Lunghissima chiacchierata col sindaco di Roma

La scalata di Alemanno

Claudio Cerasa

Ultimamente si parla parecchio di Gianni Alemanno. Si parla spesso della sua Roma (e spesso non se ne parla troppo bene), si parla spesso dei suoi primi due anni alla guida della Capitale (e spesso non se ne parla troppo male), si parla spesso delle malandate casse della sua città (oggi meno malandate rispetto a qualche tempo fa), si parla spesso del suo ruolo di mediazione tra i due cofondatori del Popolo della libertà.

    Ultimamente si parla parecchio di Gianni Alemanno. Si parla spesso della sua Roma (e spesso non se ne parla troppo bene), si parla spesso dei suoi primi due anni alla guida della Capitale (e spesso non se ne parla troppo male), si parla spesso delle malandate casse della sua città (oggi meno malandate rispetto a qualche tempo fa), si parla spesso del suo ruolo di mediazione tra i due cofondatori del Popolo della libertà (Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, “l'antimateria e la materia”, per stare a una battuta del sindaco di Roma) ma negli ultimi tempi si discute spesso anche della progressiva ascesa del sindaco di Roma sul terreno della politica nazionale. E allora ci si chiede: ma che intenzioni ha il sindaco di Roma? Che cosa farà nei prossimi anni? E che cosa pensa dei bisticci tra il presidente della Camera e il presidente del Consiglio? E con quali idee cercherà di imporsi non soltanto nella Capitale ma anche all'interno del Popolo della libertà? Ecco. Abbiamo incontrato Gianni Alemanno e queste domande le abbiamo girate direttamente a lui. Primo punto: il Cav., Fini, le intercettazioni e la difficile pace nel Pdl tra i due cofondatori.

    La nostra chiacchierata con il sindaco comincia da qui. “Io – dice Alemanno – da tempo sostengo che una pace duratura tra Fini e Berlusconi sia possibile, e sono convinto che una sintesi verrà trovata presto. Ma il modo più indicato per migliorare il clima nel nostro partito credo sia quello di fare presto una cosa molto semplice: un congresso in cui le posizioni che stridono tra di loro riescano a essere finalmente armonizzate oppure, nel caso contrario, che si dividano una volta per tutte, in una maggioranza e in una opposizione. Solo questo, a mio avviso, può creare una stabilità duratura nel nostro partito. Solo un congresso può costringere i massimi vertici del Pdl a mettere tutte le carte sul tavolo, e a iniziare a lavorare con serenità per arrivare preparati al 2013. Quando fare il congresso? Presto, prestissimo: certamente entro i primi sei mesi del 2011, e non dopo”.

    Negli ultimi tempi si è romanzato molto sul ruolo avuto da Alemanno all'interno del complicato processo di pacificazione tra i cofondatori del Popolo della libertà. Al sindaco di Roma il profilo da mediatore non sembra dispiacere e chissà che non sia solo un caso che tra gli oggetti sparpagliati qua e là sulla sua scrivania al primo piano del Campidoglio, tra ramoscelli d'ulivo, immagini sacre e saggi di Karol Wojtyla, vi sia anche un libricino ricevuto qualche mese fa dalla comunità Sant'Egidio che il sindaco dice di custodire gelosamente. Titolo che più chiaro non si può: “Fare pace”. “Fini e Berlusconi – osserva con un sorriso Alemanno – sono due persone che provengono da due latitudini molto differenti ed è normale che a volte non si capiscano. Il primo è un imprenditore concreto che si è calato in modo spettacolare nella politica. Il secondo è un politico puro che vive concentrato sulle dinamiche dei partiti e delle istituzioni. Questa differenza diametrale li porta spesso a trovare difficoltà di dialogo; ma in realtà, e mi stupisco che questo non venga notato, quando le cose vanno bene due opposti come Berlusconi e Fini possono integrarsi e arricchire un partito come il nostro. Spesso non se ne accorgono neanche loro, ma, pur essendo in molti casi simili alla materia e all'anti materia, il nostro premier e il nostro presidente della Camera potrebbero essere complementari tra di loro, e sono certo che prima o poi si decideranno a capirlo tutti e due, una volta per tutte”.

