E' il momento del Brasile, mai così tanto italiano e poco allegro
Loro sembrano noi. Guarda le facce: tirate come se fossero quelle dell'Italia. Senti le voci: tese come se fossero gli Azzurri e non la Seleçao. Dunga, Felipe Melo, Kaká, Robinho, Maicon: chiunque parli sembra l'avatar di un italiano qualunque alla vigilia di un Mondiale qualunque. L'allegria è un luogo comune piacevole che la realtà sta cancellando. Si può essere Pentacampeão e non essere sereni.
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Loro sembrano noi. Guarda le facce: tirate come se fossero quelle dell'Italia. Senti le voci: tese come se fossero gli Azzurri e non la Seleçao. Dunga, Felipe Melo, Kaká, Robinho, Maicon: chiunque parli sembra l'avatar di un italiano qualunque alla vigilia di un Mondiale qualunque. L'allegria è un luogo comune piacevole che la realtà sta cancellando. Si può essere Pentacampeão e non essere sereni: un mondiale senza vittoria evidentemente è già troppo per chi non vede altro che la Coppa. Il gioco è sempre stato un falso mito: a Rio ci si diverte sulla spiaggia, ma si vuole soltanto vincere. Non importa se sei il più bello, ma sei pure inutile. Solo che un Brasile così non s'era mai visto. Prima i giornalisti brasileiri erano gli unici a entrare nei ritiri come e quando volevano: canottiera e ciabatte, un microfono o un taccuino e un racconto libero di tutto quello che vedevano. C'era una specie di convergenza di interessi: i brasiliani erano i più tifosi, una specie di appendice della torcida sui banchi delle tribune stampa. In cambio dell'entusiasmo i giocatori parlavano. Il tempo e il futuro hanno cambiato molto. Tutto.
Oggi la critica è la nemica di Dunga, così come lo è stata di altri allenatori. Vedi? Sembra proprio l'Italia. Com'è la storia dei 58 milioni di commissari tecnici? Ecco adesso la vive il Brasile: vengono contestate le convocazioni, le scelte, i nomi, i ruoli. L'allenatore non è più un intoccabile, ma esattamente come per l'Italia, è considerato uno di loro. Quindi uno che sbaglia. Solo che nel suo ruolo, in quel momento, non deve. Anzi non può. Allora tensione, ansia, angoscia: il Brasile ha già fallito in Germania quattro anni fa, non può sbagliare anche stavolta. E' il destino di chi è condannato a vincere sempre. Il paese che noi consideriamo la patria del divertimento non balla per niente. Quando vinsero il Mondiale 2002, la notte del trionfo i giocatori si rifiutarono di parlare con i giornalisti per vendicarsi delle critiche ricevute durante le qualificazioni. Perché tanti problemi li ha avuti anche Parreira, più volte chiamato “burro”, ovvero asino, durante Germania 2006 e anche a Usa 1994, quando pure alla fine arrivò il trionfo ai rigori, e a spese dell'Italia di Sacchi. La vittoria ha cancellato le critiche, ma non i rapporti agitati con la stampa, con la critica, con il paese.
Adesso Dunga. Che per far capire chi comanda ha fatto allenare la Nazionale brasiliana a porte chiuse tre giorni su quattro. Questo non era mai successo, neanche con Parreira. La novità è il termometro di un clima spiacevole: la stampa brasiliana attacca e appena può picchia duro. Allora sono finiti sui giornali i litigi tra Kaká e Felipe Melo, poi quelli tra Baptista e Dani Alves. Invenzioni o verità, tutto sempre e comunque ad alta tensione. Tutto per cercare di scuotere Dunga che poi è il vero obiettivo di critiche e accuse: perché non ha convocato Ronaldinho? Perché ha scelto tanti che giocano in Brasile rinunciando ad alcuni che giocano in Europa? Perché affidarsi a Robinho che viene considerato da tutti poco affidabile? Il ct non risponde, anzi alza le barriere. Niente allenamenti, niente parole, niente di niente.
Nessuno aveva mai osato tanto: nessun allenamento nella storia dei Mondiali dei brasiliani era mai stato chiuso alla stampa prima di questa avventura sudafricana. Una volta ci provò Zagallo nel 1998 in Francia, ma fu costretto a una precipitosa marcia indietro per non essere travolto dall'ondata di proteste che aveva scatenato. Dunga l'ha fatto. E adesso sono affari suoi: siti e blog si scatenano, arrivando a scrivere che “questo ct in antipatia riesce a battere perfino Maradona”.
Il problema è che una cosa così il Brasile non l'aveva mai vissuta. C'era stata qualche strana vigilia: Parreira, appunto, e poi qualcun altro. Ma questa è una cosa diversa. Un nervosismo che contagia i giocatori, lo staff, la gente. Gli scontri di gioco in allenamento, poi qualche strana lite nel ritiro, raccontata come se fosse una mega rissa. Il caos per chi non è abituato. E qui non lo è né la squadra, né i tifosi: è un caso che vadano a ruba i pupazzi voodoo che rappresentano le squadre rivali del Brasile in Sudafrica e che vanno infilzate? Costano quattro euro l'uno. Il più venduto è quello dell'Argentina, ovviamente. Però c'è anche quello del Brasile. E questo è molto meno ovvio.
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