Roma città a perdere
Capitale infetta, nazione corrotta
Caro sindaco Alemanno, l'altro giorno ho aspettato l'autobus per una quarantina di minuti (è vero, bisogna confessare che un autobus nel frattempo è passato, ma talmente pieno di gente e puzze e ombrelli gocciolanti, che io e una simpatica anziana suorina che aspettava con me non ce la siamo sentiti di salire – inteso anche il fatto che se ci provavamo non ce l'avremmo fatta). Lei, saggiamente, dirà: che andava di fretta?
Caro sindaco Alemanno, l'altro giorno ho aspettato l'autobus per una quarantina di minuti (è vero, bisogna confessare che un autobus nel frattempo è passato, ma talmente pieno di gente e puzze e ombrelli gocciolanti, che io e una simpatica anziana suorina che aspettava con me non ce la siamo sentiti di salire – inteso anche il fatto che se ci provavamo non ce l'avremmo fatta). Lei, saggiamente, dirà: che andava di fretta? Io no, ma quelli al lavoro sì, e non c'è mica esatta percezione, tra gli operatori dell'informazione (la tessera dell'Ordine pare singolarmente confliggere con quella dell'Atac), dei quotidiani patimenti tranviari. In attesa che il Suo fantasioso vice, Mauro Cutrufo, metta mano al ventilato parco sulla Roma antica (Romaland, si è letto sui giornali: che la Lupa ed entrambi i gemelli possano perdonare i giornali, se la parola è stata inventata dai giornali; gli amministratori, se la pensata è vostra), così da assicurare un efficiente servizio di bighe andata e ritorno Malagrotta-Foro Traiano-Malagrotta, su questa faccenda degli autobus un'occhiata bisognerebbe buttarla. A Roma hanno la tendenza a sparire, come misteriosamente inghiottiti dalla terra – e senza voler riprendere l'annosa questione delle buche, che buche erano e buche sono rimaste, fanno l'impressione del Santo Graal nei film di Indiana Jones, quando la crosta si crepa e il prezioso manufatto precipita nell'oscurità.
Anni fa, signor sindaco, felicemente regnante il Suo autorevole predecessore, il sempre amato Walter Veltroni, lungamente si lamentò su queste stesse pagine l'improvvisa dipartita viaria del bus n. 63 (Monte Savello-Largo Pugliese), di comodo instradamento per tornare a casa al termine delle fatiche (diciamo fatiche) quotidiane. Ora, si fa triste necessità del doversi lagnare del bus n. 90 (Largo Labia-Stazione Termini), che funzionale (quando funziona) e puntuale (quando è puntuale, ma qui Lei può chiaramente intendere che siamo nel campo delle ipotesi piuttosto che dei dati di fatto) aiuta ad avvicinarsi alla redazione. Questo bus n. 90 è persino elettrico, molto silenzioso, di una certa bellezza estetica, verde com'erano verdi una volta tutti i bus e tutti i tram di Roma, e lungo lungo – insomma, capiente. In zona, capirà signor sindaco, eravamo tutti molto orgogliosi e soddisfatti di questa meraviglia tramviaria. Si chiama – e non certo a Lei ciò va rammentato – Express, questa linea. Express come veloce, come rapida, come fulminea. Frequenti passaggi, corsie preferenziali e poche fermate – chi c'è c'è, e chi non può s'attacca al vecchio asmatico n. 36 (Via Pampanini-Stazione Termini), che non ha le corsie preferenziali, che fa tutte le fermate che pare che abbia il singhiozzo, e che inoltre è autobus corto corto (cioè, corto normale, ma tanto più corto pare rispetto al nostro bel n. 90 che è lungo lungo e silenzioso).