    Oltre all'idea di convocare con urgenza un congresso, Alemanno ha anche un'altra proposta per rafforzare l'identità del Pdl. “Se non vogliamo diventare un partito cristallizzato su precari equilibri correntizi occorre che il nostro popolo adotti uno strumento che un po' invidio all'opposizione: le primarie. Bisogna vincere le paure e avere il coraggio di convocarle. Per le elezioni dei governatori. Per le elezioni ai sindaci. Per i collegi uninominali. Magari un giorno anche per la presidenza del Consiglio, non so. Insomma, per tutte quelle candidature monocratiche in cui i cittadini hanno bisogno di non sentirsi esclusi dalle scelte politiche. Anche perché, e le due elezioni di Vendola in Puglia ce lo hanno dimostrato, spesso gli elettori e i simpatizzanti di uno schieramento riescono a individuare i candidati meglio dei dirigenti di partito. Va dato atto che gli elettori spesso ci prendono più dei grandi capi del partito”.

    Prima di cominciare a discutere di Roma, Alemanno affronta alcuni temi su cui in questi giorni la maggioranza si sta confrontando con vivacità: intercettazioni, manovra ma soprattutto federalismo. Sulla prima questione il sindaco non ha dubbi e offre una riflessione che sembra una sintesi perfetta tra le parole di Berlusconi e di Fini. “Bisogna essere sinceri. Io credo che una legge sulle intercettazioni sia indispensabile per il nostro paese. Anche se questo ddl rischia di essere molto impopolare mi è difficile dire che non sia allo stesso tempo necessario. I bavagli sventolati ogni giorno sui quotidiani sono comprensibili ma fuori luogo. In fondo è stupido coprirsi gli occhi: l'utilizzo senza limiti dello strumento delle intercettazioni ha creato un cortocircuito tra il mondo dell'informazione e quello della giustizia e quello della politica. Si deve fare attenzione a non danneggiare le indagini in corso, e questo rischio è stato fortemente ridotto perché la legge è stata migliorata rispetto alla prima versione, ma non bisogna trascurare un punto fondamentale che riguarda la tutela del segreto istruttorio, che non è certo un'invenzione del governo Berlusconi. Per molti versi, il nuovo disegno di legge è simile, e parlo soprattutto relativamente ai divieti per la stampa, alla legge in vigore. L'unica vera differenza sarà che, mentre oggi la violazione del segreto istruttorio è una prassi consolidata che viene al massimo sanzionata con un'oblazione, dal giorno in cui questo ddl passerà vedrete che tutti staranno molto più attenti a non violare le regole. E quando dico tutti, intendo non solo i giornali che pubblicano le notizie, ma anche coloro che fanno uscire le informazioni che dovrebbero rimanere riservate”.

    Quanto ai temi di natura economica – il federalismo ma soprattutto la manovra – il sindaco su alcuni punti non si trova in perfetta sintonia con il governo. Giovedì pomeriggio Alemanno è intervenuto al direttivo dell'Anci (associazione nazionale comuni italiani) e ha spiegato che i comuni sono gli enti locali più colpiti dalla manovra. Ma il sindaco non si ferma qui. “Io credo che chi avrebbe davvero il diritto di lamentarsi, più che i governatori, dovrebbero essere i sindaci. La manovra penalizza molto gli amministratori comunali. E' ovvio che in un momento di emergenza devono essere presi provvedimenti drastici, ma così il peso rischia di scaricarsi in modo insostenibile sui comuni, e per questo occorrono delle correzioni sull'eccessivo taglio a cui vengono sottoposte le città”. A questo, Alemanno aggiunge una considerazione importante. “Il governo farebbe bene ad ascoltare l'allarme lanciato in questi giorni dal mondo delle imprese. Non basta infatti contenere il debito pubblico: è necessario trovare subito soluzioni per dare stimolo allo sviluppo. In questo senso, credo che ci siano due cose da tenere in considerazione. La prima riguarda il giusto indirizzo dato da Tremonti a proposito dell'articolo 41 e soprattutto a proposito delle liberalizzazioni di cui ha bisogno il nostro paese. Quelle di Bersani non sono state sufficientemente incisive e io credo che la rotta di Tremonti sia quella giusta”.

