Due idee italiane contro i terroristi islamici fatti in casa
Cosa ha spinto Mohammed Game a tentare una strage kamikaze nella caserma Santa Barbara di Milano il 13 ottobre 2009? Perché il maggiore americano Malik Hassan ha fatto una strage il 6 novembre 2009 a Fort Hood? Quale percorso sta dietro alla decisione di Abdul Mutallab –figlio di un milionario nigeriano- di tentare di farsi saltare in aria con esplosivo dentro le mutande sul volo Amsterdam-Detroit del 26 dicembre?
Cosa ha spinto Mohammed Game a tentare una strage kamikaze nella caserma Santa Barbara di Milano il 13 ottobre 2009? Perché il maggiore americano Malik Hassan ha fatto una strage il 6 novembre 2009 a Fort Hood? Quale percorso sta dietro alla decisione di Abdul Mutallab –figlio di un milionario nigeriano- di tentare di farsi saltare in aria con esplosivo dentro le mutande sul volo Amsterdam-Detroit del 26 dicembre? Infine: perché Shazad Faisal ha tentato una strage il 2 maggio scorso a Times Square? Messe in fila l'una dietro l'altra queste domande – e soprattutto l'assoluta impermeabilità ai controlli di questi personaggi – spiegano perché per una dozzina d'ore, responsabili operativi della forze di sicurezza italiana, assieme a ex dirigenti in pensione, si siano riuniti su iniziativa della Fondazione Icsa con lo scopo di “ridefinire le strategie di contrasto al terrorismo jihadista”. Una delle ipotesi degli inquirenti è infatti quella che – dopo la sconfitta inflitta a al Qaida in Iraq nel 2009 dal Surge del generale David Petraeus – il terrorismo abbia inaugurato una “strategia dei mille tagli”, affiancando ai tradizionali scenari (Iraq, Pakistan , India, Somalia, Maghreb) un ritorno del terrorismo in Occidente e quindi anche in Italia.
L'elemento più inquietante di questi kamikaze è la sorpresa che ha colto gli inquirenti: tutti erano passati indenni tra le maglie di un apparato di sicurezza che ci si illudeva, in Italia come negli Usa, avesse raggiunto ormai un alto livello di affidabilità. Da qui la necessità di una ridefinizione del quadro di contrasto al terrorismo jihadista. Il corposo dossier che raccoglie i lavori del workshop della Fondazione Icsa (struttura basata sull'"Èsprit républicain”, come si dice in Francia, fondata da Marco Minniti), dà conto dell'eccellente livello di analisi raggiunto oggi dalle nostre forze di sicurezza, capaci di stendere relazioni di livello elevatissimo. Più che esaurienti i dati obbiettivi, a partire da una tabella che calcola ben 20.229 vittime di attentati con più di 15 morti dal 2002, su cui chiunque può ragionare a partire dal fatto che Israele non compare in questa classifica, monopolizzata da Iraq, Pakistan, India, Somalia, Sri Lanka, Afghanistan, Somalia, Russia, Siria, Yemen e Iran, a riprova –ma di questo il dossier non si occupa- dell'assurdità della tesi che vuole che il terrorismo jhadista è motivato dalla questione israelo-palestinese.
Il centro dell'elaborazione di questo studio è dunque la riflessione sulle motivazioni dei kamikaze, che viene indicata quale conseguenza dei due scismi che travagliano oggi l'Islam, quello khomeinista in ambito sciita e quello salafita in ambito sunnita. Scismi che si caratterizzano come vere e proprie “religioni di morte”: “Lo scisma khomeinista ha infatti trasformato l'evenienza accidentale del martirio (comune a tutte le fedi)in un precetto individuale, una brama, una ricerca assoluta che deve coinvolgere tutti i musulmani, uno per uno. Questo non vuole assolutamente dire che tutte quelle che vengono comunemente definite cause del terrorismo –questione nazionale, resistenza all'invasore, reazione al sottosviluppo, lotta antimperialista, conflitti etnici e religiosi, non agiscano come substrato. Ma l'elemento religioso scismatico e apocalittico interviene ovunque nelle società musulmane si crei una qualche contraddizione, assorbendola, imponendole la sua logica jihadista, votandola a una logica di scontro permanente che ne impedisce o ostacola la ricomposizione”.
Qui, in questa impalpabilità del processo che porta alla “religione di morte” le difficoltà maggiori per stendere una griglia di controllo che intercetti i kamikaze, prima dell'azione. Fornita una enciclopedica descrizione del fenomeno in tutte le sue sigle e manifestazioni, il dossier si chiude con due proposte destinate a fare clamore. La prima è di reclutare personale per le organizzazioni di contrasto – quindi anche nei Servizi – anche nel settore privato economico e soprattutto di potenziare i rapporti col sistema universitario (reclutare agenti nei campus è usuale negli Usa, sconvolgente in Italia). La seconda è l'introduzione nel nostro esecutivo della figura del Consigliere per la Sicurezza Nazionale che nulla intacca delle prerogative del ministro degli Interni, della Difesa o degli Esteri, ma che, come avviene negli Usa, funge da volano di analisi e di proposta politica- per quanto riguarda il contrasto al terrorismo- sia nei confronti degli organi inquirenti, sia nel raccordo tra i vari dicasteri.
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