Quando Saviano apre il festival dei finiani
La rivoluzione libertaria di Gabriele D'Annunzio cominciò e finì a Fiume, con una occupazione libera e sesso a go-go, città di confine delle terre irridente e degli scampi del Carnaro, tra gli slavi e quel che restava dell'Italia ardita dopo la I Guerra Mondiale. La rivoluzione culturale (e Mao, stavolta, non c'entra) dei finiani comincerà a Viterbo.
La rivoluzione libertaria di Gabriele D'Annunzio cominciò e finì a Fiume, con una occupazione libera e sesso a go-go, città di confine delle terre irridente e degli scampi del Carnaro, tra gli slavi e quel che restava dell'Italia ardita dopo la I Guerra Mondiale. La rivoluzione culturale (e Mao, stavolta, non c'entra) dei finiani comincerà a Viterbo, laddove il Lazio si addolcisce di Toscana – terra rossa di vino e di ex Pci - e chissenefrega del vecchio proverbio “chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non quel che trova”.
Già, Viterbo, con il Palazzo dei Papi a scolorire e vicino il quartier generale di San Pellegrino. Lì, il 30 giugno, comincerà Caffeina (la prima f rigorosamente rossa) Cultura, festival messo in piedi da Filippo Rossi, intellettuale, giornalista, direttore di Farefuturoweb Magazine, la rivista della Fondazione di Gianfranco Fini, il Presidente della Camera che – negli ultimi mesi – tanti grattacapi sta dando al Cavaliere. Ad aprire il Festival sarà Roberto Saviano, lo scrittore di Gomorra che domani, alle ore 21,30, interverrà con un monologo sul tema de “La libertà di raccontare”.
Poiché non di soli Incontri talk vive l'uomo, la caffeina diventerà pure un magazine mensile, dal nome semplice, Caffeina Magazine (uscirà a fine giugno) ed un percorso futuribile già tracciato nell'editoriale, firmato proprio da Rossi: “Meglio la misticanza della militanza perché l'unico modo di salvarsi è abbandonare il sentiero tracciato”. Il viaggio è chiaro: “Superare le colonne d'Ercole del genere umano” perché – come diceva l'Alighieri, papista ma non troppo, “io e' compagni eravam vecchi e tardi / quando venimmo a quella foce stretta / dov'Ercule segnò li suoi riguardi / acciò che l'uom più oltre non si metta / da la man destra mi lasciai Sibilia / da l'altra già m'avea lasciata Setta”. L'eterna sfida con l'altro da sé, insomma. Sarà per questo che, sfogliando il programma di Caffeina cultura, scopriamo che hanno invitato un sacco di bella gente. Soprattutto di sinistra (se togliamo pochi nomi, come Franco Cardini, Giuseppe Conte o Pietrangelo Buttafuoco). Musica, e vai con Roberto Vecchioni.
Giornalismo, e lì, seduti nel viterbese, uno dopo l'altro, ecco arrivare la mezz'ora di Lucia Annunziata, quell'Infedele di Gad Lerner, il giornalista del Fatto Oliviero Beha, Vauro, firma sapida e anticlericale del Manifesto, quotidiano comunista, e di Annozero. E poi Massimo Gramellini, nome de La Stampa e faccia del Che tempo che fa di Fabio Fazio, su Raitre. Senza scordare Giovanni Floris. Quello di Ballarò? No, un omonimo ma fa lo stesso, il palinsesto al caffè, c'è da scommetterci, farà comunque infuriare il Cavaliere. Certo, spostandosi dal giornalismo alla letteratura ed alle scienze, il risultato non cambia: ecco Erri De Luca, romanziere e poeta non proprio di destra. E poi la Dacia Maraini, il filosofo laico Giulio Giorello, lo scrittore romantico, tra i quadri di Hayez e il mancamento della modernità, Antonio Scurati. Ed ancora la sfida del post-sessantottino Mario Capanna, in tempi di Ogm e d'ambiente in crisi; la coppia d'oro – tra cinema e letteratura – Margaret Mazzantini e Sergio Castellitto, con un passaggio sul telescopio (di sinistra) nelle stelle di Margherita Hack e la battaglia laico-radicale di Beppino Englaro, il padre di Eluana.
Le colonne d'Ercole, dicevamo – parafrasando il babbo del Festival Filippo Rossi. O forse, come scrive lui stesso, qualcosa di più: “È tempo di affrontare il salto con la certezza che l'unico modo per salvarsi è abbandonare quella strada che gira in tondo senza mai arrivare da nessuna parte. Si parte senza partire, senza voler lasciare la casa dei padri, senza voler davvero andare. Un passo altrove, in un'altra dimensione culturale, anche per spezzare il giogo familistico che ancora imbriglia l'Italia: un paese convinto di essere grande e che si ritrova sempre più piccolo, che si crede giovane e si ritrova sempre più vecchio”. O Fiume o morte. Pardon, Viterbo, lassù nell'alto Lazio, in odor di Toscana.
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