L'Inghilterra di fronte a un incubo che dura da sessant'anni

Francesco Viola

Dice oggi Fabio Capello che quando era un bambino, un bambino piccolo di tre anni, gli hanno raccontato di quella partita. Gliene parlarono i suoi amichetti già malati di calcio e anche in famiglia ne sapevano qualcosa. Ormai idolatrato come un guru infallibile, l'uomo del Friuli che allena l'Inghilterra può permettersi di tutto: anche inventare storie inverosimili come questa. Sessant'anni fa però, lo choc in Britannia fu davvero forte e risvegliò i Leoni dalla convinzione di essere invincibili.

    Rustenburg (Sudafrica). Dice oggi Fabio Capello che quando era un bambino, un bambino piccolo di tre anni, gli hanno raccontato di quella partita. Gliene parlarono i suoi amichetti già malati di calcio e anche in famiglia ne sapevano qualcosa. Ormai idolatrato come un guru infallibile, l'uomo del Friuli che allena l'Inghilterra può permettersi di tutto: anche inventare storie inverosimili come questa. Sessant'anni fa però, lo choc in Britannia fu davvero forte e risvegliò i Leoni dalla convinzione di essere invincibili.

    Era il 1950, esattamente il 29 giugno, e si giocava a Belo Horizonte in un mondiale brasiliano che era il primo dopo la guerra. Inghilterra-Stati Uniti, proprio come stasera in Sudafrica. Con gli States all'epoca già sconfitti dalla Spagna e destinati alla resa sicura di fronte ai maestri. Secondo alcune leggende si presentarono in campo persino un po' ubriachi fumando sigari fino a pochi minuti prima del fischio d'inizio. Ma per i “bianchi” si trasformò in un'umiliazione paragonabile alla Corea azzurra. E tutto per colpa di un lavapiatti, un dilettante del pallone, che non era nemmeno americano. Lo ricordano come un incubo, Joe Gaetjens, nato a Port au Prince ad Haiti da madre haitiana e padre belga o forse tedesco. Gaetjens aveva vinto una borsa di studio alla Columbia University di New York nel 1948 e pensava di fare il contabile; nel frattempo però puliva le stoviglie nel Bronx e giocava a pallone nel Bronxhattan, squadretta del campionato dilettantistico locale frequentato per lo più da immigrati latinos ed europei.

    Attaccante acrobatico e fulminante, subito capocannoniere dell'American Soccer League, fu adocchiato dal selezionatore della Nazionale americana. Disse che aveva intenzione di prendere la cittadinanza americana e all'epoca tanto bastava alla Fifa per essere convocato nella nazionale di un altro paese. Gaetjens giocò solo un paio di amichevoli alla vigilia dei Campionati del mondo, poi fu buttato in campo come unico nero della squadra titolare. Il gol che fece storia lo segnò per caso deviando di testa un pallone tirato da lontano dal terzino Walter Bahr, un insegnante di liceo. Alla fine fu portato in trionfo dai compagni davanti agli increduli Matthews e Mortensen, due miti inglesi, mentre il New York Times ritardò a dare la notizia perché pensava a un errore nei dispacci che arrivavano dal Brasile: erano convinti che fosse finita 10-1 ma per gli altri, i più forti. Scrisse ancora sconcertato il capitano inglese Billy Wright anni dopo: “Gaetjens si lanciò verso la palla ma all'ultimo momento decise di ritirarsi. La palla gli rimbalzò sulla testa e si infilò alle spalle di Williams, che rimase di sasso”.

    Per Wright ci mise del suo anche l'arbitro, che era l'italiano Generoso Dattilo, all'epoca uno dei migliori sulla piazza: “Il signor Dattilo, un italiano, sembrava assolutamente determinato a non lasciare che un dettaglio trascurabile come il regolamento del calcio si frapponesse tra gli Stati Uniti e la vittoria finale”. La cittadinanza americana, Gaetjens, non la chiese più, tornò ad Haiti, aprì una lavanderia e finì giustiziato nel '64 dai Tonton Macoutes dei Duvalier, pur non avendo mai fatto politica. Ma il suo fantasma ancora aleggia sull'Inghilterra del calcio, che non ha più incrociato gli americani in un Mondiale. Sei decenni dopo c'è ancora un italiano coinvolto. Ma  non dite a Capello che oggi a St.Louis, in America, i sopravvissuti di quella partita si troveranno tutti davanti a un televisore a casa dell'ottantenne Harry Keogh per vedere come va a finire stavolta. Con un bicchiere di birra in mano. Sperando nel bis.