Invece, pian piano, di n. 90 (che paura non faceva, anzi) se ne vedono sempre meno. Poi magari tre in fila, uno dietro l'altro (quando i giornali chiedono agli esperti conto di questo curioso fenomeno, è tutto un ravanare di ingorghi stradali, blocchi metropolitani, affanni viari: ma alle dieci del mattino, con le strade sgombre, a due o tre fermate dal capolinea, dove cavolo stanno questi ingorghi, signor sindaco? Non è, come sento dire poi dagli stremati compagni di sorte, alla fermata, che stanno a parlare di Lazio e Roma, laggiù al capolinea?). Dice: qui magari c'abbiamo le Olimpiadi del 2020 e stai a pensare all'autobus? Sissignore. A parte che da qua alla fine del decennio farebbe oggettivamente più comodo un tram veloce che un maratoneta, pure tutta 'sta mania di grandezza – e la Formula 1 all'Eur e il villaggio dell'antica Roma alle porte di Roma, che almeno facessero quello di Asterix, così, per variare, e le Olimpiadi – non toglie qualcosa alla necessaria piccolezza quotidiana? Va bene che l'importante non è vincere ma partecipare – come vede, signor sindaco, spiritualmente ci portiamo avanti con i futuri impegni cittadini – ma anche arrivare in orario in ufficio – che sempre quell'ora, quell'ora e un quarto ci vuole – non è tanto male. Vedo, signor sindaco, che un consigliere dell'opposizione del Pd, per attaccare le ultime agitate fasi all'interno del Pdl in Campidoglio – tanto da intendersi ormai quasi Popolo della (eccessiva) libertà – sostiene che la maggioranza capitolina “sembra essere sempre più un tram”: senza voler essere spiritosi, lo volesse il cielo…
L'imperscrutabile andamento del bus n. 90 – passa, non passa, arriva a coppie come i carabinieri, sparisce a lungo come un talpone che va in letargo – è pena concreta e insieme perfetta metafora della condizione in cui (forse) anche Lei si trova: tanto vorrei e tanto poco posso. Rammento bene la sera della Sua elezione. Il mio amico P., che è sbirro di professione e fascista per convinzione, mi telefonò esultante e sfottente: aho, che culo che v'avemo fatto, a voi comunisti! A Ste', da domani qua se cambia tutto! Tutto? Cavolo – pensai: se non esagerano, tipo provare a riprendersi l'Abissinia o a fare una seconda via dell'Impero, come programma non è male. Perché gli ultimi anni del suo predecessore, signor sindaco, erano anni stanchi: tanto mi manca ora il n. 90, tanto mi mancava allora il n. 63. Qualcuno dei più fessi, tra i miei amici di sinistra, si fece impressionare da una decina di saluti romani sullo scalone del Campidoglio. “I fasci! I fasci!” – che poi, in fondo, venendo tutti da qualche storia, tutti qualche buffa ritualità ci tiriamo dietro. Come diceva Nino Manfredi nei panni dell'inquisitore pontificio monsignor Colombo nel film “In nome del Papa re”, quando il perpetuo gli portava la colazione con i biscotti rosicchiati dai sorci nella credenza. “Pure loro so' creature del Signore”, e pazientemente principiava con la zuppetta. Perciò non un saluto romano (malamente) impressionava, e certo pure Lei poco gradiva, quanto piuttosto l'aspettativa, mia e del mio amico fascio, che tutto sarebbe cambiato: per i treni in orario si vedrà, ma se Alemanno in orario rimette i tram è già tanto. Il mio amico P. adesso dice che è colpa di tutti i guai che hanno combinato prima i comunisti se il tram arranca, la mignotta sempre lì sta e i venditori ambulanti – ogni tanto lui ne rincorre qualcuno – sono più numerosi delle edicole con le Madonnine. Tram, mignotte e clandestini, a suo parere, fanno insieme blocco contro le magnifiche sorti progressive della destra che ha in mano la città. Fatto sta che, prima, almeno il bus n. 90 andava e veniva a meraviglia…
La Roma alemanniana, signor sindaco, non è certo migliorata rispetto a quella veltroniana, dicono persino i miei amici che hanno votato per Lei. Il senso di fatica, di abbandono, la percezione di una prevalenza non solo dei cretini metropolitani (Fruttero&Lucentini esaminarono la situazione, e il loro pessimismo si rivela nello specifico quale eccesso di ottimismo) ma di furbi, di chi crede che la possibilità di farla franca sia maggiore di quella di pagare dazio. E' la prevalenza del prepotente – signor sindaco. I suoi amici mi raccontano che questa è anche la sua angoscia. Che pure Lei la sera, quando torna a casa dall'ufficio, si ritrova quasi come il Neruda nostro mito giovanile, “stanco di vedere il mondo che non cambia” – e di stanchezza in stanchezza, la tendenza a cedere all'abitudine, e l'abitudine che infine impedisce a ogni cosa di cambiare. Mi