Sbaglia così spesso che uno si domanda come sia ancora vivo. Ma sbaglia con voluttà, se ne impipa della razionalità politica.

Berlusconi, il gigante inetto

Giuliano Ferrara

Berlusconi è un gigante. Lo è anche quando cede rovinosamente terreno, quando sbatte la faccia contro il muro, quando si scopre impotente, rassegnato, ingloriosamente pronto a mollare tutto, a girare il culo e a mettersi in vacanza tropicale per il resto dei suoi giorni. Si comporta spesso in modo buffo, Berlusconi. Il bagno di casa sua è invaso dalle ragazzine, confonde amici e avversari con i suoi modi da outsider e da mattocchio, il tratto del riccone soddisfatto di sé, l'umoralità viscerale, spesso forsennata.

    Berlusconi è un gigante. Lo è anche quando cede rovinosamente terreno, quando sbatte la faccia contro il muro, quando si scopre impotente, rassegnato, ingloriosamente pronto a mollare tutto, a girare il culo e a mettersi in vacanza tropicale per il resto dei suoi giorni. Si comporta spesso in modo buffo, Berlusconi. Il bagno di casa sua è invaso dalle ragazzine, confonde amici e avversari con i suoi modi da outsider e da mattocchio, il tratto del riccone soddisfatto di sé, l'umoralità viscerale, spesso forsennata, e la vitalità sconsiderata, con l'aggiunta di una volubilità che impressiona per la sua brusca imprevedibilità. Ma nessuno come lui ha cambiato, a colpi di intuizione, per necessità di salvaguardia personale e della roba, per passione italiana e per cinismo da superego, e il perché in fondo non importa, la politica italiana e non solo italiana. La politica e non solo la politica. Sarkozy è autoritario, narcisista senza ironia, monarca repubblicano a vocazione dominante nei media. C'è e passerà. Ma Berlusconi, lo hanno capito anche i suoi nemici, direi soprattutto i suoi nemici, non è destinato a passare. Possiede i media, ma è liberalmente oggetto della più lunga e grottesca campagna di delegittimazione mediatica della storia europea moderna. E' un gigante. Punto.

    In senso tecnicamente politico, nonostante il profluvio di complimenti spesso interessati che riceve nella sua routine di statista, Berlusconi è un inetto. Sbaglia così spesso che uno si domanda come accada che sia ancora vivo. La battaglia sulla privacy è solo l'ultimo episodio in cui il gigante si comporta in apparenza da sciagurato, da inabile. Fu avvertito da consiglieri politici, Berlusconi: attenzione, questo è un paese borbonico, uno stato di polizia, siamo culturalmente impreparati alla libertà soprattutto in termini di principio, privacy è una parola straniera, è vero che la applaudono nei comizi quando si inalbera contro lo spionaggio diffuso, ma guardi, presidente, che tra il Quirinale, la Corte e il Parlamento (con il contributo di Fini, con le difficoltà in cui si metterebbe Napolitano) alla fine le risulterà difficile sfidare dal punto di vista dell'autosufficienza della sua maggioranza il partito-molosso dei pm e dei giornalisti. Nel paese di camorra mafia e 'ndrangheta il circo mediatico-giudiziario fa il bello e il cattivo tempo, è pilastro del sistema di potere reale della Repubblica, da vent'anni, e lascia a lei il privilegio ineffettuale di vincere le elezioni molto spesso e di governare a lungo in condizioni di sostanziale prigionia istituzionale. Il consiglio finiva così: molli la legge bella e impossibile, si prenda il testo Mastella approvato da tutti o formuli un testo bipartisan dicendo che vuole un accordo costituzionale largo, e guidi lei la mediazione politica. Tanto qui da noi si continuerà a intercettare, e l'unica soluzione è non dire troppe cazzate al telefono.

