Sognava un paese di fiaba? Ma un'America fiorente mica la davano a lui
Il peccato di Obama
Cosa sta accadendo a Barack Obama? Ogni due o tre giorni si dichiara furioso, frustrato, e minaccia, rivendica, si dispera, abbaia alla luna. Invece di mettere a norma il golfo del Messico sfoggia la sua ira in tivù e in conferenze stampa: tutti vedano quanto è impotente l'uomo che aveva per motto yes we can, quanto è macerato dalla colpa. Al pari di Giobbe convoca i riflettori al proprio capezzale e chiede lumi al regista di Avatar, film anti Usa in tre dimensioni.
Cosa sta accadendo a Barack Obama? Ogni due o tre giorni si dichiara furioso, frustrato, e minaccia, rivendica, si dispera, abbaia alla luna. Invece di mettere a norma il golfo del Messico sfoggia la sua ira in tivù e in conferenze stampa: tutti vedano quanto è impotente l'uomo che aveva per motto yes we can, quanto è macerato dalla colpa. Al pari di Giobbe convoca i riflettori al proprio capezzale e chiede lumi al regista di Avatar, film anti Usa in tre dimensioni. Tra un po' convocherà il mago di Oz; intanto gironzola nervoso e si sporca la faccia col fango mentre dice frasi come: “Gli uragani sono meglio”.
Le catastrofi esistono per tutti, cambia il modo di accoglierle. Bush non avrebbe rilasciato alcuna dichiarazione, tantomeno di colpevolezza. Non ha battuto ciglio nemmeno quando gli hanno comunicato delle Torri gemelle e tutto il resto. Sembrava addormentato ma poi si è visto che in realtà era attentissimo, pronto a schivare le scarpe in faccia. Frenetico Obama sembra cercarsele le scarpate. “E' colpa mia, tiratemele pure”. Bush è un antico romano, un risoluto condottiero; Obama è un antico ebreo, febbricitante e ardito nel proclamarsi Messia caricandosi dei peccati del mondo – di quelli di Bush innanzitutto. Obama si è creduto il Salvatore? Una visionarietà che ora sta pagando: quella nera marea di elettori che un tempo decretò il trionfo del suo sogno, torna come un incubo, al rallenty. Da una brillante escatologia è precipitato in uno scatologico horror evacui, un'ingovernabile diarrea che beffarda lo sommerge.
Per contagio tutto si va colorando a lutto: le cose vanno male in Afghanistan come in Iraq, in Israele come in Turchia, in Iran, in Corea, in Giappone, negli stessi Usa… ovunque. Tutto pare perdere di realtà. I capi della Bp sembrano fatti di piombo psicotico. Non si stracciano le vesti, non si gettano in mare, parlano solo di soldi, imperturbabili. Il turbatissimo Obama fa loro il verso ma – strano per uno che ha messo mano al riordino di gigantesche banche – sbaglia i conti: i 69 milioni di dollari che ha chiesto in prima battuta bastano appena per dare una sistemata ai pozzi neri della Fifth Avenue. Gli svizzeri, che di quattrini se ne intendono, ipotizzano ben altre cifre. Per fare i presidenti bisogna avere in mente i miliardi, non gli spiccioli; la grandezza non va riservata ai gesti storici ma estesa anche ai vili denari e la ridicola richiesta di Obama dice di un preoccupante distacco dalla realtà. Quando, diversi anni fa, in tivù il direttore di un giornale di sinistra rimproverò uno che con le cose ha dimestichezza, il Cavaliere, di guadagnare un milione di lire al giorno, l'accusato dapprima trasecolò, poi sorrise, quindi s'indignò fieramente e sudò dieci camicie per spiegare allo sventurato – con contorte allusioni – che la cifra andava moltiplicata per mille. Quella sera mi accorsi che quelli di sinistra erano miseri anche nell'accusa e capii che Berlusconi avrebbe passato i prossimi anni a insegnar loro come si fa.