    Il ragionamento sulla manovra offre ad Alemanno la possibilità di aprire un'interessante parentesi sul tema del federalismo. Non sarà sfuggito che negli ultimi tempi all'interno del Popolo della libertà i più critici nei confronti delle principali iniziative portate avanti dalla Lega siano stati spesso gli ex esponenti di Alleanza nazionale. Fino a qualche anno fa, anche Alemanno non aveva perso occasione per lanciare segnali poco distensivi verso il popolo della Lega; ma sentendolo parlare di federalismo e sentendolo anche parlare in modo positivo di due ministri “molto bravi e molto preparati come Roberto Maroni e Roberto Calderoli” l'atteggiamento sembra essere cambiato. “Sono convinto – dice Alemanno – che al di là degli eccessi retorici della Lega sia urgente completare il federalismo istituzionale con il federalismo fiscale. Questa riforma, se viene fatta bene, è necessaria per tenere sotto controllo le pazze spese di alcuni enti locali, per tentare di porre un argine ad alcuni irresponsabili sperperi sanitari e per redistribuire in modo più equo i pochi quattrini che ci sono in giro”.

    I cinque decreti attuativi sul federalismo fiscale verranno presentati entro la fine di giugno dal governo e Alemanno confessa di non vedere l'ora che la riforma federale diventi realtà. “Posso dirlo? Credo che sarebbe davvero una coincidenza felice quella di festeggiare i 150 anni dell'Unità d'Italia mettendo finalmente in sintonia le identità locali con l'identità nazionale. Non sono diventato leghista, tutt'altro, ma il concetto di federalismo viene dalla parola latina foedus, che significa ‘unire', e deve quindi essere un modo per ricostruire l'unità nazionale partendo dal basso. La piccola Patria legittima la Patria più grande: la comunità nazionale si fonda e si legittima su una catena di appartenenze comunitarie che vanno dalla famiglia, ai gruppi intermedi, alle autonomie locali, fino a giungere al radicamento nell'identità italiana. E' un'idea che era presente anche prima e durante il Risorgimento – pensiamo a Cattaneo o addirittura ad alcune riflessioni e ai progetti incompiuti di Cavour – ma che ha dovuto cedere il passo a un'idea giacobina, centralista e burocratica dell'organizzazione statale. Vogliamo dire di più? Dato che uno dei punti su cui questo governo verrà probabilmente un giorno giudicato dagli storici riguarda la possibilità che si arrivi presto a una vera rivoluzione fiscale, ecco, se si vuole davvero abbassare le tasse io credo che il federalismo ci aiuterà a realizzare questo sogno. Il debito pubblico italiano è esploso dopo il 1970 con la creazione delle regioni. Solo responsabilizzando fino in fondo le classi dirigenti locali si riuscirà a tagliare la spesa pubblica e quindi a ridurre le tasse in modo strutturale. Quanto a Roma – continua Alemanno – la nostra città ha la possibilità di giocare una sfida importante nei prossimi mesi. In questi giorni sarà approvato in Consiglio dei ministri, in prima lettura, il decreto legislativo su Roma capitale che offre maggiori poteri al sindaco e al Consiglio comunale, rendendo nei fatti l'amministrazione locale più forte rispetto al passato. Sarà questo il terreno su cui far rinascere Roma e darle anche una bella svegliata. Mi aspetto delle risposte serie su questo tema dal centrosinistra. Abbiamo una grande occasione: riformare insieme la nostra città. E chiunque abbia delle idee invece di ritirarsi sull'Aventino deve venire a proporcele. Noi siamo qui”.

    I maggiori poteri che verranno assegnati al sindaco grazie alla riforma di Roma capitale suggeriscono una riflessione ad Alemanno sui poteri del presidente del Consiglio. “Da sindaco posso affermare che quando il nostro premier sostiene di non avere poteri sufficienti non dice affatto un'assurdità. In Italia viviamo in una situazione paradossale in cui ai primi ministri viene chiesto di fare riforme, di prendere decisioni forti, di assumersi delle responsabilità pesanti, ma di realizzare tutto questo con poteri limitati: senza neppure poter nominare e revocare i propri ministri. Ne sono convinto: il presidente del Consiglio deve avere più poteri e deve essere messo nelle condizioni, come in parte succede sul territorio per i sindaci, di potersi assumere tutta la responsabilità delle decisioni esecutive. E' un passaggio decisivo per rifondare la nostra democrazia e basterebbe ritirar fuori la bozza Violante per fare una bella riforma e mettere le cose a posto. Come farebbe l'opposizione a dirci di no?”.

    I ragionamenti sul federalismo danno al sindaco
    la possibilità di rispondere ad alcune questioni delicate che riguardano la città che governa ormai da più di due anni. Negli ultimi mesi Alemanno ha ricevuto critiche anche molto severe su diversi problemi relativi alla vita quotidiana della Capitale. Il decalogo dei rimproveri va dalle buche sparpagliate un po' ovunque in giro per la città e arriva fino alla recente – e criticata – proposta di costruire attorno alla Capitale grattacieli alti persino più del cupolone. Alemanno ammette che c'è qualcosa che non va. “Sì, mi rendo conto che in questi primi due anni di governo possa sembrare che sia mancata la definizione di un'identità progettuale della città, ma in realtà stavamo lavorando in profondità per far nascere un autentico piano strategico di sviluppo della Capitale. Provo a spiegarmi. Roma, lo sappiamo, è una città complessa. Noi in questi mesi abbiamo raggiunto risultati importanti sul fronte sicurezza: i dati sul numero di reati commessi in città sono in continuo calo, e nonostante alcuni giornali, soprattutto stranieri, insistano molto sulla presunta crescita delle aggressioni omofobe, anche la violenza sta diminuendo. Ecco: nonostante tutti i problemi da cui è afflitta Roma, nonostante non sarà facile vincere la battaglia per il degrado, io credo che questa città possa essere un modello per tutto il resto dell'Europa. Qualcuno si ostina a ripetere che, a differenza degli anni di Veltroni, Roma sembra dialogare meno con le altri grandi capitali del mondo. Ma credo ci sia un equivoco di fondo. Negli anni del centrosinistra, questa città era stata erroneamente dipinta come una gemella, non so, di New York, di Parigi, persino di Berlino. Ora, mi chiedo, ma che confronti sono? Che senso ha? Per trovare un termine di paragone, una rotta su cui far viaggiare la città nei prossimi anni, a me vengono in mente altre esperienze. Mi viene in mente soprattutto una città a cui spero che Roma possa ispirarsi per la sua trasformazione. Come sviluppo economico. Come possibilità di attirare investitori. Come rapporto con le sue periferie. Come allegria. Come fermento culturale. La nostra pietra di paragone è Barcellona, non c'è dubbio. E' questo il nostro modello e sono convinto che, con tutta la sua ricchezza e le sue straordinarie risorse, Roma se guarderà a quest'esempio, se sceglierà di valorizzare sempre di più la sua presenza sul Mediterraneo, riuscirà a crescere come mai le era successo prima”.

    C'è però un altro punto su cui Alemanno insiste per ragionare sul destino della Capitale. Qualcosa che riguarda in particolare il rapporto tra le istituzioni romane e gli imprenditori non soltanto della Capitale. “Io non credo che per un amministratore di una città importante come Roma sia necessario girare l'Italia spiegando che cos'è la bella politica. No. Io credo che un sindaco abbia il dovere di impegnarsi in prima persona per risolvere un problema grave che ci colpisce in modo profondo. Ovvero: far innamorare gli investitori stranieri di questa città per convincerli che investire qui non è un'odissea, ma è una grande opportunità. Per questo, ho deciso di organizzare un tour in giro per le piazze finanziarie di tutto il mondo, dove da sindaco cercherò di trovare più investitori possibili che siano interessati a dare un loro contributo a questa città”.

