Chi è il capo di Yahoo che si ispira a Jobs per rimontare Google
Si possono avere 600 milioni di utenti e sentirsi ancora anonimi? Sembrerebbe una condizione patologica, se non fosse diventata la cifra esistenziale di Yahoo, un portale Internet che fatica a uscire da una crisi d'identità che dura da anni. E che forse ora potrebbe iniziare a risolversi, grazie ai risultati sempre più significativi che lo stanno inserendo di diritto tra gli attori da tenere d'occhio per capire che ne sarà del mondo dell'editoria.
Si possono avere 600 milioni di utenti e sentirsi ancora anonimi? Sembrerebbe una condizione patologica, se non fosse diventata la cifra esistenziale di Yahoo, un portale Internet che fatica a uscire da una crisi d'identità che dura da anni. E che forse ora potrebbe iniziare a risolversi, grazie ai risultati sempre più significativi che lo stanno inserendo di diritto tra gli attori da tenere d'occhio per capire che ne sarà del mondo dell'editoria.
Da un anno e mezzo a questa parte, Yahoo ha il volto del suo amministratore delegato, Carol Bartz, graziosa signora del Wisconsin che, dopo una lunga carriera nell'informatica, è stata chiamata a dare al portale una sferzata efficientista.
Deve aver trovato il compito più ingrato del previsto, perché a forza di doversi difendere dai paragoni con i cugini di successo, lo scorso marzo ha infranto il suo aplomb sbottando: “Steve Jobs è tornato alla Apple, un'azienda che già conosceva molto bene, nel 1997 e l'iPod è uscito quattro anni dopo. Le loro quotazioni di mercato sono iniziate a salite tre anni dopo, e fanno sette anni in totale. Io sono qui da pochi mesi, datemi un po' di respiro”. Per poi aggiungere, rivolta al un blogger che aveva espresso delle perplessità: “Tu non capisci perché fai parte di un'azienda minuscola, ma io non voglio più sentire tutta questa merda su Yahoo, quindi f*ck off”.
Un'imperdonabile caduta di stile sintomatica di un nervo scoperto, quello del paragone con la vetrina dei trofei di casa Apple, che suona solitamente così: loro hanno vinto perché hanno le idee, voi siete bravi, ma le soluzioni geniali avete smesso di produrle da un pezzo. Curioso che Bartz non avesse tenuto conto della presenza di telefonini in sala, pronti a registrare le sue escandescenze, visto che stava per concludere un da un accordo importante con la finlandese Nokia.
L'altro spettro da esorcizzare è lo scenario che la sorte sembrava avere in serbo per Yahoo, che, troppo debole sia come contenitore di notizie che come motore di ricerca, stava per vedere il suo ruolo di eterno secondo (rispetto a Google) coronarsi con un sonoro fallimento. Che non è avvenuto perché, affidato a Microsoft l'aspetto delle ricerche, Yahoo ha iniziato a rilanciarsi nel campo editoriale, secondo una formula che Bartz ha voluto “a tre gambe”, come ama definirla: contenuti prodotti dall'azienda, mescolati con altri redatti da terzi e con il contributo di nuove forme di informazione “partecipate” – come il recentemente acquisito Associated Content, un sito nato a Denver che indicizza le notizie in base a quanta gente le ricerca.
Nella nuova sfida per i “contenuti” – come vengono chiamate le notizie nel mondo dei nuovi media, con piglio saussuriano – Bartz ha puntato su un profilo composto da contraddizioni, che ruotano attorno a una domanda insoluta: che cosa fa davvero Yahoo? “Siamo un'azienda che lavora nel mondo dei media, resa forte da una capacità tecnologica straordinaria”, risponde lei. Ma mantenere a tutti i costi la propria sede nella Silicon Valley, tempio delle cosidette “tech company” – Google, Intel, Apple, Cisco –, di certo non aiuta a darsi arie da grande editore. Nel mondo di Internet la distinzione tra chi produce le notizie e chi fa i supporti destinati a veicolarle è a tratti labile, ma Yahoo ha cercato di rendere il crinale tra “tech” e “media” ben visibile, per poi scegliere la sua parte.
Non ha licenziato le centinaia di ingegneri alle sue dipendenze, ma il percorso è chiaro: ha iniziato stringendo un accordo che le permette di integrare i propri servizi con Facebook, un sito che, riuscendo a richiamare gli utenti sul proprio sito per un tempo prolungato, ha realizzato il sogno di milioni di pubblicitari. Il piccone di Facebook è andato a battere su una vena d'oro e il giovane sito non si lascerà imbarcare facilmente in un matrimonio, ma per ora ha concesso un primo appuntamento. Il prossimo capitolo si sta svelando in questi giorni e vede coinvolto l'Huffington Post, un aggregatore di notizie di animo liberal. Sarebbe un'intesa perfetta, visto che la creatura di successo creata da Arianna Huffington sta cercando un modo per aumentare la propria visibilità e Yahoo ha sete di contenuti. Per ora la Huffington ha smentito, dicendo che con il portale Internet c'è solo “una profonda collaborazione”. Un messaggio che per chi è allenato agli stilemi della cronaca rosa rappresenta l'ammissione del colpevole colto in flagrante.
Con l'Huffington Post, Yahoo potrebbe finalmente smettere i panni di casa perfetta ma disabitata e scrivere un finale vittorioso al proprio romanzo di formazione. “La gente vuole essere informata, vuole imparare, vuole divertirsi e comunicare – spiega Bartz – e Yahoo si occupa di tutto questo”. Il progetto è ambizioso, ma un'intesa con l'Huffington Post lo renderebbe a portata di mano. Potrebbe essere il volto maturo di un nuovo protagonista nel mondo dell'informazione, con cui saremo costretti a fare i conti.
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