Questa sera Brasile-Corea del Nord
Cuori coreani
Uno sponsor napoletano, calciatori che sembrano macchiette, un allenatore che dice di essere “strategicamente” preparato e intanto si è sbagliato a fare la lista della squadra, mettendo un attaccante al posto del portiere. E un signore che da lontano controlla e decide tutto: il presidente Kim Jong Il. Ecco gli sfidanti del Brasile, la Corea del nord soprannominata la “squadra del mistero”.
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Uno sponsor napoletano, calciatori che sembrano macchiette, un allenatore che dice di essere “strategicamente” preparato e intanto si è sbagliato a fare la lista della squadra, mettendo un attaccante al posto del portiere. E un signore che da lontano controlla e decide tutto: il presidente Kim Jong Il. Ecco gli sfidanti del Brasile, la Corea del nord soprannominata la “squadra del mistero” da quando si è qualificata per il Mondiale perché poco si sa e meno ancora viene fuori dal ritiro blindato vicino Johannesburg. Così l'unico che negli ultimi tempi ha guardato in faccia gli uomini del dittatore è un giovanotto di Pompei, poco più di trent'anni, marcato accento campano. Daniele Nastro lavora in un'azienda di abbigliamento che si chiama Legea, che sponsorizza la nazionale della Corea del nord insieme all'Iran: due stati canaglia. Non è una coincidenza.
“Con i buoni uffici di Teheran – dice Nastro – siamo arrivati a contattare i coreani”. Quattro milioni di dollari per i prossimi quattro anni, oltre alla fornitura del materiale sportivo. Insomma c'è il marchio Legea sulle magliette rosse. “Le hanno volute semplici, senza fronzoli – racconta – e abbiamo dovuto togliere la scritta dalle maniche. Su questo hanno insistito molto”. L'accordo è stato chiuso a marzo, dopo una trattativa durata tre giorni. I coreani erano in cinque. Gli italiani in tre più il capo dell'azienda, Luigi Acampora. “Noi volevamo essere al Mondiale – spiega Nastro – e la Corea ci dava questa opportunità. La politica non ci interessa”.
Al manifesto, invece, hanno scelto proprio i nordcoreani come una delle squadre del cuore per questi Mondiali. Si capisce: l'unica squadra comunista in Sudafrica che sfida i colossi. Altrimenti, come può suscitare passione la Corea del nord? Addestrati con scrupolo al culto della patria e del suo presidente, i giocatori sembrano automi. Prendiamo uno dei pochi che la sicurezza ha lasciato parlare qui in Sudafrica, il cosiddetto “Rooney asiatico”, l'attaccante Jong Tae Se, giapponese di nascita ma nordcoreano di passaporto, uno di quelli “educati” sin da piccolo da Pyongyang in un collegio nipponico gestito però dal governo di Pyongyang. Negli ultimi tempi ha detto: “All'estero ci sono buoni campi e strutture molto valide, ma niente che non potessi trovare in Corea del nord”.
In Russia gioca un altro degli “stranieri”, un certo Hong Yong Jo. Si è trasferito a Rostov insieme a una guardia del corpo che lo segue giorno e notte. Vive in una camera spartana nella foresteria del campo di calcio, non possiede praticamente nulla, non ha una macchina come i suoi compagni, e non si sa bene dove finiscono i soldi del suo stipendio (forse metà al governo, il resto alla famiglia in patria). Quando un giornalista vuole un'intervista deve chiedere il permesso alla sua ombra, che poi si consulta con qualcuno a Pyongyang. A un settimanale sportivo russo ha detto: “Il calcio nel nostro paese sta facendo molti progressi grazie alla supervisione del generale Kim Jong Il che se ne occupa personalmente”. E ancora: “Non voglio distrazioni, penso solo al calcio e al partito”. L'uomo della sicurezza annuisce, si compiace, poi chiude l'incontro. E gli proibisce persino di andare al ristorante con i compagni.
A un altro che giocava sempre in Russia fino a due anni fa, Choe Myong Ho chiesero una volta se guardava la televisione. E lui: “Se avessi un televisore in stanza passerei tutta la notte a guardarlo e il giorno dopo sarei stanco per l'allenamento”. Quindi confessò di non avere neppure il frigorifero: “Noi in Corea del nord non ne abbiamo bisogno. A cosa serve?”. Il massimo lo ha raggiunto però un altro che gioca a Tokyo, Ahn Yong-Hak, quando in una rara apparizione di fronte a un microfono si è trovato di fronte una domanda davvero imbarazzante: qual è la tua canzone preferita. Impassibile ha replicato: “Kim Jong Il, il nostro Sole”. Forse recitano, oppure no. Qualcuno però dovrebbe avvertirli che gli eroi del '66, quelli che fecero fuori gli Azzurri, non ebbero troppa fortuna col regime. Dopo il famoso match di Middlesbrough festeggiarono un po' troppo, consumando birra in un pub e facendosi notare in compagnia di alcune ragazze. Al ritorno in Corea alcuni di loro vennero accusati di condotta “reazionaria, borghese, corrotta dall'imperialismo” e spediti nei lager a mangiare insetti. “Prima di partire abbiamo incontrato i reduci di quell'impresa, che ci hanno incoraggiato”, ha detto ieri l'allenatore. Se è vero, ne hanno trovati pochi ancora vivi.
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