Il New York Times taglia l'applicazione di Steve Jobs

Marco Pedersini

Al Moscone Center di San Francisco, lunedì scorso, Steve Jobs mostrava il sito del New York Times dalla sua nuova creatura, l'iPhone 4 – non senza qualche imbarazzo: in troppi erano connessi a Internet e lo schermo dell'iPhone, al primo tentativo, è rimasto bianco. Poco dopo ha citato le migliori applicazioni disponibili, tra cui si è premurato di segnalare la “meravigliosa” Pulse, creata da due laureandi di Stanford.

    Al Moscone Center di San Francisco, lunedì scorso, Steve Jobs mostrava il sito del New York Times dalla sua nuova creatura, l'iPhone 4 – non senza qualche imbarazzo: in troppi erano connessi a Internet e lo schermo dell'iPhone, al primo tentativo, è rimasto bianco. Poco dopo ha citato le migliori applicazioni disponibili, tra cui si è premurato di segnalare la “meravigliosa” Pulse, creata da due laureandi di Stanford. Che però non hanno fatto in tempo a godersi la fama improvvisa, travolti dalla furia degli avvocati dello stesso New York Times, che hanno ordinato la rimozione dell'applicazione dal sito della Apple.

    La spiegazione ufficiale è che il programma,
    disponibile a poco meno di quattro dollari, fa pagare l'utilizzo di link al sito pensati per essere gratuiti. Una scaramuccia sui diritti che, a ben vedere, scherma una battaglia più profonda: permettendo l'accesso al sito del New York Times, Pulse andrebbe a frantumare il confine tra i contenuti previsti per l'iPad e quelli pensati per il sito Internet. Ai piani alti del grattacielo newyorkese firmato da Renzo Piano si sta tentando una strategia, timida ma tenace, per limitare – almeno questa volta – i danni della filosofia del “tutto gratis”. L'applicazione per l'iPad è distribuita a titolo gratuito, ma permette l'accesso un numero di contenuti ristretto, minore di quello del sito. Che è come dire “all'inizio di Internet avevamo concesso tutto a tutti, ma ora non ci fregate più”.

    Quello che sembrava solo un fraintendimento che è costato a due giovani geniali un giorno di notorietà – prima segnalati dal capo della più importante azienda informatica americana, poi censurati da uno dei quotidiani più autorevoli – potrebbe celare un nuovo terreno di scontro per il futuro della stampa. Akshay Kothari, il ventitreenne di origine indiana che ha ideato l'applicazione, ha dichiarato di esser stato ispirato dalla propria “frustrazione nei confronti dell'esperienza della lettura delle notizie”. Ora il giornale che aveva recensito la sua idea come “un aggregatore di notizie stiloso e intuitivo” vuole freddare le sue velleità rivoluzionarie, prima che la folla si accalchi e qualcuno proponga di abbattere anche l'ultimo esile muro.