Nelle mani dei Mondiali

Buffon, Marchetti e le discussioni sul pallone. Perché i portieri sono diventati i giocatori più discussi del Sudafrica

Beppe Di Corrado

Arriva una telefonata: “Guarda che il giocatore migliore di questo Mondiale è Enyeama, il portiere della Nigeria”. Prima di mettere giù la cornetta eccolo là: invece di bloccare, respinge, la Grecia segna. Maledizione, certo. Oppure il pallone: vigliacco di un Jabulani. Ci dev'essere una spiegazione logica a una serie illogica di errori, papere, sciagure. Abbiamo bisogno di trovare una giustificazione perché adesso è sicuro: questo è il Mondiale dei portieri. Si parla di loro, si guarda a loro.

    Arriva una telefonata: “Guarda che il giocatore migliore di questo Mondiale è Enyeama, il portiere della Nigeria”. Prima di mettere giù la cornetta eccolo là: invece di bloccare, respinge, la Grecia segna. Maledizione, certo. Oppure il pallone: vigliacco di un Jabulani. Ci dev'essere una spiegazione logica a una serie illogica di errori, papere, sciagure. Abbiamo bisogno di trovare una giustificazione perché adesso è sicuro: questo è il Mondiale dei portieri. Si parla di loro, si guarda a loro. Se Messi non segna, finisce che Green vale punti in più o in meno a seconda di quello che fa. Julio Cesar è arrivato dolorante: in Brasile, il giorno che s'incriccò con la schiena in amichevole, i tg generalisti e sportivi aprirono le loro edizioni con l'aggiornamento del bollettino medico. Noi quasi: l'ernia di Gianluigi Buffon è come se ce l'avesse ognuno di noi, un dolore costante e un po' preoccupante lungo la nostra colonna vertebrale. Marchetti, ecco.

    Ce la farà? Non ce la farà? Attento a Jabulani.
    Occhio alla maledizione. Il suo turno è domani: lo vivremo in diretta come un reality, un Truman show con telecamera piazzata sulla porta. Tutti come Ed Harris che gli parla dalla sua regia: “Tu hai paura…per questo non puoi andare via. Stai tranquillo…ti capisco. Ho seguito ogni istante della tua vita. Ti ho seguito quando sei nato. Ti ho seguito quando hai mosso i tuoi primi passi. Ti ho seguito nel tuo primo giorno di scuola. Il momento in cui hai perso il tuo primo dentino…come fai ad andartene? Il tuo posto è qui, con me. Dai…dì qualcosa…accidenti, vuoi parlare?, siamo in televisione. Sei in diretta mondiale”.

    Federico Marchetti è il nostro Truman: questi giorni di attesa ci hanno regalato i dettagli di una vita che abbiamo imparato a conoscere. La sua storia di ragazzo di provincia, il suo tatuaggio braccio destro: una preghiera dell'Avesta, il testo sacro della religione di Zarathustra, l'equivalente dell'Ave Maria. Lui che parla e spiega: “E' un segno di ringraziamento per essermi salvato con due amici in un incidente in autostrada: un terribile scontro con un camion e l'auto prese fuoco, ci siamo salvati rompendo il finestrino e siamo usciti praticamente illesi. Qualcuno da lassù ci aveva protetto”. Poi il tatuaggio sull'altro braccio: Andrea e Francy with me forever. “E' il ricordo di due amici e compagni di squadra a Vercelli, loro purtroppo morirono in incidenti stradali”.
    Giocava attaccante, sappiamo anche questo. Perché chiunque di nuovo arrivi, diventa il centro del mondo. Abbiamo fame di storie perché le altre le conosciamo già tutte.

    E' per questo che il Mondiale non perde fascino neanche quando è calcisticamente imbarazzante come questo fino a oggi: c'è sempre qualcosa che non sai e che vuoi sapere. Il Mondiale è una lezione involontaria di storia, di geografia, di educazione civica. Federico Marchetti e le sue vicende è l'acqua con cui ci disseteremo in questi giorni. Se non ci farà rimpiangere Buffon e anche se dovesse commettere qualche errore. Perché la palla che gira quest'anno ha deciso di fermarsi tra i pali: è la stagione dei portieri. E forse è la giustizia per un ruolo e per un gruppo di ragazzi che a cavallo delle generazioni non hanno mai avuto quanto meritavano. Perché puoi anche dargli addosso al portiere, ma lo ammazzi veramente solo quando non lo consideri, solo quando lo ritieni superfluo, solo quando non ti concentri sulla sua importanza strategica. In porta c'è la storia del calcio più di quanto ce ne sia altrove. Ce ne dimentichiamo troppo facilmente, pur sapendolo. Lì c'è la difficoltà di un ruolo diverso. Perché uno sceglie di fare il portiere? Non ce lo chiediamo più eppure è una domanda che ogni volta deve avere una risposta diversa. Vedi? In uno sport di squadra lui è l'unico singolo, in uno sport in cui tutti hanno la maglia uguale lui ce l'ha diversa, in uno sport nel quale l'obiettivo è segnare lui gioca per non far segnare. Allora perché?

    Ognuno ha una spiegazione che gli appartiene. C'è la psicologia, la filosofia, l'educazione, la cultura. Il portiere spesso è anche l'unico che ha il tempo di pensare. Pensieri belli e brutti, perché finisce che tornano tutti lì: al fatto che un tiro possa distruggere la carriera di un portiere. Hanno letto Eduardo Galeano: “La folla non perdona. E' uscito a vuoto? Ha fatto una papera? Gli è sfuggito il pallone? Le mani d'acciaio sono diventate di seta? Con una sola papera il portiere rovina una partita o perde un campionato e allora il pubblico dimentica immediatamente tutte le prodezze e lo condanna alla disgrazia eterna. La maledizione lo perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni”.

    Questo Mondiale ci trascina in porta:
    là dove il campo si vede tutto. Centodieci metri per sessantotto: tutto di fronte e niente dietro, è una cosa che nessun altro di quelli che sono in campo prova. Il portiere vive il destino doppio: è confinato in un'area, mentre tutti gli altri sono liberi di andare ovunque. I calciatori possono andargli vicino per tutto il tempo che vogliono, lui non può farlo. Poi il resto: la sua squadra segna e lui si trova a festeggiare da solo, a stringere i pugni verso il cielo o verso gli spalti. Nessuno lo guarda, nessuno pensa a lui. Poi ecco: quando prende il gol gli altri si possono defilare, mentre lui resta al centro del palco. Bisogna provare che cosa significa prendersi addosso la responsabilità. Noi siamo qui a raccontare quello che non sappiamo, siamo a giudicare quello che siamo incapaci di fare. Facile dire che quello è il loro mestiere. I soldi di un portiere spesso sono meno di quelli degli altri giocatori. Eppure ci sono, i portieri. Eppure ci sono ragazzi che ancora sognano quel ruolo, che vedono Green fallire ed Enyeama respingere da brocco e decidono che prenderanno gli stessi rischi. Qualcuno sa spiegare il perché? La risposta è la chiave di questo Mondiale che si gioca in porta.