Carotaggio Strega/ 3
Dopo aver letto la carbonara di Matteo Nucci non ci fidiamo più dei consigli di Pedullà jr
Apriamo a pagina 69 il romanzo di Matteo Nucci “Sono comuni le cose degli amici”, avvolto da una fascetta a firma di Gabriele Pedullà che promette “uno degli esordi più attesi dell'anno”: una buona metà racconta la preparazione di una pastasciutta alla carbonara. Viene il sospetto che l'epidemia di ricettari, più o meno d'autore, oltre la classifica dei best seller (e prima ancora i programmi tv, dove un cuoco spignattante tra i fornelli fa da viagra per l'audience) abbia contagiato anche i candidati al premio Strega.
Apriamo a pagina 69 il romanzo di Matteo Nucci “Sono comuni le cose degli amici”, avvolto da una fascetta a firma di Gabriele Pedullà che promette “uno degli esordi più attesi dell'anno”: una buona metà racconta la preparazione di una pastasciutta alla carbonara. Viene il sospetto che l'epidemia di ricettari, più o meno d'autore, oltre la classifica dei best seller (e prima ancora i programmi tv, dove un cuoco spignattante tra i fornelli fa da viagra per l'audience) abbia contagiato anche i candidati al premio Strega. Lo scrittore al suo debutto (è nato a Roma nel 1970, lo pubblica Ponte alle Grazie) racconta una donna che “girava con forza la pasta nella grande pentola di alluminio”. La osserva un figlio attentissimo. “Spostò sul tavolo la bacinella zeppa di uova sbattute e ci spinse dentro parmigiano e pecorino. Tritò un filo di pepe”.
Benissimo, se il lettore immaginato è un cuoco principiante. Il lettore di romanzi, e peggio ancora il lettore che ha preso sul serio la fascetta, si avvia speranzoso verso la frase successiva. Altra delusione, il traffico in cucina invece di accelerare e di andare al dunque (sarà questa carbonara diversa dal piatto che chiunque improvvisa racimolando due uova nel frigo vuoto? deve esserlo, se no perché me la raccontano?) passa al ralenti, tecnica che anche i registi usano quando scarseggia il materiale per tenere la fine del film ragionevolmente lontana dall'inizio. E dunque: “Aveva messo da parte la ciotola coperta e ora guardava le mani grosse che si muovevano con una delicatezza estrema, le dita che sfioravano l'angolo della pepiera, i polpastrelli che scivolavano lungo il forchettone di legno e le mosse veloci, quasi sincronizzate”. E ancora: “Intanto una tazza scivolò sul bordo dei fornelli, pulita, vuota, forse ci avrebbe messo un po' d'acqua della pasta”. Dieci e lode in cucina, meno di zero se parliamo di romanzi. Una descrizione da leggere golosamente, senza la voglia di saltare il paragrafo, non richiede le minuzie che chiunque potrebbe aggiungere con un minimo di fantasia.
Impone, o almeno consiglia, di limitarsi ai particolari che servono alla trama o suggeriscono un punto di vista originale. Chi scrive (bene) dovrebbe essere sempre un passo avanti, guai se arranca alle calcagna del lettore. I romanzieri ottocenteschi, incapaci di abbandonare un salotto fino a che non si erano dilungati sulla tappezzeria e i posaceneri, sono stati messi in croce per il loro vizietto dai moderni e dai postmoderni. A ricascarci nel 2010, si fa peccato (di tafazzismo, per non dire altro). Pagina 69 – consigliata da Marshall McLuhan per l'assaggio di un romanzo (se vi piace, vi piacerà anche il resto) – piange. Pagina 99 – la prova d'appello consigliata da Ford Madox Ford – non ride. Ancora descrizioni: “La stradina scendeva ripida, sulla spiaggia le tende dei campeggiatori erano legate con più tiranti eppoi fermate sui bordi da enormi sassi, si vedevano le folate di vento attraversare la spiaggia e i corpi nudi distesi sui teli”. Con meno letteratura, e più rispetto per chi legge: un campeggio di nudisti. Matteo Nucci, che ha rubato il titolo al “Fedro” di Platone, probabilmente non vincerà lo Strega. Noi non ci faremo mai più consigliare un romanzo da Gabriele Pedullà.
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