Attesa oggi la sentenza del processo a Dell'Utri
Forse torna l'Italia mozzorecchi
Forse ci siamo. Forse viene giù tutto. Forse torna l'Italia mozzorecchi, fino a oggi arginata dalla pazzia extra e anti politica di un imprenditore di talento, gigante inetto, votato insieme alla gloria e al più spietato autolesionismo politico. Il capo dello stato spiegava ieri, surrogando ufficiosamente il tribunale: il ministro che ha appena giurato nelle sue mani, Aldo Brancher, non ha alcun “impedimento legittimo”, ai sensi di una legge controversa, per sottrarsi a un processo.
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Attesa per la sentenza del processo a Marcello Dell'Utri accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Oggi e' il quinto giorno di camera di consiglio per la seconda sezione della Corte d'appello di Palermo presieduta da Claudio Dall'Acqua (a latere Salvatore Barresi a Sergio La Commare). Dai giudici, riuniti da giovedi' alle 13 nel complesso del Pagliarelli, non trapelano ancora notizie certe, ma la decisione potrebbe arrivare oggi.
Forse ci siamo. Forse viene giù tutto. Forse torna l'Italia mozzorecchi, fino a oggi arginata dalla pazzia extra e anti politica di un imprenditore di talento, gigante inetto, votato insieme alla gloria e al più spietato autolesionismo politico. Il capo dello stato spiegava ieri, surrogando ufficiosamente il tribunale: il ministro che ha appena giurato nelle sue mani, Aldo Brancher, non ha alcun “impedimento legittimo”, ai sensi di una legge controversa, per sottrarsi a un processo. La Lega di Bossi è in turbolento subbuglio moralistico. Nel partito di Berlusconi e Fini non c'è ovviamente pace, visto che non è un cimitero, ma nemmeno quel minimo di ordine che consente di razionalizzare eventi, calendario e senso dei fatti. L'opposizione politica e parlamentare strepita, anche per farsi coraggio, mentre l'opposizione dei denari e dei poteri cosiddetti neutri attende perplessa che avvenga quel che auspica: la caduta. Staremo a vedere, avevamo avvertito che non si può vivere un 24 luglio permanente, e siamo solo alla fine di giugno; per adesso, comunque, non è un bel vedere.
Ma c'è dell'altro, e forse è la questione più importante. Mentre il capo della mafia agrigentina finisce la sua carriera in Francia, ennesimo latitante pericoloso arrestato dagli uomini diretti dal ministro dell'Interno di Berlusconi, il leghista repubblicano Roberto Maroni, a Palermo si sta concludendo il processo a Marcello Dell'Utri per l'evanescente pseudoreato definito come “concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso”. Prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio per deliberare (la sentenza è attesa ad horas), il procuratore generale della città, che si fa araldo delle tesi dell'accusa costruite nel processo di primo grado da un pm fortemente politicizzato, il collaboratore di Micromega Antonio Ingroia, ha esposto nella sua requisitoria i due motivi fondamentali che portano chiunque abbia passione civile a temere per il destino di questo paese e del suo sistema di giustizia, già così inquinato dalla faziosità, già così malandato, già così brutalmente politicizzato e sputtanato.
“Dovete prendere una decisione storica per il nostro paese: o costruire un gradino attraverso il quale forse si potrebbero fare altri scalini per scoprire verità che hanno dilaniato l'Italia, oppure no”: così ha detto il pg Nino Gatto. Le verità che hanno dilaniato l'Italia sono le bombe del 1993, che una leggenda metropolitana priva di qualunque riscontro vuole ascrivere alla responsabilità diretta o indiretta, fa lo stesso, di Marcello Dell'Utri e di Silvio Berlusconi. L'imputato non deve esser giudicato per quel che abbia fatto, per un delitto puntuale che abbia eventualmente commesso, addirittura per un comportamento stragista esplicitato e discusso nel dibattimento; no, la sua condanna deve dimostrare un teorema politico che sopravvive, per forza di volontà faziosa, alle archiviazioni ripetute di diverse inchieste che gli stessi magistrati hanno giudicato prive di sbocco accusatorio. Come aveva scritto due giorni fa nel Foglio Lino Jannuzzi, la campagna sulle stragi del 1993, suffragata dall'uso irresponsabile del “pentito” Gaspare Spatuzza e da altre leggende memoriali buone per storici di serie B e intellettuali da trivio fazioso, solo a questo serve: condannare Dell'Utri e dare una bella botta finale a Silvio Berlusconi. Ma sentite ancora il pg di Palermo e notate il linguaggio fiorito: “Germoglia da tempo un interscambio tra politica e mafia, questa sentenza potrebbe sancirlo”.
Un cittadino di questa Repubblica potrebbe essere condannato, non già per un reato commesso, ma per sancire un interscambio tra mafia e politica che germoglia da tempo, cioè per un teorema giudiziario-letterario che dovrebbe essere escluso in uno stato di diritto. Infine: “Spatuzza è attendibile, e sarà questa corte a dire l'ultima parola sulla sua attendibilità”, ha concluso il pg di Palermo, Nino Gatto. Neanche sotto i Borboni. Non è che Spatuzza sia attendibile se si riesca a dimostrare per vero quel che dice: è condannando Dell'Utri per “concorso esterno” che si dimostra l'attendibilità di un pentito. Nel caos politico, appunto, torna l'Italia dei mozzorecchi.
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