Vi spiego cos'è una cricca, parola di cassazionista

Giuliano Ferrara

“Cricca” è termine politico-ideologico. Nel linguaggio ancora ottocentesco degli anni Sessanta si usava per Lin Piao, quando divenne nemico di Mao, o per il “gruppo antipartito” denunciato da Krusciov nell'epoca della destalinizzazione. Vecchie parole, vecchie storie: la cricca o anche la “clique” nel linguaggio internazionale adattato all'inglese dal francese. Vuol dire che certa gente condivide interessi convergenti, si mette insieme per soddisfarli, coopera in vari modi, anche i più spregiudicati.

    “Cricca” è termine politico-ideologico. Nel linguaggio ancora ottocentesco degli anni Sessanta si usava per Lin Piao, quando divenne nemico di Mao, o per il “gruppo antipartito” denunciato da Krusciov nell'epoca della destalinizzazione. Vecchie parole, vecchie storie: la cricca o anche la “clique” nel linguaggio internazionale adattato all'inglese dal francese. Vuol dire che certa gente condivide interessi convergenti, si mette insieme per soddisfarli, coopera in vari modi, anche i più spregiudicati: per questo la loro rete non si chiama “cooperativa” o “associazione”, si chiama con eco moralistica una “cricca”.

    Di una cricca - concetto politico con sfumatura etica, nozione conflittuale che presume una situazione di lotta tra fazione avverse - non importa tanto la illegalità dei comportamenti, che è invece tassativamente implicata nel caso di una banda criminale: importa invece la eventuale illegittimità, il fatto cioè che la cricca realizzi spregiudicatamente fini considerati incompatibili, prima che con le norme di un codice, con gli usi consolidati e la cultura civile di una società, per non dire della legge naturale o di ragione. Per quasi due anni i pm di Firenze hanno indagato con il metodo spregiudicato delle intercettazioni a tappeto funzionari, politici e costruttori che agivano in campo nazionale, ma soprattutto a Roma (21 mila pagine di nastri trascritti). Quattro mesi fa gli arresti di una mezza dozzina di indagati, alcuni dei quali sono ancora in carcere nonostante dubbi molto seri sulla corrispondenza di questa prigionia alla norma di legge sui requisiti della custodia cautelare in carcere, che senza quei requisiti di legge è una condanna prima della condanna, o se preferite una tortura imposta allo scopo inquisitoriale di ottenere la confessione o una chiamata in correità, roba da colonna infame manzoniana.

    Dal giorno degli arresti alcuni giornalisti spregiudicati hanno costruito o romanzato per noi la storia giudiziaria di queste inchieste, prendendo e pubblicando le carte dell'accusa, con scarso rispetto, come al solito, per gli argomenti della difesa. La mia lettura di questa storiaccia che ha influssi diretti sulla politica del mio paese è fino ad ora stata questa: vedo comportamenti gravemente insestetici, illegittimi rispetto all'etica del pubblico funzionario, e vedo dimostrati modi di concepire la funzione amministrativa inaccettabili, sanzionabili, ma non vedo un patto corruttivo organico, non vedo le prove di atti di corruzione propriamente detta, non vedo una catena di palesi illegalità, che forse verranno dimostrate dai conti italiani ed esteri ora rintracciati e dal loro uso o dalla definizione della loro origine, forse no. In alcuni casi ho anche visto la volontà di fare male, di usare le inchieste per colpire parti avverse nel mondo politico-civile, molto diviso, che è costituito dall'establishment, dai movimenti outsider e da una nomenclatura novissima, dall'opposizione, dal governo.

    La Cassazione con una sentenza di venerdì scorso mi ha dato ragione, se posso osare. Dovendo giudicare del passaggio a Roma delle inchieste, la Corte ha stabilito che le inchieste devono essere trasferite a Roma. Perché? Perché non è dimostrato un patto corruttivo organico, contratto in Firenze nel febbraio 2008 come argomenta l'accusa, ma una serie di comportamenti spregiudicati interni a un sistema di potere, tipicamente romano e a Roma localizzato, in cui lo scambio di favori tra pubblici funzionari, politici e costruttori amici è la regola. Bene. La Cassazione parla di “un sistema di relazioni professionali e personali che ha realizzato una rete di interessi intrecciati non legittimi”. Gli indagati “fanno parte di un sistema di potere in cui appare normale accettare e sollecitare utilità di ogni genere da parte di imprenditori del settore delle opere pubbliche, settore nel quale quei pubblici ufficiali (gli indagati funzionari dell'amministrazione, ndr) hanno potere di decisione o notevole potere di influenza e gli imprenditori hanno aspettative di favori”. Ecco. Questo è il reato della cricca: avere governato un sistema di potere, con favoritismi incompatibili con una società ordinata e decente. Ma per parafrasare l'epico gesto di Craxi alla Camera nell'aprile del 1993, quando chiese ai deputati di alzare la mano se in grado di giurare che i loro partiti non erano mai stati finanziati in modo irregolare o illegale, permettetemi di dire: alzi la mano quel sindaco, quel pubblico amministratore, quel funzionario di destra, di centro, di sinistra, del sud e del nord, d'Italia o d'Europa, che non abbia favorito lobbies di potere nel settore amministrativo di sua pertinenza e non ne abbia ricevuto in cambio favori, in convergenza di interessi legale, magari, ma certo secondo questo metro non legittima. Alzi la mano che gliela taglio.

    Ps L'unico modo di ridurre il peso delle cricche, senza pretendere moralisticamente di eliminarle, è una legislazione semplificata e severa, una buona cultura del pubblico capace di imporre il disprezzo invece dell'ammirazione per i comportamenti antisociali, un esercizio decisionista dell'autorità sotto la sorveglianza della stampa e dell'opinione pubblica. La strada del terrore giudiziario, della forzatura di legalità, porta - come avvenuto per le inchieste sulla corruzione di Milano - in un vicolo cieco. O peggio.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.