Parla Gianfranco Fini
Le intercettazioni? Meglio trattare e votare a settembre
Il provvedimento sulle intercettazioni, in bilico anche per un apparente cambio di strategia berlusconiano, slitterà quasi certamente a settembre. La tempistica è subordinata ai regolamenti parlamentari e un po' alle pressioni dell'asse istituzionale costituito dal capo dello stato e dal presidente della Camera. Gianfranco Fini lo dice con chiarezza al Foglio: “Io questa legge comunque vada non la calendarizzerò prima che sia finito l'iter della Finanziaria”.
Il provvedimento sulle intercettazioni, in bilico anche per un apparente cambio di strategia berlusconiano, slitterà quasi certamente a settembre. La tempistica è subordinata ai regolamenti parlamentari e un po' alle pressioni dell'asse istituzionale costituito dal capo dello stato e dal presidente della Camera. Gianfranco Fini lo dice con chiarezza al Foglio: “Io questa legge comunque vada non la calendarizzerò prima che sia finito l'iter della Finanziaria”. La conferenza dei capigruppo, deputata a stabilire i tempi della discussione, a Montecitorio è fissata per il 30 giugno e il presidente della Camera spiega che i margini sono strettissimi. Dice Fini: “Bisogna che la manovra sia approvata almeno entro il 27 di luglio, anche per dare il tempo al Senato di fare eventuali modifiche. E' evidente che per le intercettazioni resterebbero poi soltanto tre giorni utili il 27, il 28 e il 29. La Camera si troverebbe così a dover votare due volte la fiducia in una sola settimana. Benché, sia chiaro, non è scritto da nessuna parte che non si possa lavorare ad agosto. Non accade da almeno ventisette anni (correva l'anno 1983 ed ero deputato per la prima volta) ma si può anche farlo”. Tuttavia il cofondatore del Pdl sembra chiedersi: perché accelerare tanto? “Mi sembrerebbe coerente e saggio – dice – anche in relazione ai rapporti con le opposizioni, cercare, se possibile, un consenso più ampio e dunque rimandare il testo a settembre”.
Cosa che potrebbe anche significare, ma questo Fini non lo dice (né ammette di pensarlo), abbandonare “questa” legge. Un'idea che confusamente, nelle stesse ore, si fa largo anche nel Pdl berlusconiano dove, al Senato, si immagina di accelerare – invece – sul lodo Alfano costituzionale. Ma chissà. Resta vero che, all'idea di soprassedere per il momento sulle intercettazioni si affiancano progetti ancora evanescenti, ma di cui si parla molto anche nel centrosinistra, intorno a una riformulazione complessiva del testo. Quando la legge sulle intercettazioni fu votata a Palazzo Madama, in Senato conversero venti voti in più di quelli a disposizione della maggioranza, segno di un interesse dalle parti dell'opposizione. Così c'è chi lavora a riproporre il ddl Mastella e chi, come il senatore dalemiano Nicola Latorre, dice: “Sarebbe giusto prevedere una sanzione seria per chi diffonde materiale coperto da segreto istruttorio. Si deve intervenire su chi diffonde le intercettazioni”. L'idea è questa: una legge composta da un singolo articolo sulla responsabilità penale del magistrato, considerato responsabile della custodia delle intercettazioni. E' un'impostazione che troverebbe d'accordo – così pare – anche l'area finiana del Pdl.
Ma non ci sono soltanto le intercettazioni. Nei rapporti interni al Pdl, questa settimana è stata caratterizzata da un ritorno di polemiche a bassa intensità tra i cofondatori. Scambi di battute pubbliche sul dissenso interno che tuttavia si sono accompagnate a un più intenso lavoro di mediazione tra Fini e Silvio Berlusconi. Ambienti vicini al premier stanno elaborando una strategia che suona più o meno così: “Le strade sono due. O si trova un accordo che armonizzi la dialettica tra gli ex FI, Fini e i suoi colonnelli, oppure non resta che un divorzio consensuale. Da amici”. I berlusconiani si preparano ad accettare parte delle richieste finiane: congressi, tesseramento e riconoscimento della minoranza interna, ma il Cav. vuole evitare la correntizzazione del Pdl, ha deciso – tra le altre cose – di assorbire i colonnelli. Berlusconi è disponibile ad accettare un accordo con Fini, ma vuole la garanzia di non dover contrattare poi anche con altri due, tre micropotentati (compreso Gianni Alemanno). Non è escluso che per siglare l'accordo (se ne è parlato martedì scorso a Palazzo Grazioli) a Fini venga chiesto di sacrificare la presidenza di Montecitorio. Richiesta che difficilmente potrà essere accettata. Ma chi può dirlo ancora? Fini avverte questa fase come delicatissima e sull'intervista rilasciata dal premier al periodico Oggi (considerata in alcuni passaggi polemica nei suoi confronti) dice: “Non lo era affatto. Anzi, era tutto il contrario”.
A proposito delle dichiarazioni in agenzia e alle interviste, “che spesso ingenerano malintesi” (è capitato talvolta con Berlusconi), il presidente della Camera spiega: “La prima regola è prendere con le dovute cautele i lanci di agenzia. La seconda regola, con le interviste, è che bisogna sempre mettere un po' in dubbio che ciò che vi è scritto corrisponda esattamente a ciò che l'intervistato intendeva dire”. Ovvero: i veri dissidi raramente sono quelli pubblici. E adesso, con Berlusconi, nonostante le difficoltà e i sospetti, sembra esserci una comune volontà di mettere fine alle incomprensioni. D'altra parte pare ci siano più canali diplomatici aperti contemporaneamente. All'impressione diffusa che si giochi su più tavoli per favorire in realtà una tattica dilatoria, si affiancano tuttavia aperture significative e mai così chiare come quella di Fabrizio Cicchitto. Il capogruppo berlusconiano dice al Foglio: “La situazione attuale del Pdl deve trovare una regolazione e una sistemazione sulla base del reciproco riconoscimento. C'è una decisiva leadership carismatica e c'è un ruolo di minoranza non più ritagliato sulla originaria dimensione di An”. Sembra di capire che anche per gli ambienti più vicini al premier, la meccanica Fini-Berlusconi-colonnelli vada sciolta definitivamente. Forse anche con il sacrificio di qualcuno.
La logica maggioranza-minoranza è stata implicitamente accettata, sembra adesso avere bisogno soltanto di una sanzione ufficiale che va accompagnata a più prosaiche trattative di organigramma ma anche relative alla prossima legislatura, sostengono alcuni bene informati di Palazzo Madama. Come dice Fini: “La dialettica interna nei partiti è cosa assai normale. Ne ho parlato pochi giorni fa con il presidente del Parlamento israeliano, Reuven Rivlin. Mi ha detto, facendo un parallelo con l'Italia: ‘Sapessi tu, Gianfranco, quante volte io mi sono trovato a polemizzare, anche con una certa asprezza, con i vertici del mio stesso partito”.
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