La new Lega di Luca Zaia
"Se vai in tivù e parli romano, è slang italiano. Se parli veneto o bergamasco, sei un provocatore”, ha detto Luca Zaia, presidente del Veneto (in un'intervista a Repubblica in cui si difende dalla patriottica accusa di avere sostituito l'inno nazionale all'inaugurazione di una scuola elementare in provincia di Treviso, dopo il taglio del nastro tricolore). Zaia è molto impegnato nella corsa all'accettazione sociale, è attento a non sembrare un leghista vetusto alla Mario Borghezio, di quelli con l'ampolla celtica, i cori, i bingobongo e il deodorante per le prostitute in treno.
"Se vai in tivù e parli romano, è slang italiano. Se parli veneto o bergamasco, sei un provocatore”, ha detto Luca Zaia, presidente del Veneto (in un'intervista a Repubblica in cui si difende dalla patriottica accusa di avere sostituito l'inno nazionale all'inaugurazione di una scuola elementare in provincia di Treviso, dopo il taglio del nastro tricolore). Zaia è molto impegnato nella corsa all'accettazione sociale, è attento a non sembrare un leghista vetusto alla Mario Borghezio, di quelli con l'ampolla celtica, i cori, i bingobongo e il deodorante per le prostitute in treno. Zaia vuole essere riconosciuto come persona civile, evoluta, inglesizzata, di cui non vergognarsi in nessun caso (e Francesco Merlo su Repubblica gli ha riconosciuto il primato: Zaia è “il più elegante dei leghisti” perché “non ha l'aria zotica e selvaggia” degli altri, “è più sobrio, non impreca e non sbuffa”), quindi si è trasformato in qualcosa a metà fra Lapo Elkann e un pubblicitario all'ora dell'aperitivo, anzi dell'happy hour.
Ha detto, nell'intervista (oltre a “slang” al posto di dialetto), che le opere come “Va' pensiero” sono “must nazionali”, che la bandiera italiana è un “logo” e anche “un brand”, ha usato il verbo “googlare” (cercare su google, come dicono gli adolescenti), per due volte ha parlato di “motore di ricerca”, e ha aggiunto che se fosse vero che non ha cantato l'inno di Mameli meriterebbe l'“impeachment”. Niente dialetto veneto, niente bruschi modi padani, solo parole giovani e alla moda da creativo metropolitano, per dimostrare che non arriva dalle caverne e ha imparato come ci si comporta. Appassionato di storia, di campagna, di terra e di cavalli, Luca Zaia si è gettato di default nel mondo, sperimentando un format di successo molto utile nella community dei politici under quaranta (Zaia ha quarantadue anni ma non conta, è ancora nella top ten dei giovani).
Il debutto in società di un leghista presentabile non passa più attraverso il dio Po, Alberto da Giussano e il fazzoletto verde, ma si nutre di corsi di management, slow food, musica lounge e soprattutto l'orgoglio (il pride) di definirsi “glocal”: un moderno global attento alle realtà locali, infatti Zaia promuove da sempre il made in Italy e ha proibito la coltivazione di mais ogm. Tempo fa aveva detto: “Noi combattiamo contro quel vero e proprio olocausto linguistico che vorrebbe far scomparire le lingue locali”, quindi aveva pensato di rilanciare il turismo nel territorio veneto con un'operazione chiamata “umbrella brand”, per aumentare l'incoming di presenze. In nome della modernità e della nuova e cosmopolita immagine della Lega, Luca Zaia avrebbe dovuto sfidare davvero le critiche decidendo di sostituire (senza smentire e ingarbugliarsi) l'inno di Mameli con qualcosa di meno local e meno old fashion di “Va' pensiero”: “New York New York” con Liza Minnelli sarebbe andata benissimo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano