Un té con Milton Friedman
Citano Jefferson, Milton Friedman, von Hayek, ma anche Sarah Palin ed il regista John Milton. Guardano con interesse alla politica, senza pregiudizi: da Fini ad Antonio Martino (con Benedetto Della Vedova e altri ex radicali al seguito); strizzano l'occhio anche al centrosinistra. Invocano il ritorno del Berlusconi del 1994, quello della discesa in campo, della rivoluzione liberale.
Citano Jefferson, Milton Friedman, von Hayek, ma anche Sarah Palin ed il regista John Milton. Guardano con interesse alla politica, senza pregiudizi: da Fini ad Antonio Martino (con Benedetto Della Vedova e altri ex radicali al seguito); strizzano l'occhio anche al centrosinistra. Invocano il ritorno del Berlusconi del 1994, quello della discesa in campo, della rivoluzione liberale. Sono i Tea Party tricolori. Non quelli che sbancano oltreoceano le primarie repubblicane. Stiamo parlando di un gruppo di italianissimi giovani (e meno giovani), impegnati a vario titolo nei partiti e nella galassia di blog e di riviste affini al mondo del centrodestra nostrano. Si sono radunati intorno ad una parola d'ordine: “Meno tasse, più libertà”.
Saba Zecchi è la segretaria organizzativa del movimento. “Ma non so se puoi scriverlo”. “Cosa?” “Beh, sia che sono segretaria organizzativa, sia che siamo un movimento”. Nessuna organizzazione per ora. “Puntiamo a diventarlo - continua la Zecchi - ma per ora non lo siamo ancora: mettiamo in circolo delle idee, ci confrontiamo, vogliamo fondere le tante anime del mondo liberale italiano”. Per Carlo Stagnaro, Direttore Ricerche dell'Istituto Bruno Leoni, think thank di riferimento dei liberisti italiani, l'unica possibilità per i Tea Party è aggregare più gente possibile: “Se si vedono in cento è una buona occasione per una pizza tra amici, se si riuniscono in centomila diventano un soggetto politico dal quale è impossibile prescindere”.
I temi economici al centro, dunque. Sia perché sono quelli più vicini alla sensibilità dei promotori, sia perché creano meno divisioni. Non c'è ancora uno statuto, né un vero e proprio organigramma. “Non ci sono ruoli nei Tea Party”, spiega Simone Bressan, blogger e vivace dirigente friulano del Pdl. “Quel che vogliamo fare è riportare al centro del dibattito il tema della pressione fiscale. Non ci interessa discutere della contingenza politica, posizionarci all'interno di questo o di quel partito”. Anzi, se chiedi del loro rapporto con il centrodestra, esitano non poco. “E' ovvio che sarebbe nel dna della destra lavorare su queste tematiche - spiega Bressan - ma anche nel centrosinistra c'è chi si è dimostrato interessato all'idea”.
Un no grazie arriva da Pippo Civati, consigliere regionale lombardo del Pd, esponente di punta della generazione dei trentenni di cui tanto si è parlato nel dopo Veltroni. “Il tea party in Italia esiste già - spiega al Foglio - e si chiama Lega, si chiama Silvio Berlusconi. So che si era fatto anche il nome di Fini a fianco al movimento: non mi stupirei, è l'unico in Italia che abbia cambiato più idee di Tremonti”. Tutti nomi dell'establishment del centrodestra. “In Italia il paradosso è che la rivolta parte dai banchi del Parlamento e del governo - continua Civati - ma il tema della pressione fiscale è sicuramente centrale. In Italia le tasse sono così alte perché qualche stronzo non le paga”.
E' di qualche giorno fa la proposta di Bersani per una mini-lenzuolata di liberalizzazioni, che non ha entusiasmato la stampa né acceso il dibattito. Troppi tecnicismi? “Bersani deve usare parole chiare, razionali, ma anche evocative. Oltre ai dettagli tecnici è importante che spieghi come si esce da questa situazione, allargando il discorso”.
“Il Tea Party in Italia è una sfida - osserva Stagnaro - Deve occuparsi solo di pressione fiscale, concentrare i suoi sforzi. Un po' come se fosse il WWF del fisco”. Se ne discuterà il 26 giugno alle 18.00 a Roma, in piazza S. Lorenzo in Lucina, data del prossimo Tea Party italiano. Ci sarà volentieri anche Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, in attesa della “cartolina precetto”, perchè “i Tea party italiani possono contribuire a cambiare il vento”. Si interrogano se il Berlusconi del '94 esista ancora. “Io penso proprio di sì - dice Capezzone - Sono convinto che il desiderio e l'obiettivo di Berlusconi sia quello, entro la legislatura, di invertire la tendenza della pressione fiscale in Italia, inaugurando una fase di riduzione dell'oppressione fiscale”. “Dentro il Berlusconi del '94 non c'era nulla di diverso dal Berlusconi del 2010 - ribatte Stagnaro - Il premier non crede nel libero mercato, non bisogna fare l'errore di aspettare l'uomo della provvidenza”.
I Tea Party nel loro sito definiscono l'UE come l'Unione delle Repubbliche Sovietiche d'Europa. “Ci sono molte cose dell'UE che non vanno bene - concorda Stagnaro - Se la linea franco-tedesca dovesse passare totalmente, per esempio, ci troveremmo di fronte ad un serio inasprimento della pressione fiscale”.
E a proposito di differenze tra Vecchio e Nuovo continente, niente primarie in Italia, niente elezioni per i prossimi tre anni. Che fare allora? Una risposta ancora non c'è. “Abbiamo l'entusiasmo, la capacità di fare rete e di sfruttare le nuove tecnologie”, spiega Bressan, mentre Zecchi chiede tempo: “Siamo appena nati, stiamo ragionando ancora su tante cose. Dateci tempo!”.
La possibile soluzione la offre Capezzone: “Penso a un meccanismo di "premio" e "punizione": al termine di una legislatura e alla vigilia di nuove elezioni, facciano un endorsement elettorale a favore di chiunque abbia ridotto la pressione fiscale, o almeno non l'abbia aumentata; e poi facciano un endorsement contrario a chiunque l'abbia aumentata. Un "gioco" politico semplice, serissimo, dagli effetti chiari”.
Pessimista Civati: “Fanno una proposta di estrema destra in un paese che non ha la cultura e la tradizione per poterla accogliere, hanno un governo che gli è vicino... Ma perchè non si iscrivono alla Lega a questo punto?”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano