Chi è l'eroe dell'unica squadra che quando gioca non ha tifosi che la guardano
Quello lì che piangeva l'altra sera durante l'inno della Corea del nord. Lui: Jong Tae-se. Perché le lacrime? La sua storia a cavallo del 38° parallelo: Corea del nord, Corea del sud, Giappone. Lui è tutto quello che sappiamo della sua Nazionale perché è l'unico che prima del Mondiale aveva già una storia: Jong è un giapponese che non è giapponese, ma un sudcoreano che gioca per la Corea del nord, visitata per la prima volta durante il liceo in gita premio.
Quello lì che piangeva l'altra sera durante l'inno della Corea del nord. Lui: Jong Tae-se. Perché le lacrime? La sua storia a cavallo del 38° parallelo: Corea del nord, Corea del sud, Giappone. Lui è tutto quello che sappiamo della sua Nazionale perché è l'unico che prima del Mondiale aveva già una storia: Jong è un giapponese che non è giapponese, ma un sudcoreano che gioca per la Corea del nord, visitata per la prima volta durante il liceo in gita premio. Vive a Kawasaki, gioca nei Frontale, ama le auto, lo shopping e lo snowboard, e dice che non viaggia mai senza l'iPod, il laptop e la console Nintendo (è grande appassionato di Super Mario), suscitando proprio in Sudafrica la curiosità dei colleghi, che, al contrario, sono abituati a un paese nel quale un solo canale televisivo statale trasmette in modo ossessivo la propaganda del regime di Kim Jong Il. Perché piangeva? Per se stesso? Per il suo paese? La storia di Jong è legata ai genitori d'origine sudcoreana, almeno all'inizio, perché sua madre decise di optare per il nord e di mandare suo figlio alla Chongryon, le scuole sostenute da Pyongyang in Giappone.
Per questo non ha mai potuto essere sudcoreano: Seul ha vietato il passaporto a tutti quelli che hanno avuto a che fare con quell'istruzione, con quella cultura, con quel mondo.
Jong Tae-se dice che non gli importa, racconta che aver scelto il nord è un orgoglio maturato senza ripensamenti quando in tv vide la squadra travolta dal Giappone durante un campionato d'Asia. “Piangemmo io e mia madre”, ha ricordato ai giornali giapponesi qualche giorno prima di partire verso il Sudafrica. Ha parlato di quel giorno e di tutti gli altri, quelli in cui il padre gli insegnava a fare “2-3 volte meglio quello che fanno i giapponesi”. Perché, la sua patria non è il Giappone: c'è un altro paese in Giappone chiamato Zainichi, è l'enclave nordcoreana, un limbo nel quale pur essendo nati e cresciuti in Giappone non c'è diritto di cittadinanza. Ci vivono 800 mila persone come Jong Tae-se. Allora piangeva per loro? Se lo chiede Tokyo, non Pyongyang. Semplicemente non si può. Perché non si sa: quelle lacrime non le ha viste nessuno. La Corea del nord è l'unico paese dei 32 che partecipano al Mondiale dove la tv non trasmette le partite.
Prima il segnale arrivava attraverso il sud. Seul, però, ha rifiutato di concedere la ritrasmissione gratuita delle partite dopo l'attacco navale subito dalla Corea del nord qualche settimana fa. La Fifa ha cercato di risolvere il problema, ma fino a oggi non c'è ancora riuscita. La domanda è un'altra: se ci fosse il segnale, la gente potrebbe guardare in diretta? Difficile, visto che persino la notizia della qualificazione ottenuta dopo la vittoria con l'Arabia Saudita è stata data dopo due ore di filtri governativi. La buona partita contro il Brasile forse ha liberalizzato un po' il regime: per questo ieri abbiamo saputo che il terzogenito di Kim Jong Il è molto appassionato ed è il vero artefice della bella partita dell'altra sera. Le radio controllate da Pyongyang dicono che è stato Kim Jong Un a dare la carica ai giocatori prima della partenza verso il Sudafrica. Merito suo, quindi. Merito suo anche il grande impatto del tifo nordcoreano negli stadi? Visti in tv i tifosi sembravano veri, però il mondo sa che è la falsità più sfacciata di questo Mondiale: il governo ha vietato ai cittadini di uscire dal paese per andare in Sudafrica. Quelli allo stadio erano attori: controfigure dei nordcoreani. Erano cinesi. Pagati per cambiare bandiera. Tanto nessuno se ne accorge.
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