Brezze santoriane nel giornale che i suoi direttori non leggono
“Nessuno dei direttori del manifesto ha mai letto il suo giornale. Il complimento più grande che mi poteva fare Rossana Rossanda era: ‘Un'amica mi ha detto che hai scritto un bellissimo pezzo'”. L'aneddoto proviene da un veterano del quotidiano comunista, ed è un modo per dire che tra i rischi naturalmente corsi da un giornale governato da un collettivo, c'è quello che le cose possano sfuggire o semplicemente accadere, e va bene così.
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“Nessuno dei direttori del manifesto ha mai letto il suo giornale. Il complimento più grande che mi poteva fare Rossana Rossanda era: ‘Un'amica mi ha detto che hai scritto un bellissimo pezzo'”. L'aneddoto proviene da un veterano del quotidiano comunista, ed è un modo per dire che tra i rischi naturalmente corsi da un giornale governato da un collettivo, c'è quello che le cose possano sfuggire o semplicemente accadere, e va bene così. Ecco perché a più d'uno, in redazione, sono sembrati fuori luogo gli imbarazzi della neodirettora Norma Rangeri, in occasione della pubblicazione del saggio critico del sociologo Alessandro Dal Lago sul caso Saviano (“Eroi di carta”, manifestolibri, 158 pagine, 18 euro). Un saggio, peraltro, di perfetta caratura manifestina. Ma forse quegli imbarazzi sono semplicemente rivelatori di una gran voglia di allinearsi all'aria del tempo, sotto specie di brezza santoriana. Brezza alla quale Rangeri è sensibile, se non altro perché, da critica televisiva, allo stile “Annozero” ha sempre tributato riconoscimenti e supporto.
Rangeri è arrivata alla direzione il 4 maggio scorso, dopo essere stata uno dei tre vicedirettori di Valentino Parlato, che aveva ripreso provvisoriamente la guida del giornale. Alla scadenza della gestione Gabriele Polo-Mariuccia Ciotta, un anno fa, non era infatti riuscito a ottenere il gradimento redazionale un tandem formato dalla stessa Rangeri e da Marco Bascetta. Una strana coppia di candidati quasi esterni, nota un redattore, “perché Rangeri si è occupata per un ventennio della sua rubrica senza partecipare granché alla vita del giornale, mentre Bascetta dirige la casa editrice manifestolibri, indipendente dal quotidiano”. In attesa che maturasse una direzione gradita, Parlato aveva deciso di cooptare alla vicedirezione Angelo Mastrandrea, Loris Campetti e Norma Rangeri (ma non Bascetta). Da quel trampolino, Rangeri si è candidata a direttore unico, con Mastrandrea vice, e ha vinto.
Ha vinto, aggiunge qualcun altro, “anche perché negli stessi giorni montava l'idea che Santoro, sull'onda del successo della serata di protesta ‘Raiperunanotte', stava pensando di uscire dalla Rai e di costruire una propria piattaforma multimediale. Il manifesto poteva essere un importante tassello di quell'operazione”. Un elemento che, nella situazione di difficoltà economica del quotidiano, ha convinto una parte della redazione a vedere con favore l'idea Rangeri direttora come traghettatrice ideale verso l'arrivo di Santoro come socio. Se l'operazione fosse riuscita, per la prima volta al manifesto avrebbe trovato soluzione l'eterna e tormentatissima questione della ricerca di un partner, in deroga alla gelosa protezione dell'identità e dell'indipendenza del quotidiano.
Non è andata così, e il Conduttore unico delle coscienze non è riuscito (finora) dove fallirono sindacato e svariati partiti. Evaporata la partnership con Santoro, però, rimangono i santorismi. Rimane il pm Luigi De Magistris in prima pagina, mentre la storica e finora maggioritaria componente garantista del quotidiano – scuola Rossanda, più che Pintor – si chiede ogni giorno se sia proprio necessario sposare il giornalismo delle procure. Non è compiutamente successo, anche perché la redazione qualche paletto lo ha alzato e qualche malumore lo ha sfoderato, “ma per Norma Rangeri quella è l'idea di sinistra oggi”, constata un altro redattore. Il responsabile della manifestolibri, Marco Bascetta, pensa che “anche se qualcuno fosse convinto – e personalmente non lo sono – che la linea del gruppo L'Espresso-Repubblica sia la bandiera della verità, il manifesto non può mettersi su quel piano. Abbiamo ancora una forte cultura garantista che non ci fa plaudire acriticamente alla magistratura, e c'è una componente che continua a tenere fermo nel proprio orizzonte il conflitto capitale-lavoro. Buone garanzie di esercizio del dubbio”.
Più disincantata un'altra firma del quotidiano, Marco D'Eramo, che attribuisce gli attuali nervosismi nel giornale “al calo delle vendite a confronto con il successo del Fatto. Non ha notizie di esteri e sembra un mattinale, ma vende”. Le liti in famiglia non lo spaventano: “Ricordo che mi sono preso gli insulti di mezza redazione per aver detto che non mi sembrava così di sinistra fare campagna sulle escort di Berlusconi (l'intervento di D'Eramo si intitolava “A frugare nei panni sporchi dei potenti, ci infanghiamo tutti”, ndr). Ora tocca a Bascetta, perché ha pubblicato il saggio di Dal Lago, forse in modo intempestivo: dopo Saviano tutti sappiamo molto di più sulla camorra. Ma va benissimo che si parli male del manifesto, purché se ne parli”. Anche Ida Dominijanni si dichiara “grata a Saviano per quello che sta facendo e ha fatto. Ma il libro di Dal Lago pone la grande questione dell'impronta del berlusconismo nella cultura di opposizione e mi sembra un tema degnissimo di discussione. Per quanto riguarda la posizione garantista del manifesto, non è mai stata scontata ma è sempre stata oggetto e frutto di una dialettica interna”.
Una dialettica che non dovrebbe venir meno, nonostante i lampi santoriani e le annesse tentazioni giustizialiste. Un manifesto senza polemiche, del resto, non sarebbe il manifesto. Roberto Silvestri, critico cinematografico e responsabile di “Alias”, l'inserto culturale del sabato, dice di non aver letto il pamphlet di Dal Lago (non ha letto nemmeno “Gomorra”, però, e ha solo visto “quel bruttissimo film” che ne hanno tratto). “Ma la regola del manifesto – aggiunge Silvestri – è che si ha il diritto di scrivere quel che si vuole, e se nel giornale qualcun altro polemizza va benissimo. Per un titolo del supplemento culturale che si chiamava allora ‘Suq', e che si riferiva alla manifestazione del 25 aprile del 1994 che Pintor stava cercando di organizzare con Occhetto contro la Lega, a Milano, io stesso finii ‘commissariato' da Stefano Menichini, per volontà di Pintor. Il titolo era: ‘Spacca tutto per me'. Letto oggi, sembra che inneggiasse con dieci anni di anticipo ai black bloc. Invece voleva dire: facciamo un'altra sinistra”. Inconvenienti dei direttori che non leggono il loro giornale.
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