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Un Cav. disilluso sceglie la linea della trattativa sulle intercettazioni

Salvatore Merlo

Silvio Berlusconi sembra optare per una linea morbida, la legge sulle intercettazioni non avrà tempi contingentati alla Camera, niente fiducia dunque. Ma soprattutto il centrodestra al termine di un vertice pomeridiano a Palazzo Grazioli ha per la prima volta ammesso l'ipotesi di modificare il testo nei punti controversi. Si tratta di un segnale di apertura anche a Gianfranco Fini, da cui ci si aspettano però adesso risposte concilianti.

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    Silvio Berlusconi sembra optare per una linea morbida, la legge sulle intercettazioni non avrà tempi contingentati alla Camera, niente fiducia dunque. Ma soprattutto il centrodestra al termine di un vertice pomeridiano a Palazzo Grazioli ha per la prima volta ammesso l'ipotesi di modificare il testo nei punti controversi. Si tratta di un segnale di apertura anche a Gianfranco Fini, da cui ci si aspettano però adesso risposte concilianti. Il Cav. starà a vedere, senza rinfoderare del tutto i propositi battaglieri.

    E' tuttavia vero che la legge ora potrebbe anche finire con l'essere approvata in autunno inoltrato. Sembra un improvviso cambio di strategia, sorprendente anche per la rapida tempistica, ma in realtà si tratta di un'opzione che il premier non aveva mai scartato del tutto: difatti Berlusconi da settimane aveva affidato l'intero dossier (trattative con Fini e contatti con Giorgio Napolitano compresi) alla troika delle colombe composta da Gianni Letta, Angelino Alfano e Niccolò Ghedini. Nelle scorse settimane il Cav. ha continuato ad accelerare sul ddl facendo trapelare la volontà di forzare sui dubbi del Quirinale e soprattutto su quelli del presidente della Camera, ma contemporaneamente i suoi più fidati emissari si prodigavano su suo mandato in un negoziato preliminare con Fini su tutta la linea: intercettazioni, organigramma del Pdl, manovra.

    Eppure, ancora martedì sera,
    chi aveva avuto modo di parlare con Berlusconi lo descriveva sicuro nell'idea di portare avanti la legge sfidando anche il cofondatore: “Ci sarà la fiducia. Poi, se vuole, Fini si prenderà la responsabilità di far cadere il governo”. Cosa ha fatto improvvisamente pendere la bilancia verso un'apertura sul ddl ascolti? E' successo che il flebile negoziato con Fini, come raccontato ieri dal Foglio, ha preso una piega positiva, mentre, allo stesso tempo, le perplessità del Quirinale hanno persuaso anche Alfano e Ghedini intorno al rischio di una non promulgazione. Non poco infine ha giocato la sponda della Lega dove, percepito il rischio di una frattura istituzionale, Umberto Bossi ha detto: “C'è spazio per le modifiche”.

    Si era capito dalla mattina che qualcosa fosse cambiato nell'atteggiamento del premier nei confronti della legge sulle intercettazioni. Berlusconi, intervenuto all'assemblea della Confcommercio, ha usato due registri: è stato battagliero sul principio che anima il testo (la difesa del diritto alla riservatezza) ma ha subito fatto capire che la legge non è di per sé intangibile. Anzi. Con amarezza: “Alla Camera si parla di metterla in calendario per settembre, poi dobbiamo vedere cosa dirà il capo dello stato e se riterrà di poterla firmare. Poi sicuramente quando sarà diventata legge non piacerà ai soliti pm della sinistra che ricorreranno alla Corte costituzionale che, secondo quanto ho sentito, potrebbe abrogare il provvedimento”.

    Nella maggioranza tutti tacciono,
    non ci sono neanche gesti di esultanza da parte dei finiani, il che dà l'idea di una ancora instabile quiete. Anche i colonnelli, ieri al vertice, si sono attestati su una linea di mediazione. Ed è una importante novità. Circola un adagio: “Per settantadue ore niente dichiarazioni, niente polemiche”. Se l'apertura nei confronti del calendario alla Camera è esplicita, quella intorno alle modifiche al testo, che dovrebbe riguardare almeno il meccanismo di reiterazione degli ascolti, risulta implicita e confermata soltanto a microfoni spenti: “A Palazzo Grazioli non si è parlato nel merito della legge”. La verità è che da ieri, dopo la frenata, nell'entourage del premier si affaccia un problema non da poco: come evitare che tutta la vicenda suoni come una sconfitta di Berlusconi? Una risposta chiara non c'è, almeno non ancora. Dipenderà anche dalle meccaniche e dai tempi che porteranno alle possibili modifiche. E dipenderà pure dall'esito dei negoziati con Gianfranco Fini. Martedì prossimo è prevista un'altra riunione di vertice, d'altra parte – questo lo dicono tutti – qualsiasi modifica al testo dovrà prima passare da una approvazione degli organi di democrazia interni al Pdl.

    Secondo una corrente di pensiero, all'interno dell'entourage del premier ha per il momento vinto la fazione dell'appeasement, la quale ha adesso la possibilità di giocare fino in fondo la carta della trattativa con il cofondatore del Pdl. Si tratta di quella stessa autorevole troika, Letta-Alfano-Ghedini, che ha presentato nei giorni scorsi a Berlusconi un articolato piano di riappacificazione con Fini che passa dalla creazione di un nuovo organismo direttivo interno, da un patto per le politiche 2013 che blindi la ricandidatura del Cav., e dall'avvio del congresso nazionale. Nella bozza di accordo che Berlusconi ha ricevuto c'è scritto che Fini chiede per il 2013 un numero di deputati pari alla percentuale che il presidente della Camera sarà in grado di coalizzare intorno a sé al primo vero congresso nazionale che dovrebbe avere luogo entro il 2012. Tutto sommato “non si tratta di richieste irricevibili”, chiosa un alto dirigente berlusconiano che tuttavia non ha nessuna notizia di reazioni da parte del Cav. D'altra parte, per la verità, la stessa cautela di Berlusconi nei confronti del ddl intercettazioni risulta già di per sé una parziale risposta; una affermazione di credito cui, tuttavia, ora deve corrispondere un pari messaggio da parte di Fini. Non è infatti escluso, non ancora, che il clima umorale si riaccenda improvvisamente. Il Cav. ha sempre un'arma dalla sua, potrebbe anche ritirare la legge e scaricare con forzala colpa su Fini: “Non mi fa governare”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.