    Niente da fare. Per Berlusconi,
    gigante anche dell'antipolitica applicata, la parola politica e l'esperienza politica sono perdite di tempo. Il suo braccio destro è il grande Gianni Letta, tecnico della mediazione ma per propria scelta di sempre più ambasciatore, funzionario di primissimo rango del palazzo, che non politico esposto e d'ambizione personale o di gruppo. Letta è da sempre un sublime paradosso: è il numero due di un partito al quale non si è mai iscritto. Il braccio sinistro di Berlusconi, il che è tipico della sua mentalità imprenditoriale, della sua sbrigativa sfiducia in tutto ciò che è parola politicamente vuota e non concretezza trasformabile in codice, in legge, in codicillo, in strumento operativo immediato, è un avvocato, un bravissimo avvocato, che però sul terreno della politica, dei suoi tempi e delle sue nuance, del suo retrogusto chiacchierone e mezzano e del suo confine specifico tra il possibile e l'impossibile, non mette piede: non è il suo mestiere. Così Berlusconi, pur messo sull'avviso, pur ben consigliato, pur meravigliosamente sorretto dalle competenze di Letta e del suo avvocato, si inoltra nei pantani politico-parlamentari, nelle campagne di massa, nei meandri dei poteri neutri e occhiuti sorveglianti della sovranità popolare, senza l'ausilio della strategia politica.

    Risultato: la ritirata non strategica nel momento culminante dello scontro sulla decisiva questione della difesa delle vite degli altri dall'intrusione ossessiva dello stato di polizia, la sensazione di abbandono e di cedevolezza, cose che certo non figurano tra i gioielli della corona di questo gigantesco e barocco Ubu Roi.
    Ma che importa? Qui è il punto. Qui è la sorpresa. Qui è anche il massimo diletto per gli osservatori smarriti della politica italiana al tempo del dominio regale e pazzo del gigante delle paludi, del Caimano di conio corderiano e morettiano. A Berlusconi non piacerà che noi si metta in piazza la realtà della ritirata, per amore di verità e per edificazione e formazione di una buona cultura politica di governo. Ma alla fine se ne impipa. “Sono cose per politici di professione, alla gente non interessano. Ghirigori mentali per presuntuosi che credono di saperla lunga. In realtà io recupero quando voglio, sul terreno che scelgo, l'ho fatto tante volte con una smentita, con una giravolta, il mio consenso e le mie fortune non dipendono dalla mia capacità di manovrare ma dalla mia duttilità, dal mio polso della situazione, dal mio rapporto diretto con il paese: e che, alla mia età, con la mia storia e il mio patrimonio, devo dare retta a quegli sfaccendati poverelli che predicano la razionalità della politica a un campione del mondo dell'antipolitica?” (Le parole tra virgolette sono rigorosamente fictional).

    Il bello è che forse ha ragione lui, il colosso che incorre in strafalcioni giganteschi. Magari tra due settimane un tribunale manda assolto Marcello Dell'Utri, come sarebbe sacrosanto visto anche il capo di reato scandalosamente e incivilmente inquisitorio di cui è accusato, e tutto cambia, si apre una nuova stagione. Oppure si passa un'estate così e così, e toccherà far eruttare nuovi vulcani in villa, spandere nuovi grandi umori e rumori dalla reggia itinerante, saggiare nuove soluzioni sul palcoscenico internazionale, girare la manovra economica in qualcosa di meno sadico per gli italiani, e alla fine il sondaggione permanente risale, e la parabola torna ascendente, e poi quel che non si è fatto ieri, un accordo sulle intercettazioni compatibile con la realtà, lo si può far domani.

    Chissà. Tutte le volte che uno pensa all'errore fatale di Berlusconi, alla “cagione della ruina sua”, deve sempre pensare anche alla sua Fortuna machiavelliana, al suo spirito di domatore del circo italiano, alla circostanza decisiva e finale: questo paese a occhio e croce non volterà le spalle a un Principe nuovo che è stato tanto capace di sorridergli. Piazzale Loreto e altre carognaggini il nostro popolo li riserva ai creatori di regimi, a chi gli impone guerre e sacrifici, a chi sfida l'opinione un giorno sì e un giorno no: il gigante volubile, il sorridente conducator che genera la politica dall'antipolitica, e un certo ordine dal caos, non dovrebbe correre di questi rischi. Ecco perché sbaglia con disinvoltura, e diremmo perfino: con voluttà. Ecco perché gli sbagli lo attraversano senza conseguenze, come acqua che scivoli sul marmo.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.