur sempre il lascito di una grandezza rimpianta. Tra questi fronti inconsciamente solidali è spuntata una striscia di sabbia, una bava desertica nella quale il pensiero abdica alla visceralità coatta. E' qui che germogliano soltanto pulsioni istintuali, qui si obbedisce all'impersonalità più convenzionale, alla moda perfino. Ecco, la parola chiave è forse “moda”: Beppe Grillo e Claudio Marchisio (ma noi ancora ci illudiamo che lui sia innocente) credono forse di omaggiare un canone estetico, assecondano il disprezzo o la fraudolenza anti italiana che di questi tempi è così agevole indossare, si sentono in linea con i gusti del momento, con ciò che fa tendenza.
La rinuncia all'autonomia del giudizio fa sempre tendenza. E' spiacevole. Ma non è un frutto italico, è un prodotto d'importazione. Uno scienziato pitagorico, Enrico Caporali, durante la Prima guerra mondiale esortava così: “L'indipendenza di una nazione ha la sua base nella indipendenza del pensiero che plasma il carattere e dirige la volontà. L'Italia (…) bisogna che rievochi la sua tradizione, che sviluppi il suo carattere, il suo genio originale Etrusco-Latino, ridiventando Maestra di Verità e di Giustizia. Amor ci mosse che ci fa parlare”. Questo è Dante, il resto è moda e passerà di moda.
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