Difendere il pudore

Giuliano Ferrara

Delle intercettazioni in un paese di mafia c'è bisogno. Sono importanti anche nella guerra al terrorismo. Ma non è di questo che si parla oggi. Si parla di Sputtanopoli, cioè della scomparsa del pudore, del suo brutale annientamento in un'orgia di pettegolezzo pubblico a mezzo stampa & tv che violenta la vita privata, che uccide la riservatezza, che straccia la Costituzione all'articolo 15, che funziona come una rete sporcificante stesa per accalappiare il presunto reo che è in ogni cittadino, in ogni colletto bianco, in ogni soggetto individuale pubblico e privato.

Leggi Libertà dei pm? Siamo matti, Ezio? di Giuliano Ferrara - Leggi Una cagnara un po' grottesca sulle intercettazioni da Cerazade

    Delle intercettazioni in un paese di mafia c'è bisogno. Sono importanti anche nella guerra al terrorismo. Ma non è di questo che si parla oggi. Si parla di Sputtanopoli, cioè della scomparsa del pudore, del suo brutale annientamento in un'orgia di pettegolezzo pubblico a mezzo stampa & tv che violenta la vita privata, che uccide la riservatezza, che straccia la Costituzione all'articolo 15, che funziona come una rete sporcificante stesa per accalappiare il presunto reo che è in ogni cittadino, in ogni colletto bianco, in ogni soggetto individuale pubblico e privato, potenzialmente o effettivamente coinvolto in inchieste giudiziarie o da esse sfiorato per mere ragioni di innocente contiguità. Bravi borghesi, gente perbene, persone apparentemente informate dei fatti e sulla carta in buona fede: in molti, moltissimi, non esiste più la percezione del significato filosofico, etico, estetico dell'individualismo protetto dalla sfera privata. Sono culturalmente e moralmente sordi al problema i giornalisti che citano a vanvera il caso del governatore americano Blagojevic e della sobria comunicazione pubblica di indizi da intercettazione formulata dal suo accusatore Pat Fitzgerald (spiegato nel Foglio di ieri), e che si ostinano a negare l'evidente anomalia italiana in materia di intrusione di stato nelle vite degli altri, cioè il fatto incontrovertibile che in nessun paese al mondo si fa l'uso impudico, svergognato, dissennato, feroce e illiberale che si fa da noi delle trascrizioni di conversazioni private. In assetto coloniale e sprezzante verso un'Italia considerata bella e perduta per la civiltà moderna, molti giornalisti europei e americani ammiccano sornioni all'impeto di trasparenza totalitaria che spinge i maggiori quotidiani a trasformarsi in volantini di sostegno a una sregolata e generalizzata pratica di intrusione nella riservatezza delle vite personali.

    Il Financial Times della City di Londra, nelle cui mani non arriverebbe mai uno stralcio di conversazioni private di un banchiere, e che nel caso non lo pubblicherebbe, limitandosi a indicarne il contenuto utile ai fini di informazione e di giustizia, proprio come prescrive la legge di regolazione sottoposta ora alla fiducia del Senato in Italia, ammicca al movimentismo illiberale in corso. Ammiccano giornali europei e americani d'informazione che non farebbero mai conoscere ai loro lettori, per un elementare riflesso di cultura garantista e per osservanza di norme che tutelano la persona dal character assassination, l'orientamento sessuale di un funzionario pubblico, come descritto nella recente cronaca italiana da un nastro fitto dei più crudi dettagli personali, né i messaggi d'amore o di piacere degli inconsapevoli partner catturati dai microfoni né le esagerazioni del metalinguaggio telefonico.

    La questione non è di dettaglio particolare, ma di senso generale. La maggioranza per adesso combatte con spirito causidico la battaglia. Berlusconi e i maggiori giornali della destra sono stati intercettatori a tradimento, e tribuni di aggressive campagne capaci di violazioni della riservatezza, sia pure con l'attenuante dello spirito di ritorsione: non hanno cominciato loro, ma hanno partecipato al gioco sporco. Ora a destra questo gioco lo si vuole estendere, in modo grottesco, surreale, attraverso la campagna sulla pubblicizzazione coatta degli stipendi di chi lavora in Rai. Nessuno difende più un'idea pudica delle relazioni private e pubbliche nel circuito dell'informazione, tutto ciò che appartiene alla sfera individuale deve essere sbranato, e i lacerti della carogna abbandonati ai cani della demagogia giornalistica più primitiva e insolente, senza alcuna vera distinzione tra destra e sinistra nelle tecniche di diffamazione e infamia come strumenti di lotta politica.

    Bisogna ribellarsi a questo andazzo. Bisogna difendere senza alcuna remora morale e politica e civile e culturale una legge di regolamentazione delle intercettazioni che consente di indagare ma non di romanzare il crimine a uso di campagne anticricca e anticasta bene orchestrate e sceneggiate; campagne che i giornali devono fare, se lo ritengano giusto, con le risorse del mestiere e non con la buca delle lettere del pistarolo e del cronista giudiziario bene ammaestrato e ben rifocillato di nastri dall'autorità giudiziaria ideologicamente vicina o in cerca di gloria mediatica. Informando dunque sugli atti di un'indagine, di un'udienza preliminare e di un dibattimento, nel momento della formazione della prova, e non sui massaggi o le amicizie e i cazzeggi telefonici di personaggi pubblici e privati trattati come eroi negativi, come vilain di un fumettone noir.

    Domani pubblichiamo un saggio di quattro pagine di Marina Valensise, che racconta nel profondo e nel suo senso filosofico e civile tutta la storia del concetto di privacy dal mondo antico al mondo cristiano e moderno, fino all'approdo liberale oggi così loscamente tradito. La sfera privata con i suoi diritti e le sue garanzie  fu difesa dai migliori e più grandi scrittori e pensatori della libertà dei moderni. E' la quintessenza del modo liberale di vivere in occidente. E' l'aspirazione estetica dell'artista, del militante antitotalitario o anche semplicemente di chi persegue un disegno originale e non uniformabile di vita e di lavoro. E', la privacy,  un concetto intrattabile, che funziona come “scuola di libertà interiore”, come una riserva di verecondia, una beatitudine della parte più libera e “refrattaria” dell'esistenza umana alla quale è folle rinunciare per qualunque motivo. Giustizia e sicurezza richiedono intercettazioni regolamentate, e il processo è pubblico. Ma non è pubblica la vita degli altri, né la mia. 

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.