Primo di due articoli
Il “manifesto” postmoderno travolto da un insolito Dal Lago
La famiglia del manifesto non è nuova alle polemiche “intra moenia”, sempre condivise con i lettori sulle pagine del giornale. Nato sotto la stella del movimentismo temperato da una tradizione politica che si voleva svecchiare ma non rinnegare, nella sua quasi quarantennale esistenza il giornale ha raramente disatteso la regola di una orgogliosa e proverbiale mancanza di inibizioni. Molto più disposto a correre il rischio dello snobismo piuttosto che quello della corrività.
La famiglia del manifesto non è nuova alle polemiche “intra moenia”, sempre condivise con i lettori sulle pagine del giornale. Nato sotto la stella del movimentismo temperato da una tradizione politica che si voleva svecchiare ma non rinnegare, nella sua quasi quarantennale esistenza il giornale ha raramente disatteso la regola di una orgogliosa e proverbiale mancanza di inibizioni. Molto più disposto a correre il rischio dello snobismo piuttosto che quello della corrività, antipatico e magari cattivissimo, eccentrico, addirittura strafottente: tutto, pur di non accomodarsi sul prevedibile.
E poi è scoppiato il “caso Dal Lago” (vedi il Foglio del 12 giugno), nel senso di Alessandro, professore di Sociologia a Genova, che con la manifestolibri diretta da Marco Bascetta ha pubblicato un saggio critico sul fenomeno Saviano-Gomorra. Un fenomeno definito come “blockbuster morale”, prodotto di una strategia editorial-commerciale che punta alla sospensione della critica politica in favore di una visione consolatoria e innocua soprattutto per i fenomeni che pretende di denunciare e combattere. Il saggio si intitola “Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee”, da settimane continua a incassare insulti ed encomi in parti uguali, e ha provocato parecchio imbarazzo nella direttora di fresca nomina del manifesto, Norma Rangeri. La quale si è più o meno scusata, quasi fosse stato un lapsus, di quella pubblicazione da parte della “nostra piccola (e autonoma), casa editrice”. Dove la sottolineatura è su “autonoma” piuttosto che su “nostra”, come nel collettivo redazionale qualcuno fa notare, con un certo malumore. Rangeri dice al Foglio che “del libro di Dal Lago evidentemente vale la pena discutere e mi va bene che accada. Ma polemizzare con Saviano, come Dal Lago fa, significa polemizzare con le tante persone che in Saviano si identificano. Ho voluto sottolineare che non ero d'accordo con la sua tesi, che attribuisce all'autore di ‘Gomorra' una cultura di sinistra che si rispecchierebbe in quella della destra berlusconiana”. Potendo tornare indietro, “se fossi io la responsabile della casa editrice – ammette Rangeri – ci penserei due volte prima di pubblicare ‘Eroi di carta'. Non mi sento in consonanza con quello che dice di Saviano, di come si può fare politica nel ventennio berlusconiano, di come farsi ascoltare dai giovani”.
E' abbastanza singolare che il manifesto, o almeno la sua direttora, scopra una scarsa sintonia con Dal Lago, antico collaboratore del quotidiano e tutt'altro che nuovo alle analisi dei meccanismi dell'industria culturale (vedi, tra l'altro, il suo “Mercanti d'aura. Logiche dell'arte contemporanea”, scritto con Serena Giordano e pubblicato dal Mulino). Uno studioso militante e di sinistra, insomma, che con “Eroi di carta” non si discosta affatto dalla più squisita e classica operazione “à la manifesto”. Il problema, semmai, è che le sue nuove consonanze il manifesto le va scoprendo nell'ex pm Luigi De Magistris, autore di un articolo pubblicato ieri in prima pagina e intitolato “Il regime che avanza” (a proposito: chissà se di pari passo riuscirà ad avanzare il progetto che doveva debuttare con un convegno-kermesse a metà maggio – in coproduzione manifesto-Michele Santoro, con Ignazio Marino, Nichi Vendola e lo stesso De Magistris – ma poi annullato per le intemperanze di Antonio Di Pietro, parecchio offeso per essere stato escluso dalla festa).
Marco Bascetta – che già negli anni Ottanta, racconta al Foglio, fece arrabbiare “moltissimi, dentro e fuori il giornale, per la Talpa contro l'antiamericanismo, fatta con Marco D'Eramo” – rivendica, come direttore della manifestolibri, la scelta di pubblicare il libro di Dal Lago. Le polemiche che sta suscitando, l'accusa di maramaldeggiare contro un condannato a morte dalla camorra, gli sembra rivelino “l'incapacità di uscire dal disorientamento di questi anni nel solo modo possibile: accettando la sfida di una ricerca a tutto campo. In questa ricerca, il lavoro di Dal Lago sui meccanismi di un best seller globale come ‘Gomorra' è più che legittimo. Senza contare – prosegue Bascetta – che un giornale come il manifesto ha senso se dice qualcosa di più, qualcosa di eretico, qualcosa che rompe con il senso comune della sinistra”.
C'è però chi imputa all'“operazione Dal Lago” un eccesso di casualità. Se sasso nello stagno doveva essere, il lancio andava organizzato, per non doversene poi uscire con “banalissime posizioni a difesa di Saviano”, dice un redattore scocciatissimo. Pensa forse alle posizioni di cui si è fatta portavoce, senza imbarazzi per il palese conflitto d'interessi, una vecchia firma del quotidiano come Severino Cesari, che per Einaudi (cioè per Mondadori, editore di Saviano) cura la collana Stilelibero.
Cesari è anche uno degli inventori di quel cappello chiamato New Italian Epic, messo a definire – scrive Dal Lago – “correnti e autori che aspirano ad allargare la nicchia della narrativa ‘di qualità' o supposta tale”. Un cappello a larghissime falde che copre fenomeni letterari come Wu Ming, Giuseppe Genna e lo stesso Saviano. Sul manifesto di venerdì scorso, Cesari ha scomunicato Dal Lago, accusato di non aver nemmeno letto “Gomorra” e di aver scritto la sua critica sulla scorta di articoli di giornale. “Severino Cesari crede fino in fondo nei meccanismi dell'industria culturale – commenta Bascetta – e soprattutto crede che l'indignazione e l'emozione vadano difese dal razionalismo critico”.
Di tutt'altra opinione, e non potrebbe essere altrimenti, è l'ex direttore (a più riprese) Valentino Parlato, tuttora molto presente nella vita del manifesto: “Si può discutere di tutto, niente è sacro”, dice al Foglio, aggiunge che approva la scelta di pubblicare il saggio di Dal Lago e promette di “scriverne, molto presto”.
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