God save the film
Nei titoli di coda, se uno li guarda fino in fondo, dopo i crediti contrattuali vengono ringraziati tutti quelli che, in un modo o nell'altro, hanno dato una mano durante le riprese del film. Di solito sono le film commission, i sindaci che hanno sgombrato le strade (magari in cambio di una comparsata tra il pubblico di un concerto), i ristoratori che hanno ospitato una scena.
Nei titoli di coda, se uno li guarda fino in fondo, dopo i crediti contrattuali vengono ringraziati tutti quelli che, in un modo o nell'altro, hanno dato una mano durante le riprese del film. Di solito sono le film commission, i sindaci che hanno sgombrato le strade (magari in cambio di una comparsata tra il pubblico di un concerto), i ristoratori che hanno ospitato una scena. “To Save a Life” di Brian Baugh ringrazia Dio, faccenda che ha subito irritato una rivista alternativa come il Village Voice (tra le rubriche più lette, “Sex” di Dan Savage e gli annunci personali alla voce “Anything goes”, che segue la richiesta di incontri lesbici e gay, non ponendo limiti a quel che può succedere tra adulti consenzienti). Rincara la dose un articolo sul Guardian dell'altro ieri, raccontando che sul set di “Letters To God” diretto da David Nixon quando un proiettore smetteva di funzionare la troupe prima pregava e poi chiamava i tecnici. Allo scopo erano stati convocati un certo numero di “guerrieri della preghiera”, ignari di cinema ma non di spiritualità.
Ha funzionato. Uscito lo scorso aprile, “Letters to God” è entrato nella top ten degli incassi americani, il miglior risultato dopo “The Passion” di Mel Gibson. Ed è riuscito a trionfare nel mercato, tutt'altro che di nicchia, dove “Fox Faith” (la divisione della Twentieth Century Fox nata per distribuire film religiosi) aveva fallito. Il miracolo si deve alla Mission Pictures, fondata da Cindy Bond e Chevonne O'Shaughnessy. Entrambe stanche di far circolare e di promuovere pellicole degradanti, hanno deciso di rivolgersi ai cento milioni di cristiani americani prima, e ai cristiani di tutto il mondo quando il mercato interno sarà saldamente nelle loro mani. Con più senso del business che dell'apostolato, pare abbiano già venduto “Letters to God” in medio oriente, dove verrà distribuito con il titolo “Letters to Allah”. La storia ha qualche somiglianza con il romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt intitolato “Oscar e la dama in rosa” (2003). Nel libro un bambino malato di leucemia scrive dieci lettere a Dio, raccontandogli in ognuna dieci anni della vita che non vivrà. Nel film un bambino malato di cancro scrive a Dio, e con le sue lettere redime un postino alcolizzato.
“To Save a Life” parla invece di adolescenti, e questa volta a storcere il naso è stato il New York Times, con la motivazione: “Vergognoso sfruttamento di sparatoria tra le aule scolastiche”. Proprio così, non si finisce mai di imparare. Se a mettere in scena uno studente che spara ai compagni di classe e agli insegnanti sono registi come Gus Van Sant in “Elephant” o Michael Moore in “Bowling a Columbine” tutto va bene, le pellicole sono di denuncia e mettono a nudo coraggiosamente le contraddizioni della società americana. Se lo fa qualcun altro, con intenti ugualmente edificanti ma di segno contrario, ecco che si grida allo scandalo. Tra poco uscirà un terzo titolo, “The Way Home” di Lance W. Dreesen: thriller sulla sparizione di un bambino nella Georgia rurale.
Sono tutti film a basso costo, sotto il milione di dollari, diretti da registi poco conosciuti e scritti da sceneggiatori non corteggiatissimi da Hollywood. Alcuni lavorano sotto pseudonimo, per non rischiare la cacciata dalle produzioni indipendenti più allineate con il Sundance. Ma è un settore che non conosce crisi, che ricava parecchio dalle vendite dei Dvd per la visione in famiglia, che sa usare il marketing virale, altrimenti detto passaparola. Il resto lo fanno i siti specializzati, da HollywoodJesus a Christianity Today, felici di aver finalmente qualche titolo da consigliare senza riserve.
Il Foglio sportivo - in corpore sano