dicono: “Nelle sue stanze la luce è sempre accesa, lavora dalle otto del mattino alle due di notte, uno stakanovista. Ci sono addirittura tre turni di segretarie, per tenergli dietro”. E' ottima cosa (anche se di pessimo ricordo) la luce accesa fino a tardi nei palazzi delle istituzioni (per dire, se Berlusconi avesse continuato a illuminare il suo lavoro sotto i risplendenti lampadari di Palazzo Chigi, anziché optare certe volte per le luci soffuse di Palazzo Grazioli, forse le vicende politiche di questi anni sarebbero andate diversamente). E se l'opposizione ovviamente attacca (“Bilancio sì! Alemanno no!”, si legge sui manifesti in giro per la città), sempre consolante è apprendere di quante ore e di quale fatica siano fatte le giornate del Primo Cittadino. Ma poi, alla fine, appunto “il mondo non cambia”, e poco poeticamente neanche la città cambia, e anzi a volte s'imbruttisce non di poco – cede estetica e vivibilità. “Così muore la Bellezza”, l'ha scritto persino il Financial Times, evocando (e magari esagerando) un caos da megalopoli del Terzo mondo. “Vorrebbe far tutto, ma è così difficile cambiare la mentalità…”. Lì stanno le mignotte, sulle strade da dove Lei voleva rimuoverle, lì stanno i venditori di patacche fasulle, proprio lì da dove Lei voleva cacciarli – e uno spettacolo quasi quotidiano trasforma le vie del centro in arena gladiatoria, con quelli che scappano tirandosi dietro la mercanzia, e scaraventando a terra qualche passante, e stremati vigili e affaticati finanzieri dietro a rincorrere.
Lei a volte, passando in macchina, raccontano in Campidoglio, vede ciò che lì non dovrebbe stare, e prende il telefono, e chiama il comandante dei vigili, e quello – comprensivo e rispettoso – sgrana il rosario degli uomini che non ci sono, dei turni già pieni, degli straordinari finiti. “Alemanno fa le ordinanze, che poi rischiano di finire come le grida manzoniane”, dice un assessore. E tutto resta dov'è, e anzi molto si aggiunge. Gli orrendi camion bar che si moltiplicano, “lì il sindaco ha ceduto, purtroppo”, la gestione quotidiana che fatica, l'abbrutimento metropolitano segnato da un'invasione di finti mendicanti, di poveri storpi importati dall'estero da bande criminali – gambe storte esibite con i pantaloni tirati fino alla coscia, tronchi senza braccia esposti al sole, quel ragazzo che da anni si trascina su un carrettino strisciando per terra, e ogni tanto lo portano in un centro di accoglienza, e subito fugge e torna dai suoi sfruttatori, e riprende a vagare, l'altezza al livello dei motori delle macchine: “il Cane”, lo chiamano così, signor sindaco, una piccola e dolente e oscena Calcutta nel cuore della Capitale – da zingare finte semimoribonde e scenograficamente tremanti sdraiate sui marciapiedi, magari col cellulare incollato all'orecchio sotto il fazzolettone nero e lercio, bimbi seminudi costretti a mendicare da canaglie adulte, ubriachi molesti a ogni semaforo. La pietà, necessaria e irrinunciabile, ridotta a ostaggio delinquenziale. Vero: tutto un groviglio, caro sindaco, così qualcosa è suo, qualcosa della regione, qualcosa della Questura. Ma sa anche che ha ben poche giustificazioni. Mo' cambia tutto, te famo vede' come cazzo se governa!, mi diceva l'amico fascio. Non l'ho visto, e neanche chi non ha votato per Lei l'ha visto – e le assicuro che molti di loro, persino alcuni di noi, qualcosa volentieri avrebbero visto.
“Alemanno ormai ha la sindrome della clessidra”, dicono nelle sue stanze, in Campidoglio. Clessidra metaforica – sono due anni che la sabbia scorre, e c'è più pena e fatica che gloria – eppure ossessiva, presente, inquietante. Due anni sono pochi – per risolvere tutto; sono tantissimi – per generare disillusione.
Nel fare un primo bilancio, in queste settimane, i giornali non sono stati molto generosi con Lei, e molto generosa con Lei non è neanche la sua scombinata maggioranza, gruppo contro gruppo, consigliere contro consigliere. Ma non di questo qui si parla – e alfine, mi creda, sul bus n. 90 di quanto Tizio sia vicino a Berlusconi e Caio a Fini non frega quasi a nessuno. Quella clessidra che sulla sua scrivania, all'ombra della Lupa capitolina alle sue spalle, non c'è ma probabilmente lo stesso non riesce a staccare da essa gli occhi. Si è visto anche alle elezioni regionali, quando la sua amica Renata Polverini ha vinto dappertutto, in ogni landa regionale, e ha perso qui, proprio a Roma, dove l'ha spuntata (città del Papa, come piace sempre dire, città di destra, come piace sempre pensare) l'abortista laica Emma Bonino.
Scorre la sabbia, signor sindaco. “Ce l'ha con la lentezza – ancora i suoi amici che raccontano – La sua sensazione è questa: un elefante guidato da un pilota della Ferrari” – sarà per questo, tutto 'sto parlare di Formula 1? Ha preso a correre, la sua clessidra, vero sindaco Alemanno? Brucia ore e poi giorni. E i tira e molla con Berlusconi, e il molla (e basta) con Fini, e le polemiche con Bertolaso… Ma sfugge per ben altro, la sabbia, come Lei ben sa. Per il parcheggiatore abusivo con l'aria da tagliagole che taccheggia quasi impunemente gli automobilisti. L'irriducibilità a ogni migliore intenzione di miriadi di piccole corporazioni che usano la città, e della città spesso abusano. Persino i finti gladiatori al Colosseo pretendono. L'assedio rumoroso e volgare di locali e localini – ché i vicoli di Roma (altro che far “affaccete Nunziata” alla finestra, come da antica canzonetta capitolina: se Nunziatella s'affaccia, sviene per la puzza) odorano di piscio e vomito. Il mistero dei vigili, per cui puoi attraversare l'intera città e magari non incrociarne uno – e restare bloccato dalle auto posteggiate in doppia fila, dalle bancarelle che chiudono i marciapiedi, dalle tavolate dei ristoranti che impediscono il passaggio. Un lento rassegnarsi, e subito dopo un repentino adeguarsi di tutti gli altri abitanti all'andazzo circostante.
Piccoli insolvibili misteri, signor sindaco, che si sommano e fanno prima trama e poi una sorta di fatica di vivere. Violata una norma, sindaco, se ne viola un'altra, e poi un'altra. Lei certo lo sa, e Lei certo ne sarà scandalizzato, di sicuro infastidito. Probabilmente paralizzato. Sarebbero belle le Olimpiadi nel 2020 (belle, poi, dipende…), ma intanto (lo prendo dal Corriere) lo sa che a villa Torlonia c'è una coppia di germani che si aggira assetata e non trova acqua perché le vasche sono vuote (e vuote non dovrebbero essere) e non si possono allontanare perché i loro piccoli non si possono spostare? Le Olimpiadi saranno – i germani assetati, le piante che seccano, l'autobus che non passa, le buche che atterrano, i cialtroni che parcheggiano nei posti dei disabili: questo è ora – anche il sindaco è qui e ora. Lei, assicurano, è persona sensibile, circondato dalla cagnara della città e dalla cagnara della sua maggioranza, e sa che il suo problema adesso sono i germani (e gli autobus e le buche e gli scassaballe che suonano i bonghi fino all'alba), altro che le Olimpiadi e la Formula 1 e la Roma cinematografara per le bocche buone dei turisti texani. Persino un certo Progetto Millennium di cui ha recentemente parlato e che, a orecchio, promette, perdoni signor sindaco, poco di buono. E' ciò che dà respiro a una città che rende grande un sindaco, non ciò che la lascia (perennemente) a bocca aperta, vuoi per la meraviglia vuoi per lo sconforto: non è mica piacevole stare sempre con la bocca aperta (per tacere dello smog qui sul Lungotevere, per esempio, o perché davanti casa hanno piazzato un'altra schifezza di maxicartellone che deturpa l'orizzonte).
