Carotaggio Strega/ 2

Una fabbrica, adolescenza e un po' di sesso. Basta per premiare Silvia Avallone. Ma per i lettori?

Mariarosa Mancuso

Silvia Avallone sta allo Strega di quest'anno come Paolo Giordano stava allo Strega del 2008. E' giovane, è bella, pubblica il suo primo romanzo da un grande editore, racconta l'adolescenza sullo sfondo di un'acciaieria, due argomenti che come il martelletto sul ginocchio fanno scattare un paio di discorsi riflessi, senza bisogno di leggere le 358 pagine di “Acciaio”.

    Silvia Avallone sta allo Strega di quest'anno come Paolo Giordano stava allo Strega del 2008. E' giovane, è bella, pubblica il suo primo romanzo da un grande editore, racconta l'adolescenza sullo sfondo di un'acciaieria, due argomenti che come il martelletto sul ginocchio fanno scattare un paio di discorsi riflessi, senza bisogno di leggere le 358 pagine di “Acciaio”. Ad alto richiamo giornalistico, per giunta: anche se gli adolescenti sono sempre meno, e le fabbriche pure, nulla commuove il critico più del giovane Holden (ormai bacucco, oggi avrebbe 80 anni suonati) e del dibattito su letteratura e industria. I pronostici la danno per favorita: il gruppo Rizzoli non vince da troppi anni, in spregio all'alternanza cara a Maria Bellonci, l'entrata in cinquina con il massimo dei voti fa ben sperare.

    Leggi a pagina 69, suggerisce Marshall McLuhan (nostra guida in questi carotaggi) al lettore indeciso sul libro da mettere in valigia, destino quasi certo per i volumi che in libreria esibiscono la fascetta da finalista. L'altro destino è il regalo, e fu proprio con questa motivazione che un lettore sdegnato rifiutò una copia della “Solitudine dei numeri primi”, privo della stregonesca garanzia. Alla pagina troviamo una certa Anna, con “una massa di riccioli bruni, sempre spettinati”. Il nostro cuore di lettori vacilla: perfino i manuali intitolati “Come scrivere romanzi rosa” sconsigliano vivamente la caratterizzazione tricologica dei personaggi.
    Siccome siamo nella zona industriale di Piombino, Anna – che scopriamo essere in compagnia dell'amico Massi, “non un fidanzato, era un po' come un fratello maggiore”, quindi mettiamo pietosamente in carico al suo sguardo proletario i riccioli scuri e l'aria da bambina – si distese “sul dorso della benna, e si sentì sull'orlo di qualcosa che non aveva nome”.

    Il contrasto tra il termine tecnico e il “qualcosa senza nome” un po' stride, sarà la confusione adolescenziale. Senonché, poche righe dopo e sempre a pagina 69, il lettore si scontra con “l'odore forte della polvere e dell'abbandono delle cose”, e subito dopo nella frase: “Erano cambiate molte cose negli anni, e soprattutto nelle ultime due settimane, senza che loro potessero capire o reagire”. Un po' troppe “cose”, se siamo convinti che uno scrittore o una scrittrice siano tali perché sanno trovare la parola giusta, che al comune mortale sfugge, per descrivere una situazione. Tanto più che la faccenda non è tanto bizzarra da porre problemi a un narratore. Da piccoli Anna e Massi giocavano al dottore, toccandosi “la patatina, il pisello, le tette”; ora sono un po' più grandi, con gli ormoni in subbuglio, e l'imbarazzo cresce.

    Silvia Avallone funziona a corrente alternata, passando dalle cose senza nome alla prosa liricheggiante: “Un terrore tranquillo s'irradiava attraverso le arterie, penetrava in ogni capillare, le intorbidiva gli occhi. La luce scioglieva lei, i cumuli di pneumatici, le montagne di limatura di ferro”. Intanto i pensieri “si confondevano e le sfuggivano”, a ribadire che le parole o sono scelte per stupire, o sono le prime che saltano in testa. Può darsi che la pagina toccata in sorte per il carotaggio sia particolamente infelice, e poiché la pagina 99, secondo il metodo di Ford Madox Ford, porta solo un titolo (“Alghe”), non possiamo fare la controprova. Però abbiamo trovato la fabbrica odorosa di carbone, di ruggine e di ferro, lo smarrimento adolescenziale e un po' di sesso. Basta e avanza per convincere i giurati del premio Strega, non per appassionare il lettore.