    La questione degli investimenti non è l'unico problema della giunta Alemanno. Da mesi, il sindaco sostiene che una delle ragioni che hanno ostacolato la crescita della città sia legata al fatto che Roma vive da troppi anni con un pesante debito che le grava sulle spalle. Alemanno sostiene che le casse del comune stiano tornando a respirare e individua nelle prossime settimane i giorni chiave per rilanciare i suoi progetti per la Capitale. Il primo appuntamento a cui il sindaco tiene in modo particolare è fissato per lunedì mattina, quando nella sala Petrassi dell'Autoditorium verrà presentato il prossimo bilancio comunale. E' un momento importante per il sindaco ed è lui stesso a spiegarci perché. “Se il nostro bilancio verrà approvato senza problemi per Roma inizia una nuova epoca. Un'epoca in cui possiamo uscire dal tunnel del debito in cui questa città, per colpa di passate amministrazioni troppo superficiali, era sprofondata e rischiava di affondare. Oggi le cose sono radicalmente cambiate e il nostro piano di rientro, spero che almeno questo l'opposizione ce lo riconosca, ha creato le possibilità di risanare il debito. La prima cosa che faremo, e mi rendo conto che questo è un problema che fuori dal raccordo anulare può essere visto come una baggianata, è quella di combattere il degrado cittadino e di trovare, un po' alla volta, i due miliardi e 500 milioni di euro necessari per rifare le strade romane e tappare le maledette buche che da troppi anni affliggono la nostra Città”. Continua Alemanno: “Un'altra idea che spero possa essere d'aiuto alla città è un'idea un po' hard, forse, ma sono certo che funzionerà. Abbiamo deciso di dare la possibilità ai grandi sponsor, ai più grandi marchi del mondo, di prendersi il compito di restaurare i più importanti, e malandati, monumenti romani. Cominceremo con il Colosseo. Presto il ministero dei Beni culturali lancerà il bando e sono convinto che i più grandi marchi mondiali saranno molto interessati a farsi pubblicità sponsorizzando il restauro del più famoso monumento del mondo. Si dice spesso – spiega ancora Alemanno – che un problema delle grandi città italiane sia quello di far crescere in modo coerente e non disordinato le periferie. Un'idea per avvicinare le zone periferiche a quelle centrali e per dare loro una mano a non sentirsi marginali nell'economia della città. Le periferie, nella mia idea di Roma, devono diventare il motore vivo di questa città. Avete presente quei quartieri moderni e invidiabili che si trovano in alcune periferie parigine? Avete presente, insomma, quella grande centralità che è la Defense di Parigi? Ecco, io sogno che le periferie di Roma diventino dei luoghi all'altezza di questi modelli. Anche a costo, come ho già detto, che nelle periferie si inizino a costruire grattacieli. Spiegatemi, non capisco, che male c'è a immaginare una città tanto antica e monumentale al centro, quanto moderna e innovativa in periferia?”.

    Un altro tema delicato su cui Alemanno accetta di parlare riguarda un argomento che costituisce il cuore pulsante della geografia economica e finanziaria romana: l'Acea. Chi conosce Roma sa che dietro queste quattro lettere si nasconde qualcosa più di un'azienda che porta acqua e luce nelle case dei romani. L'Acea è la più grande stazione di appalto dell'Italia centrale, è il primo operatore idrico d'Italia, dà lavoro a settemila dipendenti (cinquemila solo a Roma) e gestisce un business vicino al miliardo e mezzo di euro l'anno (in termini finanziari in Italia fatturano più di Acea soltanto tre società: Enel, Autostrade e Ferrovie dello stato). Il primo azionista di Acea oggi è il comune di Roma (possiede il 51 per cento dell'azienda) ma entro il 2012 – secondo quanto prevede il decreto legge Ronchi sulla liberalizzazione dei servizi pubblici approvato in via definitiva a Montecitorio lo scorso 4 giugno – il Campidoglio dovrà scendere sotto il 30 per cento e mettere in vendita il 20 per cento del suo pacchetto azionario. A chi lo darà? I candidati a raccogliere questo tesoro sono i due principali soci privati dell'azienda. Il primo è Francesco Gaetano Caltagirone (arrivato oggi al 13 per cento di Acea, e che poco prima che Alemanno fosse eletto sindaco possedeva circa il 3 per cento dell'azienda) e i secondi sono i francesi di Gaz De France (che di Acea hanno circa il 10 per cento). Ecco, che fine farà Acea? Alemanno risponde con sincerità. “Io credo che per quanto riguarda il futuro di Acea il discorso deve essere molto chiaro. Il comune dovrà diminuire la sua presenza nell'azienda del 20 per cento ma non mi sembra affatto uno scandalo. L'acqua, è vero, è e deve rimanere un bene pubblico ma sono convinto che per evitare gli sprechi, per far sì che un bene così prezioso sia gestito in modo efficiente, può essere utile dare più spazio ai privati nella gestione del servizio. Noi, come comune, non abbiamo preclusioni nei confronti degli investitori. Sia nazionali che internazionali. Se poi l'azionariato di questa azienda rimarrà più legato al territorio, se chi investirà in Acea sarà prevalentemente romano, tanto meglio. Ma noi, ripeto, non abbiamo pregiudizi di alcun tipo o preferenze nei confronti di nessuno, e che questo sia chiaro. L'unica cosa che pretendiamo e che garantiremo con tutte le nostre forze è che non vengano fatte speculazioni su un bene così prezioso e che chi investirà nell'azienda lo faccia con un progetto industriale solido e con una grande attenzione ai diritti universali dei cittadini”.