Certo Lei è arrivato animato dalle migliori intenzioni. E poi, è un po' la piaga e un po' la passione di tutti i sindaci quella di trascurare il tombino per elevare piramidi virtuali. Si ricorda la storia dell'Ara Pacis, della maschia promessa del piccone risanatore che avrebbe fatto giustizia del manufatto dell'architetto Meier? Certo, ce lo potevamo onestamente risparmiare, visto che come stava prima malissimo non stava, ma adesso che c'è teniamocelo a pace (appunto): Augusto si sarà rassegnato, Valentino i vestiti li ha esposti… Magari passiamo ad altro. (Si è intanto accertato che i germani a villa Torlonia abbiano avuto da bere?). Mi dicono i suoi amici che molto ha patito, signor sindaco, per i suoi benemeriti decreti rimasti a volte lettera morta – e appunto siamo all'insistente vagare di borsoni e mignotte. Non c'è la forza, e non ci sono le forze, per attuarli, raccontano. Così, nel ben volere e nel poco stringere, la città sembra quella prefigurata dal genio di Gadda, “Roma doma. Roma cova. In un pagliaio de' decreti sua”. O dall'irridente paradosso di Andy Warhol, “Roma è l'esempio di ciò che accade quando i monumenti di una città durano troppo a lungo” – e nemmeno aveva preso visione del crollo del Colosseo – e qui, altro che clessidre: siamo alla metafora eccellente.
Lei ha fatto appello – con giusto senso, ma con scarsissime possibilità – ai romani stessi, “occupatevi della città”. Ma se la palma di Sciascia saliva verso nord, qui quantomeno è giunto il babà napoletano, qualche mozzarella di bufala malcreata, una sorta di napoletaneria deteriore – il caos come forma di un ordine indecifrabile. Così, se Lei, signor sindaco, si decidesse a usare un po' di necessario pugno di ferro per ricondurre a norma il caos stesso, molti l'applaudirebbero e forse altrettanti l'assalterebbero. Il bullo (tipo Gigi er), patetica figurina romanesca, si è mutato in prepotente, se il vigile non si vede il gradasso s'avanza, e pensi un po', se si vede il vigile, o magari il suo succedaneo – la metropolitana figura dell'ausiliario del traffico – persino in Senato i senatori protestano, causa eccesso di multe, “noi qui venivamo a lavorare, non a bighellonare!”. Buona la battuta di un eletto sostenitore delle stesse: “Prendete il tram!” – buona ma poco fondata: va a sapere con sicurezza che il tram passa… A riprova che questa è una città di furbacchioni – sennò è meglio che il Signore tenga una mano sulla testa dei suoi abitanti – c'è questa storia dei permessi per il centro riservato ai disabili. Mesi fa sono usciti dei dati: tremila conducenti controllati, mille violazioni accertate, 165 permessi ritirati, 22 denunce. A costoro, scoperti, non andrebbe neanche rilasciato l'abbonamento dell'Atac: liste di proscrizione dal tabaccaio! Più o meno, quasi tre permessi al giorno ritirati. E lì, su macchine spesso di lusso, nelle strade del lusso tra piazza di Spagna e via del Babuino, abbondano più permessi del genere che cestini per l'immondizia: un minimo di personale decenza sacrificata allo shopping. Lamenti istituzionali a parte, dicono, signor sindaco, che adesso avete assunto cinquecento nuovi vigili, giovani e gagliardamente allenati con le lingue, laureati che per non finire in mezzo alla strada al lavoro in mezzo alla strada si sono votati. “Non si vedrà più il vecchio pizzardone” – che pure, era parecchio che il vecchio pizzardone non si vedeva.
Figura centrale dell'immaginario pare diventato il raccoglitore di immondizia differenziata. Il loro vagare col camioncino tra vicoli e stradine, un suonare di campanelli e di domande nei negozi, “avete cartoni?”, liti sugli orari e sulle buste, è una delle più significative presenze istituzionali. Avete messo, signor sindaco, delle spazzatrici elettriche non male, e tutto sommato quel via vai di tute arancioni può essere rassicurante. Certo, doveva venì Baffone e dovrà venire la pulizia. Per il momento, così (e non è tanto) è, nonostante gli oltre quattro milioni e mezzo di chili d'immondizia raccolti giovedì. Perché, parafrasando una storica inchiesta giornalista, si potrebbe arrivare a dire: “Capitale infetta, nazione corrotta”. Dia pure un'occhiata alle lettere che arrivano ai giornali. Vedrà che anche scrittori come Raffaele La Capria, ormai, sono costretti ad appassionarsi più alla cronaca che alla narrativa. Dovesse servire a dar coraggio, da democratico a sindaco, si rimetta pure la celtica al collo che la Bignardi le fece svelare e il fremito giornalistico togliere. Abbia l'occhio al Millennium, si figuri, rivolti la clessidra per un altro giro, ma intanto faccia portare l'acqua alle papere di villa Torlonia – che detto tra noi, signor sindaco, sono pure più simpatiche di certi antichi inquilini.
Il Foglio sportivo - in corpore sano