Non meno importante del reale, il simbolico. Obama accusa la Bp di avere agito senza tener conto delle possibili conseguenze, ma anche lui non ha voluto pensare alle conseguenze di certi suoi gesti. Letali gli effetti di un Nobel immeritato – come tanti altri Nobel si dirà, ma Obama non è uno scrittoruncolo qualsiasi che si apposta nelle vie di Stoccolma per adescare i giurati. Lui è un Messia, e il peccato pesa. Il sei politico ha reso handicappata una generazione di italiani, il Nobel per Obama è stato un dieci politico. Domine non sum dignus, avrebbe dovuto dire, un rifiuto assai più motivato di quello del vanesio Sartre. Invece ha accettato il premio come anticipo di qualcosa che gli è sembrato dovesse fatalmente capitare, un'inarrestabile magnifica sorte e progressiva, ma d'inarrestabile c'è solo la marea nera che sgorga dall'indomabile falla. Il Nobel della pace gli si è ritorto in Nobel della pece. Quella è stata la sua festa degli Ulivi: un neopresidente triste, come fosse prèsago di una fine imminente, sorprese tutti dicendo di pensare a un solo mandato, lui che sulla Bibbia aveva giurato per ben due volte. Si pensò a un vezzo, invece era tristezza, fantasma di morte.
Opaca è la realtà delle cose, implacabile il simbolico, torbido l'immaginario. Cosa si aspettava Obama dal trionfo elettorale? Un paese di fiaba? Se l'America era bella, sana e fiorente… mica la davano a lui! Obama lo sapeva e proprio così la voleva, debole e spelacchiata, una vecchia rispettabile negra cui fare attraversare la strada senza incidenti, con le suv dei wasp che si fermano al suo passaggio. Quest'immagine l'ha sorretto durante tutta la sua vittoria, propiziata dall'ambizione di diventare lui, il figlio modello, un buon padre. Non come quell'altro, il kenyota che lo abbandonò infante per tornare nella nera Africa, o quell'altro padre che, a suo giudizio, ha ingolfato gli Usa in un mucchio di guai. Vivendo in questa salvifica visione che impone la cancellazione dei falsi padri e delle loro opere, cancellazione eseguita con garbo, senza mai nominarli, e quindi ancor più integrale, quale orrore accorgersi all'improvviso d'essere costretto a ricalcare sempre più spesso le pesanti orme dell'esacrato George W. Bush! Orrore misto a una punta d'invidia: quelle due Torri gemelle che hanno proiettato Bush nei cieli da cui è calato come uno sparviero sulla portaerei per annunciare: Missione compiuta! Una palla, ma una palla maschia! A Obama tocca l'abbraccio di una madre acquosamente materna, tra tutte le catastrofi la peggiore. Meglio gli uragani, gli incendi e le esplosioni! Purtroppo non possiamo scegliere le nostre sciagure.
Obama continua a ripetere che è tutta colpa sua, la marea nera come chissà cos'altro. Quando bambini si viene abbandonati dal padre, per scordare un simile dolore si è pronti a tutto, persino a considerarsi artefici del torto subito. Una masochista onnipotenza: “Se tutto dipende da me… l'altro non mi ha abbandonato, tradito, deluso”. Aumenta la colpa ma si allevia il dolore. Più tollerabile perfino l'idea di avere ucciso il padre che il dolore di saperlo ignavo e fuggitivo. L'inferno è vivere nell'abbandono, orfani puri di peccati; ma a questo punto tutti li si brama: sinite peccata venire ad me, sinite patrem venire ad me! Difficile formulare l'accusa, mantenerla intatta nell'inconscio provoca la nera marea della malinconia. “Rivoglio una vita”, sospira Obama, ma per vivere occorre darsi da fare. Cristo ci riuscì alla fine della sua esistenza terrena; più non sopportò la grandiosa solitudine, l'eletta maledizione, e proruppe in una robusta bestemmia: “Dio, Padre, perché mi hai abbandonato!?”. Anche Obama ha una gran voglia di urlare. Oggi finalmente è esploso: “Voglio sapere di chi è il sedere che devo prendere a calci”. Massì che lo sai vecchio Barack, solo tu lo sai, aguzza l'occhio, aggiusta la mira e.
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