Più calci che calcio
Nata con la scusa di un'epidemia di peste, per ghettizzare i neri e gli indiani che vivevano a Johannesburg, oggi Soweto è la township più grande di tutto il Sudafrica. Simbolo dell'Apartheid e della rinascita del paese, ha avuto il suo “Bloody Sunday”, 16 giugno 1976, e il suo Heysel, aprile 2001. Nel '76, quattro anni dopo il vero ‘sunday bloody sunday' di Derry, centinaia di persone furono uccise dalla polizia.
Nata con la scusa di un'epidemia di peste, per ghettizzare i neri e gli indiani che vivevano a Johannesburg, oggi Soweto è la township più grande di tutto il Sudafrica. Simbolo dell'Apartheid e della rinascita del paese, ha avuto il suo “Bloody Sunday”, 16 giugno 1976, e il suo Heysel, aprile 2001. Nel '76, quattro anni dopo il vero ‘sunday bloody sunday' di Derry, centinaia di persone furono uccise dalla polizia perché protestavano contro la decisione del governo di sostituire l'afrikaans con l'inglese nelle scuole.
Altre due grandi tragedie, invece, sono legate al calcio, alla rivalità che divide le squadre più importanti della città, Kaiser Chiefs e Orlando Pirates. E' considerato uno dei derby più belli del mondo, nelle baracche di Soweto si vive tutto l'anno per questa partita, alla quale assistono decine di migliaia di persone, divise tra i Glamour Boys, supporter dei primi, e i Rural Poor, tifoseria dei secondi.
Gli Orlando Pirates oggi sono allenati da Ruud Krol, già tecnico dello Zamalek, vice campione del mondo nel '74 e nel '78 con l'Olanda, capace di vincere tutto con l'Ajax. Da due anni siede sulla bollente panchina dei bianconeri con i quali non ha ancora vinto niente, l'ultima affermazione nella Premier Soccer League risale al 2003, contro le due consecutive dei Kaiser Chiefs nel 2004 e nel 2005.
Ma nell'aprile del 2001 il derby di Soweto ha accostato, per la seconda volta, il proprio nome alla tragedia dell'Heysel. In 120.000 si erano recati all'Ellis Park che ne poteva contenere solamente 68.000, ma tutti volevano entrare e spingevano gli altri sui cancelli. Quando la polizia è intervenuta con i lacrimogeni era troppo tardi e sul terreno si raccoglievano decine di morti mentre gli elicotteri cercavano di portare via i feriti. Oltre 40 le vittime e centinaia i contusi, numeri approssimativi di un intervento e di un soccorso altrettanto approssimativi.
Più o meno gli stessi morti di dieci anni prima, quando durante un'amichevole tra Kaiser Chiefs e Orlando Pirates, se di amichevole si può parlare quando s'incontrano queste due squadre, una decisione arbitrale contestata scatenò una rissa nella quale morirono 43 persone e altre 50 rimasero ferite. Nonostante questo, giocare in uno dei due club per un ragazzo del quartiere è un sogno che si avvera, da una parte i Pirates all'Ellis Park, dall'altra i Chiefs al Soccer City. Quest'ultimi sono la squadra che ha vinto più campionati sudafricani e a livello organizzativo s'ispirano ai modelli occidentali, grazie a Kaizer Motaung, presidente e fondatore dei Kaiser Chiefs. Ex giocatore degli Orlando Pirates, dopo un'esperienza nei Denver Dynamos (North American Soccer League), tornò in Sudafrica con l'idea di costruire il primo club professionista del paese, che porta il suo nome. Senza dimenticare i tre figli: Kaizer Motaung Junior è titolare nella squadra; Jessica è responsabile del marketing e Bobby è il team manager.
Un destino decisamente diverso da quello delle Women Fighters FC di Zanzibar, regione semiautonoma della Repubblica della Tanzania, distante più di 5.000 chilometri da Soweto.
“Quando abbiamo iniziato questo progetto, gli uomini ci picchiavano con il pallone da calcio, ci urlavano che non eravamo donne e che non avremmo mai avuto un marito. Abusavano di noi”, racconta Nassra Mohammed, spiegando il nome della prima squadra femminile dell'isola. La folgorazione nell'88, quando una squadra di calcio femminile svedese, Tyresö FC, girava l'Africa per promuovere lo sport tra le donne; a Zanzibar il 97 per cento della popolazione è musulmana, ma solo i più oltranzisti della scuola coranica giudicano immorali magliette e pantaloncini. “Il mio matrimonio era finito. Mio marito mi aveva lasciata improvvisamente, perché convinto che io fossi sterile. Stavo malissimo. Poi ho scoperto la squadra, e ho deciso di provare – racconta Zuwena, 28 anni, portiere –. Il calcio mi ha aiutato a superare quell'esperienza drammatica e ha cambiato in meglio la mia vita”.
Nel 2009 sono state invitate a partecipare a un torneo in Germania e dopo dieci nuove ragazze si sono iscritte, incoraggiate dai genitori. Le Women Fighters sono l'esempio di come le donne dell'isola vogliano sfidare le barriere di genere per fare ciò che amano. Su di loro è stato girato un film, “Zanzibar Soccer Queens”, e con i fondi raccolti alcune hanno iniziato ad andare a scuola e studiare l'inglese, anche se è ancora presto per parlare di un progetto educativo in senso più ampio.
Ma come dice un vecchio proverbio africano: “Ciò che il cuore desidera ardentemente fa muovere le gambe”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano