Se Rep. avesse letto la relazione di Pizzetti avrebbe capito che...

Giulia Pompili

Se qualcuno del fronte “no al bavaglio” avesse letto o ascoltato per intero la relazione annuale al Parlamento di Francesco Pizzetti, presidente dell'Autorità garante della Privacy, probabilmente non sarebbe stato reclutato (inconsapevolmente) a combattere la battaglia contro il presunto “limite alla libertà di stampa” che sarebbe messo in atto dal ddl intercettazioni. Una specie di mistificazione “per pigrizia”, più o meno inconsapevole.

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    Se qualcuno del fronte “no al bavaglio” avesse letto o ascoltato per intero la relazione annuale al Parlamento di Francesco Pizzetti, presidente dell'Autorità garante della Privacy, probabilmente non sarebbe stato reclutato (inconsapevolmente) a combattere la battaglia contro il presunto “limite alla libertà di stampa” che sarebbe messo in atto dal ddl intercettazioni. Una specie di mistificazione “per pigrizia”, più o meno inconsapevole, si è consumata tra i giornalisti delle agenzie e dei quotidiani, che pochi secondi dopo l'inizio del discorso di Pizzetti avevano già scritto titoli e lanciato agenzie sulla base di alcune parti del testo, tralasciando completamente il resto. La più solerte è stata Repubblica, che ha titolato: “Pizzetti contro la legge-bavaglio. ‘Allarme per la libertà di stampa'”.

    In realtà – bastava leggere la relazione – il garante ha svolto un'analisi “molto più complessa”. In tutto il testo, infatti, Pizzetti sottolinea l'importanza dell'equilibrio tra principio di libertà di stampa e articolo 15 della Costituzione, difeso istituzionalmente proprio dall'Autorità. In particolare, alla fine del paragrafo dedicato ai rapporti tra privacy e intercettazioni, Pizzetti dice: “Siamo consapevoli che il modo col quale talvolta i giornalisti hanno fortemente criticato le nostre decisioni, e gli eccessi da loro compiuti in questi anni, attraverso la pubblicazione per intere pagine di intercettazioni sempre riferite alla politica o agli ambienti dello sport e dello spettacolo e quasi mai ai fatti di criminalità comune o organizzata, anche quando questi ingenerano grande allarme sociale, giustifica in parte il sospetto che spesso si abbiano a cuore più gli indici di vendita, gli share e la concorrenza fra le testate, che non l'oggettivo interesse dell'opinione pubblica”.

    Contro la cosiddetta “Sputtanopoli”, il garante si sofferma anche nelle considerazioni finali, quando contesta il “dovere del giornalista di pubblicare ogni informazione di cui venga a conoscenza”: secondo Pizzetti, “contrasta col corretto rapporto tra libertà di stampa e tutela delle persone, spostando a propri e per definizione, il cursore tutto a favore della libertà di stampa”.
    Le uniche considerazioni che non vengono tralasciate, nemmeno da Repubblica, sono quelle in cui si parla della trasparenza delle pubblica amministrazione, nella convinzione, evidentemente, che trattandosi di ambiti diversi seppur complementari (P.A. - Giustizia) il garante usi due modelli di protezione e di privacy. Pizzetti dice: “Non è possibile affermare a cuor leggero che l'amministrazione debba mettere on line tutte le informazioni di cui è in possesso, o che per ogni tipo di informazione debbano valere le stesse regole. In questo modo si renderebbe concreto il rischio di un controllo globale di tutti su tutti […] (il risultato sarebbe quello di) una società mostruosa, quella casa di vetro che è stata sempre il sogno di ogni dittatura e di ogni concezione basata sul totale prevalere dell'interesse della collettività rispetto ad ogni spazio di libertà e di autonomia del singolo”.

    D'altra parte, lo stesso Pizzetti già nella relazione annuale del 2007 aveva manifestato forti perplessità contro chi dimenticava il principio della segretezza della corrispondenza spostando il “cursore” tutto a favore della libertà di stampa. Scriveva il garante: “Non bisogna dimenticare che le intercettazioni sono, oltre che uno strumento di indagine, anche una delle forme più invasive della nostra sfera personale. Infatti esse incidono pesantemente su quella libertà di comunicazione che l'art. 15 della nostra Costituzione considera un diritto fondamentale, comprimibile solo con atto motivato dell'autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge. L'eventuale pubblicazione del loro contenuto da parte dei media trova fondamento esclusivamente nel diritto, parimenti costituzionalmente garantito, di cronaca e di informazione. Questo significa che si devono sempre pienamente rispettare le regole del codice deontologico dei giornalisti; che le informazioni non devono essere state raccolte illegittimamente o con raggiri; che il giornalista deve valutare sempre se sussiste un effettivo interesse della pubblica opinione a conoscere; che occorre sempre aver cura di salvaguardare la dignità delle persone; che le persone pubbliche hanno sì una tutela attenuata ma hanno comunque diritto al rispetto della loro vita strettamente privata”.

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    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.