Nell'ufficio di Walesa

Luigi De Biase

Lech Walesa non ama perdere tempo. Stringe la mano agli ospiti, prende una sedia e chiede qual è la prima domanda. Il suo studio è una specie di museo nella strada più elegante di Danzica. Sulla targa di ottone accanto alla porta c'è scritto semplicemente “Ufficio di Walesa”, senza aggiungere altro. Qui non ce n'è bisogno: ogni pietra ti ricorda che la città è la sua, dalle fabbriche di Solidarnosc all'aeroporto che gli hanno intitolato nel 2004.

    Lech Walesa non ama perdere tempo. Stringe la mano agli ospiti, prende una sedia e chiede qual è la prima domanda. Il suo studio è una specie di museo nella strada più elegante di Danzica. Sulla targa di ottone accanto alla porta c'è scritto semplicemente “Ufficio di Walesa”, senza aggiungere altro. Qui non ce n'è bisogno: ogni pietra ti ricorda che la città è la sua, dalle fabbriche di Solidarnosc all'aeroporto che gli hanno intitolato nel 2004. Anche Danzica domani andrà alle urne per le elezioni presidenziali. E' un voto silenzioso e arriva a due mesi dal disastro di Smolensk, l'incidente aereo che è costato la vita a 94 persone, compreso il vecchio presidente, Lech Kaczynski. I candidati sono Bronislaw Komorowski, in corsa per il partito di governo, Piattaforma civica, e il gemello di Kaczynski, Jaroslaw, tornato sulle scene dopo due anni di assenza. I sondaggi danno Komorowski in lieve vantaggio, ma la rimonta di Kaczynski è stata molto forte.

    Walesa è stato il primo presidente eletto in Polonia secondo le regole della democrazia.
    Non è più il leader di un movimento forte e numeroso com'è stato per anni Solidarnosc, ma questo non significa che abbia scelto la pensione. “Nella mia vita ho partecipato a decine di campagne – spiega al Foglio – A volte l'ho fatto in prima persona, altre ho lavorato nel buio. Lo sto facendo anche ora, e devo dire che questo ruolo mi piace. Posso fare quello che mi pare, senza compromessi. Se fossi candidato, non potrei certo comportarmi in questo modo”. Molti non hanno ancora capito per chi stia lavorando: i suoi rapporti con Kaczynski sono difficili e quelli con Piattaforma civica potrebbero essere migliori. “La Polonia è una nazione libera – dice – Sapete che cosa avrei pensato se mi avessero detto che avrei vissuto così a lungo da vedere tutto questo? Non ci avrei creduto, a meno che qualcuno non mi avesse fatto ubriacare. Per quel che mi riguarda, qualunque leader eletto dalla maggioranza va bene, ma questo non vuol dire che sia contento del governo”.

    Quando Walesa è diventato presidente,
    nel 1990, il suo slogan era “Nie chcem, ale muszem”, non vorrei farlo, ma non ho scelta. I mesi che hanno preceduto la vittoria elettorale e gli anni alla guida del paese rappresentano il periodo più tormentato (per alcuni controverso) della sua carriera. “Il mio compito era distruggere il comunismo e ho portato a termine quel lavoro prima di diventare presidente. Mi sono dovuto candidare perché dovevo garantire che la democrazia si affermasse. Per seguire quella scelta ho rotto decine di accordi e di intese, ho infranto regole, ho agito contro la mia stessa coscienza. Oggi è tutto diverso, nessuno si candida perché è costretto a farlo, prendono quella strada soltanto perché lo vogliono, ma hanno molte alternative”.
    Dopo la tragedia di Smolensk, Walesa ha detto di essere pronto a guidare il paese, peccato che nessuno gli abbia proposto di farlo.

    Ma le sue intuizioni, soprattutto in politica estera, sono ancora attuali. Quindici anni fa voleva la “Nato bis”, un'alleanza militare fra i paesi dell'est, e molti leader della regione discutono ancora questa ipotesi. “Quando l'ho detto non intendevo cominciare una guerra contro la Russia. Volevo allontanare il più possibile la Polonia dal comunismo e credo che il mio pensiero fosse corretto. Oggi non ritengo che il paese sia in ‘pericolo', perché altrimenti l'economia sarebbe ferma, la gente non avrebbe un lavoro e non ci sarebbe benessere”. Tuttavia, i rapporti tra Mosca e Varsavia restano tesi. “I nostri padri hanno fatto cose molto stupide. Basti pensare alla tragedia di Katyn, dove sono stati uccisi ventimila soldati polacchi, praticamente il meglio di quella generazione. Bene: nessuno si è ancora assunto delle responsabilità, nessuno ci ha chiesto scusa in modo convincente. Ecco perché ci sono dei problemi. Loro vogliono costruire una nuova amicizia senza togliere il coltello che hanno piantato nella nostra schiena, senza scavare nella storia, senza ripulire il passato. Certo, c'è anche una via più moderata per risolvere la questione e io, francamente, non so cosa sia meglio fare”. Negli anni scorsi Walesa si è opposto all'ingresso di alcuni paesi nell'Unione europea. “Ho seguito la vicenda del vescovo assassinato in Turchia, che è avvenuta mentre la Polonia ricordava padre Popieluszko – spiega – La religione deve trovare il giusto posto in Europa, dobbiamo comprendere che abbiamo tanti maestri diversi, alcuni molto particolari, ma un solo Dio. Serviranno almeno trent'anni per raggiungere questo traguardo”.