Anticipazione dal Foglio del lunedì

La grande guerra contro il bavaglio è solo fuffa per lettori gonzi

Giuliano Ferrara

Potrei cavarmela con Barack Obama, visto che ho deciso di scocciare ogni giorno la mia corporazione, univocamente e quasi unanimemente impegnata in una battaglia per la libertà di informazione che a me sembra perfettamente obliqua e perfino menzognera. Potrei cavarmela con il riprendere il pezzo del New York Times in cui si racconta di quanto il presidente messianico dei progressisti di tutto il mondo si impegni a mettere il bavaglio all'informazione quando essa contrasti con la sicurezza dello stato o con le esigenze di una vera giustizia.

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    Potrei cavarmela con Barack Obama, visto che ho deciso di scocciare ogni giorno la mia corporazione, univocamente e quasi unanimemente impegnata in una battaglia per la libertà di informazione che a me sembra perfettamente obliqua e perfino menzognera. Potrei cavarmela con il riprendere il pezzo del New York Times in cui si racconta di quanto il presidente messianico dei progressisti di tutto il mondo si impegni a mettere il bavaglio all'informazione quando essa contrasti con la sicurezza dello stato o con le esigenze di una vera giustizia. Ma sono scettico sulle buone intenzioni del potere americano, come del contropotere e di ogni altro potere, quarto compreso. A me il potere piace, mi sembra utile alla società, e non privo di una sua intrinseca dignità, e questo sono tra i pochi a dirlo e a scriverlo contromano da decenni, in un paese in cui il disprezzo generico e qualunquista del potere si fa commedia da secoli; ma naturalmente non la bevo, ho i miei metodi per difendermi dalle balle di poteri e contropoteri di ogni genere.

    La grande guerra contro il bavaglio non ha solo il risvolto illiberale della svalutazione della privacy e dunque di una delle originarie caratteristiche di un sistema politico rispettoso della dignità della persona, dello stesso habeas corpus che oggi dovrebbe essere un habeas vocem, un diritto di parlare senza essere ascoltati da intrusi di stato, restando padroni della propria facoltà di comunicare. Non solo confondono le acque, i tribuni della campagna faziosa e squinternata per il diritto a origliare: mettono di mezzo i sospetti mafiosi, che invece possono essere intercettati come prima; fanno del catastrofismo grottesco, lasciandoci credere che non si potrà più indagare, quando è evidente al contrario che la giustizia penale, autorizzata a intercettare secondo un codice ma non a annegare “liberamente” in centinaia di migliaia di pagine di origliamenti spesso farseschi e tragicamente negativi per le vite degli altri, sarà protetta da un mercimonio di nastri capace di condizionarla e virtualmente abrogarla. Non basta questo. E' che con la loro campagna, grandi direttori e grandi firme affermano un'idea manipolatoria della libertà di stampa e del rapporto tra giornali e lettori.

    A leggere certi volantini trasformati in editoriali sembra che la libera stampa non abbia costi, non sia fatta di capitali vocati al profitto d'impresa, non risponda a interessi commerciali puri (nel caso raro da noi di editori puri) o impuri (nel caso più diffuso di editori che hanno decisivi interessi industriali e finanziari altrove che non nell'editoria). Sembra che il diritto di informare e di essere informati connetta in un abbraccio illibato e sponsale giornalisti e lettori, in un rapporto da servo a padrone che è la più colossale mistificazione mai immaginata dalla cultura liberale di mercato per proteggersi dalle sue ovvie contraddizioni. Il rapporto è invece carnale, peccaminoso. I giornali vogliono conquistare i lettori, dunque anche un po' fregarli, e si servono di ogni seduzione tabloid, specie in Italia dove manca la distinzione fra popolari e d'elite, per agganciarli, meglio dire adescarli, e trombarli uno a uno. Ci vorrebbe un saggio impertinente di Alessandro Dal Lago per spiegare a lettori smaliziati quanta ipocrisia nutra l'appello ai loro diritti democratici, conculcati dalla cattiveria del potere, che viene pronunciato dai contropoteri opulenti della grande stampa nazionale.

    Su questa immaginaria libertà di stampa, che come raccontata da Repubblica non esiste, perché ciò che esiste è invece la concorrenza e la lotta tra editori, tra gruppi di influenza e di potere trasversali alla politica e all'editoria, come all'economia e alla finanza, e solo questo è libertà di stampa dal Settecento ad oggi; su questa icona ipocrita si esercita oggi la peggiore retorica possibile, e proprio mentre Luca Montezemolo, a quanto pare prossimo editore della Rizzoli-Corriere della sera, ammicca alla politica; e mentre Carlo De Benedetti, mero proprietario di Repubblica e dell'Espresso, nella politica sta inoltrandosi con ritmo personale sempre più vivace e chiassoso. La legge sulle intercettazioni è criticabile, migliorabile, emendabile? Questo è un discorso, magari razionale. Le intercettazioni non sono un problema in Italia, da noi si deve poter sputtanare la gente in piena licenza, senza regole? Questa è fuffa, esca per lettori gonzi. Che abbondano.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.