Xavi non c'entra niente con i giocatori geniali o grintosi. Lui è come Pirlo: talento confezionato

Beppe Di Corrado

Xavi s'arrabbia. Guarda come urla con Sergio Ramos: in quella faccia che fa c'è la rivalità Catalogna-Castiglia, c'è la consapevolezza di essere un leader, c'è la certezza di non dover fallire. Ramos sbaglia, Xavi lo fulmina: passa, amico. Dalla a chi sa trattare il pallone: la Spagna ha Xabi Alonso, Fabregas, Iniesta, Silva, Villa, Torres. Ha soprattutto lui, Xavi. Che non si vede come altri, che lavora più degli altri.

    Xavi s'arrabbia. Guarda come urla con Sergio Ramos: in quella faccia che fa c'è la rivalità Catalogna-Castiglia, c'è la consapevolezza di essere un leader, c'è la certezza di non dover fallire. Ramos sbaglia, Xavi lo fulmina: passa, amico. Dalla a chi sa trattare il pallone: la Spagna ha Xabi Alonso, Fabregas, Iniesta, Silva, Villa, Torres. Ha soprattutto lui, Xavi. Che non si vede come altri, che lavora più degli altri: una volta hanno contato che nel Barcellona tocca 650 palloni a partita, Messi non arriva a 400. Nella Spagna uguale. Sempre con quello stile essenziale, semplice, ordinato. Sembra invisibile, se non fosse che l'aggettivo l'hanno già dato al suo compagno di sempre Andres Iniesta per l'aspetto e non per il modo di giocare. Xavi è l'essenzialità della perfezione. In campionato, in Champions League, in questo Mondiale: si possono trovare fenomeni appariscenti e bellissimi da vedere che sembrano cloni di altri giocatori così che li hanno preceduti. Poi trovi un unico: inimitabile nella capacità di essere determinante. Si può essere il centro del mondo anche facendosi vedere il meno possibile. E' il protagonismo dell'essenzialità che s'oppone a quello dell'elaborazione a ogni costo. Un tempo gli spagnoli stavano da questa parte: belli e inutili. Xavi è lo schiaffo morale alla storia, la dimostrazione che il Dna pallonaro non è determinato dalla geografia, ma dall'educazione calcistica che uno ha ricevuto.

    Xavi alza la testa prima di avere il pallone. Facile? In questo Mondiale c'è il meglio del calcio globale e in tutto saranno una decina quelli che sanno fare una cosa del genere. E' il primo fondamentale di un centrocampista centrale. Testa alta prima di ricevere dice ogni allenatore dei pulcini. E' un miraggio che si concretizza così poco che quando accade il mister capisce di aver trovato un genio. Xavi lo fa da quando aveva undici anni, quando arrivò al Barcellona e lo presero immediatamente. Da allora non ha mai smesso: la palla alla difesa verso di lui, prima di riceverla ha già visto a chi darla. E' per questo che si salva anche quando gli altri falliscono: puoi immaginare un tracollo della Spagna, ma è difficile che trovi una prestazione disastrosa di Xavi.
    Anche ieri è stato così: con una squadra che arranca come raramente le è successo negli ultimi tempi, uno dei pochi a salvarsi è stato lui. Si prende la colpa, certo. E' l'abitudine alla responsabilità: arriva dal ruolo, arriva dalla scuola calcistica che ha frequentato. Una palla in profondità da lui l'hai sempre, poi se gli altri non la mettono dentro è un problema che non può risolvere lui. A uno così puoi chiedere di caricarsi una squadra addosso, non di dribblare tutti gli avversari e andare in porta col pallone tra i piedi. Perché Xavi è diverso da quelli che hanno i tocchi geniali e poi sono approssimativi; non c'entra con quelli spesso efficaci, ma rozzi; non è come quelli probabilmente fantasiosi, ma individualisti.

    Lui è come Pirlo: un talento confezionato.
    Libero, ma impostato come un calcolatore. E' la sintesi, come se tutti quelli che ha incontrato nella vita abbiano preso il suo genio e l'abbiano dosato senza disperderlo o umiliarlo. E' la dimostrazione che si può essere campioni mescolando quello che si ha dentro e quello che si può imparare da quando arrivi alla scuola calcio fino a che non ti metti la maglia del Milan o del Barcellona. E' un istinto razionale: impossibile nella vita, ma non su un campo di calcio.
    Eccolo, Xavi. Destro o sinistro? Se non lo dice lui, non saprai mai quale sia il suo piede preferito. Tanto tira poco e lancia poco: due tocchi e vai, in orizzontale o in verticale. Con il tempo giusto, con il movimento esatto: è la bacchetta immaginaria di uno che dirige. Tu qui, tu lì, tu in profondità. Palla a lui e si balla. Non ieri, ma in tutti gli altri giorni sì. Perché in mezzo al campo non bisogna essere colossi per essere i più forti. Xavi pensa prima degli altri e più veloce degli altri. Che bisogno c'è di essere alti e grossi? Sfiora il metro e settanta lui. Se non lo segui minuto per minuto te lo perdi, poi alzi la testa e c'è. La palla tra i piedi poco tempo, ma spesso. E però danza, mica martella. E' un prodigio da quando era un bambino, solo che invece di aver cominciato perché aveva qualità, ha scoperto di avere le qualità perché ha cominciato. Xavi è l'erede di Guardiola non solo per lo spirito catalano che rappresenta: è la prosecuzione della stessa specie di mostri che troppo spesso finiscono per non essere glorificati abbastanza. Perché all'appariscenza hanno preferito l'eleganza. Sobrio Xavi. Tranquillo, forte, indispensabile. Non lo vedi e c'è. Se non c'è lo vedi.