    Alemanno si ferma un attimo, legge alcune agenzie,
    risponde al telefono, gli dicono che lo sta cercando Giulio Tremonti, il sindaco riattacca la cornetta e a quel punto la domanda è d'obbligo. Sindaco, ma è vero che il tremontismo e l'alemannismo sono concetti diventati ormai quasi sovrapponibili? “E' vero, lo ammetto: sono molto affascinato dal tremontismo e sono molto colpito dal pensiero politico del ministro dell'Economia. E' impressionante: nei suoi libri mi ci ritrovo quasi al cento per cento. E non ho difficoltà a dire che sia lui oggi il punto di sintesi culturale del Pdl. Se Berlusconi è l'indiscusso capo politico del nostro partito, Tremonti ne è il leader progettuale: mette insieme i valori della libertà e dell'identità, temi tipicamente di destra, con la concretezza dell'economista. Davvero notevole”.

    Per tentare poi di sviscerare ulteriormente il profilo politico
    con cui il sindaco sta cercando di imporsi anche sul piano nazionale, ad Alemanno chiediamo una riflessione che riguarda anche Berlusconi. “Io, in questo momento di spaccatura del Pdl, ho scelto di stare dalla parte di Berlusconi. Ma se devo fare autoanalisi confesso che mi sento berlusconiano nella cultura del fare (un po' anche per la mia formazione da ingegnere) mentre posso dire di sentirmi meno lontano da Fini per quanto riguarda il rispetto dell'unità nazionale e per l' attenzione al senso dello stato e al valore delle istituzioni. Non mi sento berlusconiano, invece, per certe concessioni alla cultura consumistica, mentre non mi sento finiano per troppe rotture progressiste fatte da Fini in questi anni: penso all'immigrazione, penso alla bioetica e penso a tutti quei temi che fanno emergere una pulsione politica più giscardiana che gollista. E credo che questo tipo di destra appartenga più al passato che al futuro dell'Europa”.
    Si parla di Fini, si parla di Tremonti, si parla di Berlusconi ma alla fine si arriva a parlare anche un po' di Pier Ferdinando Casini, e sul leader dell'Udc il sindaco di Roma dice cose interessanti. “Sono convinto che il nostro paese debba continuare a vivere in un contesto bipolare. E' una condizione necessaria. Per questo dobbiamo fare di tutto per ampliare il nostro schieramento, dando la possibilità di unirsi a noi anche a chi non condivide in pieno le nostre idee. La nostra capacità di aggregazione, questo sì, deve migliorare. E penso naturalmente a Casini, al fatto che una cultura politica come la sua ha un Dna troppo simile al nostro per vivere lontano da noi”.

    Al termine della chiacchierata con il sindaco cerchiamo poi di approfondire un aspetto particolare del sul suo futuro politico. Le voci sempre più insistenti che lo vogliono proiettato su uno scenario diverso da quello romano ci incuriosiscono e alla fine al sindaco glielo chiediamo. Ma Alemanno che partita intende giocare nel Pdl? E soprattutto: è vero oppure no che un giorno sogna di fare il presidente del Consiglio? Il sindaco la mette così. “Bisogna fare un discorso sincero. Chiunque faccia parte del Popolo della libertà non deve aver paura ad ammettere che il Pdl non è un progetto reversibile, costruito su una o due persone, ma è una necessità storica che deve procedere anche prescindendo da leadership. Senza volere essere troppo provocatori, io credo che il Pdl possa esistere senza Fini e sono convinto che il Pdl potrà esistere, e anzi dovrà esistere, anche senza Berlusconi”. In che senso? “Sarebbe sciocco credere che un giorno, quando accadrà, saremo in grado di trovare un Silvio Berlusconi che sostituisca Silvio Berlusconi. E' impossibile. Il famoso dopo Berlusconi, che prima o poi arriverà, non sarà governato da una persona singola: non potrà essere così. Ma sarà governato da un gruppo di dieci o venti dirigenti, da una squadra che si distribuirà tra partito e istituzioni mantenendo una forte unità progettuale. Ebbene, non ho problemi a dirlo: mi piacerebbe moltissimo far parte di quella squadra che scriverà il dopo Berlusconi”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.