Dentro o fuori

Beppe Di Corrado

Marcello Lippi mette un punto comunque. Si torna a casa o si ricomincia. Conta per lui, più che per chiunque altro. Perché ora questo è definitivamente il suo Mondiale. Chi gliel'ha fatto fare? E' la domanda che rimbalza dal Sudafrica alle redazioni dei giornali italiani fino alle tavolate tra amici che stasera ritorneranno nonostante la delusione delle prime due partite. Perché l'Italia spera e Lippi pure. E' quello che ha più da perdere in questi giorni: il campione del Mondo che rischia di sgretolarsi contro Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia.

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    Marcello Lippi mette un punto comunque. Si torna a casa o si ricomincia. Conta per lui, più che per chiunque altro. Perché ora questo è definitivamente il suo Mondiale. Chi gliel'ha fatto fare? E' la domanda che rimbalza dal Sudafrica alle redazioni dei giornali italiani fino alle tavolate tra amici che stasera ritorneranno nonostante la delusione delle prime due partite. Perché l'Italia spera e Lippi pure. E' quello che ha più da perdere in questi giorni: il campione del Mondo che rischia di sgretolarsi contro Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia. La domanda è quella e non cambierà: perché è tornato? A vederlo adesso sembra un uomo diverso da quattro anni fa. Sembra meno combattivo e persino meno permaloso. Prende il tempo quando risponde alle domande, evita di arrabbiarsi quando gli altri mettono in dubbio le sue scelte. Ripete costantemente quella frase che dev'essere il mantra del suo Mondiale: “Non ho lasciato a casa fenomeni”. E' l'ossessione del capo, la nuova vita di chi è tornato quasi come salvatore della patria e che invece rischia di uscire come uno qualunque. Perché Donadoni all'Europeo è stato fatto fuori ai rigori dalla Spagna dei Campioni. Perdere con Slovacchia, Paraguay e Nuova Zelanda è molto peggio.

    Perché parla così Marcello? Dicono sia per motivare il gruppo, parola orribile che maschera spesso l'assenza di personalità. Dicono sia per valorizzare i giovani e i vecchi sui quali ha puntato. C'è una logica, certo: mica può dire che il meglio l'ha lasciato in Italia. Però forse l'onestà di una risposta più completa Lippi la deve a se stesso prima che agli altri. Si può dire che Cassano non è stato convocato per motivi disciplinari o perché non lo vuole il gruppo. E' una verità evidente perché nessuno può pensare che sia una scelta tecnica: Cassano ha fatto quest'anno la sua miglior stagione da professionista, la più matura, la più prolifica, la più saggia. Ha trascinato la Sampdoria in Champions, capito? Balotelli non è stato chiamato per immaturità. Come si fa a dire che non sia un fenomeno? A 20 anni ha vinto due scudetti e una Champions League, è più abituato alla pressione di molti dei convocati di quest'Italia: Di Natale, Pepe, Palombo, Criscito, Bocchetti, Montolivo, Marchetti, Bonucci, Maggio, Quagliarella, Marchisio.

    E Totti? Lippi non pensa che non sia un fenomeno. Con una sola gamba è meglio della gran parte dei giocatori della Nazionale. Non è stato convocato per principio: ha rinunciato alla Nazionale dopo l'addio di Lippi, ha riaperto la porta al ritorno di Marcello, ma nel frattempo l'Italia s'era qualificata con altri giocatori al Mondiale. Marcello l'ha lasciato a casa. Condivisibile la scelta, condivisibile anche il motivo. Ma perché non dirlo? Perché nascondersi dietro quella frase volutamente provocatoria? Lippi crede in se stesso più che nell'Italia. Vuole vincere coi mediocri. Dopo aver vinto nel 2006 coi migliori che il campionato potesse offrire, oggi vuol provare il brivido della scommessa: un buon risultato con questa rosa vale di più di un buon risultato con i migliori in assoluto del paese. Si sono letti paragoni con Mourinho: stessa voglia di proteggere i propri giocatori, stessa imposizione del capo per lasciare tranquilla la squadra, stessi tentativi di nascondere i calciatori. C'è solo una differenza: Mou i campioni li ha invocati, cercati, voluti, comprati, schierati. A Manchester, dopo l'eliminazione dalla Champions disse di sapere esattamente di che cosa avesse bisogno l'Inter per vincere. Erano Thiago Motta, Lucio, Sneijder, Milito, Eto'o. I fenomeni. Chissenefrega del resto. Il gruppo si blinda con le vittorie, non con le dichiarazioni in conferenza stampa. Lippi lo sa benissimo, perché l'ha fatto. Con la Juventus ha vinto grazie ai campioni, no? La vittoria del 2006 ha forse creato un'aspettativa eccessiva nei confronti dell'entità squadra: non esiste se non c'è qualcosa che la tenga insieme.

    E' una squadra quella che ha un capitano che non accetta le critiche su due errori personali? Cannavaro ha dato la colpa a De Rossi del primo gol subito dall'Italia al Mondiale. Vero, ha sbagliato il romanista. E però ha sbagliato anche lui, fermato da un blocco tipo quelli del basket come un pivello qualunque. Ma la questione è che un capitano sotto pressione dovrebbe prendersi le responsabilità non scaricarle. Cannavaro è il simbolo del lippismo di oggi, ovvero della convinzione un po' presuntuosa che la mediocrità ben organizzata possa vincere sulla capacità lasciata allo stato brado. L'Argentina dice il contrario: è il talento mal organizzato e per il momento è il meglio che il Mondiale stia offrendo. Lippi pensa all'Italia del 1982: in Spagna, però, l'unico fenomeno che mancava era Evaristo Beccalossi. Gli altri c'erano tutti. Bearzot e i suoi fallirono le prime tre partite, poi volarono con i dribbling di Conti, il cervello di Antognoni, i polmoni di Tardelli e gli stinchi di Oriali. Erano il meglio che il campionato potesse offrire: la squadra diventò gruppo alla prima vittoria, non perché la stampa criticava. Lippi vuol vincere per se stesso o per la Nazionale? Le due cose possono coincidere o no. Meglio: coincidono ora che le scelte sono state fatte e all'Italia non resta che fare il tifo per quelli che ci sono. E per il ct vittima della sindrome del capo. E forse dell'idea che l'unico fenomeno l'Italia ce l'abbia in panchina.

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