Non è colpa delle vuvuzelas

Serata in casa Luxuria, con amiche trans, ad ammirare cosce Mondiali

Stefano Di Michele

Il grande tricolore sventola gagliardo dalla finestra di casa Luxuria, su via del Pigneto. Dentro la stanza, in un perfetto equilibrio di pareti rosa e mobilia azzurra, stiamo tutti con la nostra piccola bandierina in mano – il sottoscritto e Vladimir Luxuria, Lucrezia e Silvia, Mara Keplero e Fuxia Loka – da agitare al momento opportuno. Momento opportuno che, qui e ora, non necessariamente deve coincidere con quello di un gol azzurro.

    Il grande tricolore sventola gagliardo dalla finestra di casa Luxuria, su via del Pigneto. Dentro la stanza, in un perfetto equilibrio di pareti rosa e mobilia azzurra, stiamo tutti con la nostra piccola bandierina in mano – il sottoscritto e Vladimir Luxuria, Lucrezia e Silvia, Mara Keplero e Fuxia Loka – da agitare al momento opportuno. Momento opportuno che, qui e ora, non necessariamente deve coincidere con quello di un gol azzurro. Già al suono degli inni nazionali, l'occhio di Luxuria – sarà che la passata esperienza di deputata di Rifondazione ha lasciato una certa sensibilità internazionalista – ha un sussulto: “C'è uno del Paraguay, quanto mi piace!”. Così, solo un rapido primo piano, ma in certe cose l'impressione iniziale è tutto. “Porta una calzamaglia nera…”, dice il telecronista. “E chi è, la Kessler?”, domandano a ragione a via del Pigneto. Tremori al primo scontro diretto, “che botta!”, esultanza alla prima maschia prodezza italica, “che bono!”, occhio clinico sul dettaglio della caduta, “che coscioni!”.

    S'accende il tifo, e pure la tentazione.
    “Che figo, quello! Che bono! Lo voglio in mezzo al pane come la Nutella!”. La saggezza della padrona di casa esorta alla moderazione: “Calma, ragazze. Non ci esaltiamo troppo, sennò ci risale il testosterone e ci ricresce la barba!”. Una partita della Nazionale, insieme a Luxuria e alle amiche trans, è perfetta lezione di estetica non solo calcistica. Ché del calcio poco si sa, ma dei calciatori molto si apprende. “Io, amore, ho già dato ai calciatori…”, sospira Mara. Risate generali: “Ma non ci sono i calciatori gay, si sa che i tacchetti s'infilzano sul terriccio…”. Lo scorso Mondiale, in apposita adunanza, fu eletto a furor di popolo e di ormoni Fabio Cannavaro quale ideale icona gay. Silvia – alta e bionda, unghie rosse e completo da marinaretto, pantaloni di lino bianco e maglietta a righe orizzontali – non ha mutato opinione: “Quanto mi piace Cannavaro…”. Qualcuna ha avuto un ripensamento dal punto di vista dei centimetri (e non quei centimetri, con un certo disappunto mai visionati): “Però è un po' basso, tutto concentrato. Con lui, cara mia, ti puoi scordare di mettere le Manolo Blahnik per tutta la vita!”. Silvia resta della sua idea, pronta alle necessarie rinunce: “Fa niente, metto le ballerine per sempre!”. Dal divano: “Siamo tutti un po' ballerini, nella vita”. Urlo verso lo schermo: “Non ha trovato il fallo!”. Considerazione quasi scontata, e generale sconforto: “Come lo capisco!” – ognuna memore, forse, del prezioso insegnamento che già durante lo scorso Mondiale l'onorevole Luxuria confidava al cronista: “Mah, capirci di calcio… Sostanzialmente, arrivata al fallo mi fermo…”.

    In certi momenti, quando l'occhio della telecamera è lontano, e i calciatori figurine indecifrabili, sempre si registra un calo d'interesse. “Ma l'hai fatto, poi, quel corso di cucina?”. Un sussulto ogni tanto: “Vai, Iaquinta!”. Un sussulto di replica: “La sesta, cara, la sesta…”. Lucrezia (per la precisione “Giuseppe in transito verso Lucrezia”) pratica yoga, va in bicicletta, fa la commessa in un importante negozio di moda del centro. “Vendeuse, prego, non commessa…”. Ha un taglio di capelli alla Veronica Lake, un sorriso disarmante, una passione per gli anni Quaranta e Cinquanta trasferita pure alla biancheria intima, così che la questione – tra la prima e la seconda parte della partita – trova il suo momento di dibattito. Lucrezia ha reggipetti come quelli delle mamme, apposite mutande quasi ascellari; Mara – annotata sui giornali quale “regina delle trans romane”, foto con Sgarbi e partecipazioni televisive – argomenta (e mostra) con decisione una più ferma tendenza al seducente reggicalze.

    Mara è scafata, divertentemente pratica, “a noi trans italiane dovrebbero dare il marchio doc, come il parmigiano”; Lucrezia romantica e perplessa. “Io sono solo passiva e donna, eterosessuale nella mia transessualità”. Che sta a significare questo: una fatica a far crescere capelli, sviluppare tette e sparire peli, poi ti arrivano certi omoni, “un metro e novanta di muscolatura”, e la donna la vogliono fare loro, “ti pare possibile? voglio l'amore vero, autentico…” – intanto sogna Saint Tropez, “il mio direttore c'è stato, ci sono un sacco di francesi chic con trans pazzesche”. Dice: “Spero che vinca l'Italia perché così, domattina, in metropolitana hanno tutti la faccia più sorridente”. Lamento generalizzato sui tremebondi amanti in giacca e cravatta. “Mica venire con noi è un dramma…”. L'orgoglio rilancia: “Casomai un dramma per noi, con questi uomini…”. Si riprende a giocare. “Quello, come si chiama, Alcaz…”. “Macché, Alcaraz…”.

    “Prometteva meglio… Mamma mia, però come son tosti, questi del Paraguay…”. Sventolìo di bandierine, a incoraggiamento della Nazionale calcistica. “Partita moscia…!”. “E dai, non pronunciate quella parola!”. Sospiro da Mara: “Gilardino…”. Luxuria: “E vai! E vai! Dentro! Dentro! Ragazze, c'è Zambrotta, che quello come tira sfonda!”. Silvia, un po' affranta: “Ma perché Totti non lo fanno giocare?”. Nessuno lo sa. Passa, con fiducia, al secondo romanista: “De Rossi mi piace, ha lo sguardo dolcissimo…”. Cade e si rigira sul campo il giovane Pepe, con calcistico lato B in primo piano che scuote il gruppo: “Che rovesciata!”. “Che carino!”. “Che chiappe, ragazze, visto che chiappe?”. Entra Camoranesi. Sarà per via del codino, ma genera una certa aspettativa. “E' bono! Mo' il gol è assicurato!”. “E' gol! E' gol! Oddio, lo sento!”. “Io pure! Io pure!”. E De Rossi che segna. Sventolìo generalizzato. Luxuria offre generosamente il petto alla causa: “Se fanno un secondo gol giuro che metto una tetta fuori dalla finestra”, promette accarezzando il tricolore esposto. <

    E' mancata l'occasione, al Pigneto e alla nazione. “Quello è eccezionale…”. “Ma chi è?”. “E che ne so! Ma hai visto che bono? Sarà eccezionale, no?”. In realtà qui non si accende una sigaretta, si mangiano pop corn e patatine e olive, aranciata e Coca Cola – e a proposito, e con giusto orgoglio, Fuxia Loka mostra il suo ciddì “My name is Koka Lola”. Qualche pizza sale dalla pizzeria di sotto, portata dal giovane assistente di Mara, potentino e dolcegabbanamente abbigliato. Partita finita, serata divertente, icona gay ancora da scegliere. Tocca alle chiacchiere sui cronisti sportivi, “secondo me quello c'ha un pisellone…”. Ma sulle glorie nascoste del giornalismo italico, nessuna è disposta a mettere in gioco una tetta.